I ragazzi svezzati a Mtv – come li definisce il rapporto – spiazzano chi pensa che il nichilismo abbia fatto piazza pulita, e creano interrogativi forti nell’area dell’offerta, cioè nella Chiesa.
Ma in Italia? «In Usa c’è pluralismo religioso, che fa prendere forma a questa religiosità aconfessionale, da noi la presenza preponderante della Chiesa cattolica rende tutto diverso», spiega Luca Diotallevi, docente di Sociologia a Roma Tre e autore del libro appena pubblicato Una alternativa alla laicità.
Insomma, dire in Italia di credere in Dio ma in nessuna Chiesa è roba da talk show impegnato, «c’è un legame elastico tra giovani e Chiesa».
Un legame che si manifesta in molti modi, a partire dalla tradizionale filiera parrocchia-Azione cattolica, di certo assai poco mediatica (anche perché il tasso di tesseramento nella maggiore organizzazione ecclesiale è molto basso, Diotallevi stima il 10% circa della militanza accertata), ai movimenti presenti nei vari segmenti socio-religiosi, dai Focolarini a Cl, fino a Sant’Egidio.
Ma un fenomeno crescente e sicuramente espressione della nuova religiosità giovanile dei Millennials italiani – cresciuti a Moccia («e se gli parli di Maria pensano alla De Filippi», dice un esperto) – è quello dei movimenti carismatici, a fortissima densità identitaria.
Un emblema sono i Neo catecumenali, ispirati a un cammino di riscoperta del battesimo, movimento in fortissima crescita trai giovani, che affollano parrocchie – prese quasi in franchising – e che sono i protagonisti delle Giornate mondiali dei giovani e dei viaggi papali, quando attraversano le città cantando abbracciati alle chitarre e tutti vestiti con la stessa maglietta.
Altra forte presenza è Rinnovamento dello Spirito, cammino di comunione ecclesiale e formazione permanente, che nasce sulla scia del movimento carismatico Usa.
«A questi gruppi, e ad altri, è data in appalto la creazione di una massa critica che abbia un impatto mediatico», osserva Alberto Melloni, professore di Storia all’Università di Modena e uno dei massimi studiosi del Concilio.
Per le nuove generazioni l’esperienza di fede si presenta come poco intrigante, non c’è conflitto morale interiore, e anche la morale sessuale in passato era una discriminante, ora non più: ecco allora l’approdo a queste crescenti esperienze pentecostali, «che rappresentano la remunerazione emotiva al bisogno religioso», osserva Melloni.
Che significa? «Che si è accesa la spia della riserva».
Insomma, la Chiesa non si stanca di dichiarare il suo amore per le giovani generazioni «ma si fa fatica a vedere i segni».
La ricerca americana mette a nudo una religiosità stratificata ma tutto sommate elementare, dove le chiese sono cosa ben distinta dalla società, mentre in Italia la Chiesa cattolica è dentro la società (e in molti pensano anche dentro lo stato).
Da qui la ricerca dei ventenni di un’offerta religiosa che sia altro dalle gerarchie (ma non contro), che per molti significa, come dice un esponente della Curia, «mischiare Siddharta con il Vangelo in salsa new age», rifuggire dalla lettura razionale della fede, un po’ come i nuovi evangelici americani, i “cristiani rinati”.
A Ratzinger i movimenti in generale non piacciono molto: in particolare nei confronti di questi nuovi corpi della Chiesa, avversa la loro altissima libertà liturgica («messe che a volte sembrano Gospel», dice un vescovo) ma ne apprezza l’estremo rigore dottrinale, su vita e famiglia.
E, alla fine, tanto basta.
in “Il Sole 24 Ore” del 21 febbraio 2010 Sanno che hanno bisogno di Dio, ma sempre più spesso non sanno come parlarci.
E allora gridano, si accalcano, cantano, marciano, cercano una forza identitaria che li faccia sentire parte di una minoranza forte.
Il popolo dei giovani cattolici nati sul finire del millennio va a sbattere sempre più spesso contro la Chiesa ufficiale: la rispettano, ma la sentono distante, specie in periodi (come questo) dove gli intrighi vaticani fanno premio sulla spiritualità.
Forse accade come negli Usa? Un rapporto del Pew Research Center Forum dal titolo Religion Among Millennials appena pubblicato – e di cui riferisce il New York Times – parla chiaro: un giovane su quattro tra 18 e 29 anni non è praticante ma nega di essere ateo o agnostico (in questo differenti dalla precedente generazione X, i post baby-boomers) ma cercano Dio nella prospettiva del medio-lungo termine, insieme a metter su famiglia e diventare ricchi.
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