È stato Stephen Bertman a coniare i termini «cultura del momento» e «cultura della fretta» per definire il nostro modo di vivere in questa società.
Sono definizioni idonee e che risultano particolarmente comode ogni volta che cerchiamo di cogliere la natura della condizione umana liquido-moderna.
La mia tesi è che tale condizione si caratterizza principalmente per la sua tendenza (un caso fin qui unico) a rinegoziare il significato del tempo.
Il tempo, nell’era liquido-moderna della società dei consumatori, non è né ciclico né lineare, com’era normalmente per le altre società note della storia moderna o premoderna.
Direi che è invece puntinista, frantumato in una moltitudine di pezzetti distinti, ognuno ridotto a un punto che si avvicina sempre di più alla sua idealizzazione geometrica di non dimensionalità.
Come ricorderete sicuramente dalle lezioni di geometria a scuola, i punti non hanno lunghezza, larghezza o profondità: esistono, si sarebbe tentato di dire, prima dello spazio e del tempo; sia lo spazio che il tempo ancora non sono cominciati.
Ma come quell’unico punto che, secondo quanto ipotizzano le teorie cosmogoniche più avanzate, precedeva il big bang che diede inizio all’universo, ogni punto si presume contenga un infinito potenziale di espansione e un’infinità di possibilità che attendono di esplodere se adeguatamente innescate.
E ricordiamo che nel «prima» che precedette l’eruzione dell’universo non vi era nulla che potesse fornire la benché minima avvisaglia che stava avvicinandosi il momento del big bang.
I cosmogonisti ci dicono un mucchio di cose su quello che avvenne nelle prime frazioni di secondo dopo il big bang; ma conservano un odioso silenzio sui secondi, i minuti, le ore, i giorni, gli anni o i millenni prima.
Ogni punto-tempo (ma non c’è modo di sapere in anticipo quale) potrebbe – soltanto potrebbe – recare in sé la possibilità di un altro big bang, anche se questa volta su scala ben più modesta, da «universo individuale», e i punti successivi continuerebbero a essere visti come punti recanti tale possibilità, indipendentemente da ciò che sarebbe potuto succedere con i punti precedenti e nonostante l’esperienza accumulata dimostri che la maggior parte delle possibilità di solito è predetta in modo errato, trascurata o mancata, che la maggior parte dei punti si è rivelata infruttuosa e che la maggior parte dei sommovimenti è morta sul nascere.
Una mappa della vita puntinista, se mai venisse tracciata, assomiglierebbe a un camposanto di possibilità immaginarie o irrealizzate.
O, a seconda del punto di vista, come un cimitero di occasioni sprecate: in un universo puntinista, i tassi di mortalità infantile e di gravidanze abortite della speranza sono molto elevati.
È proprio per questa ragione che una vita «del momento» normalmente è una vita «della fretta».
La possibilità che potrebbe essere contenuta in ogni punto lo seguirà nella tomba: per quell’unica, particolare possibilità non ci sarà una «seconda possibilità».
Ogni punto può essere vissuto come un nuovo inizio, ma spesso e volentieri il traguardo arriverà poco dopo la partenza, e in mezzo sarà accaduto ben poco.
Solo una moltitudine, in inarrestabile espansione, di nuovi inizi può – semplicemente può – compensare la profusione di false partenze.
Solo le vaste distese di nuovi inizi che siamo convinti ci aspettino più avanti, solo una moltitudine sperata di punti le cui potenzialità da big bang ancora non sono state messe alla prova, e che perciò ancora non sono state screditate, possono salvare la speranza dalle macerie delle conclusioni premature e degli inizi abortiti.
Come ho detto prima, nella vita «adessista» dell’avido consumatore di nuove Erlebnisse (esperienze vissute), la ragione di affrettarsi non è acquisire e collezionare il più possibile, ma rottamare e sostituire più che si può.
C’è un messaggio latente dietro a ogni spot che promette una nuova opportunità inesplorata di beatitudine: non ha senso piangere sul latte versato.
O il big bang avviene proprio ora, in questo esatto momento e al primo tentativo, oppure attardarsi in quel particolare punto non ha più senso: è tempo di spostarsi su un altro punto.
Nella società dei produttori che ormai sta scomparendo dalla memoria (almeno nella nostra parte del pianeta), il consiglio, in un caso simile, sarebbe stato: «insisti».
Ma non nella società dei consumatori: qui, gli utensili inefficaci devono essere abbandonati, non affilati e rimessi alla prova con più competenza, più impegno e migliori risultati.
E si lascino perdere anche quegli elettrodomestici che non sono riusciti a fornire la «piena soddisfazione» promessa a quelle relazioni umane che hanno prodotto un «bang» meno «big» di quanto ci si aspettava.
La fretta dev’essere massima quando si tratta di correre da un punto (che ha deluso, che sta deludendo o che sta cominciando a deludere) a un altro (ancora non collaudato).
Si dovrebbe rammentare l’amara lezione del Faust di Christopher Marlowe: finire all’inferno per aver desiderato che il momento – solo perché piacevole – potesse durare per sempre.
Data l’infinità di opportunità promesse e presunte, a trasformare in «punti» sbriciolati la più attraente novità del tempo, una novità che si può star sicuri che verrebbe abbracciata avidamente ed esplorata con passione, è la doppia aspettativa o speranza di prevenire il futuro e neutralizzare il passato.
Riuscire a mettere a segno un doppio successo di questo tipo, dopo tutto, è l’ideale della libertà.
(…) Partiamo dalla straordinaria impresa della neutralizzazione del passato.
Essa si riduce a un unico cambiamento nella condizione umana, ma un cambiamento realmente miracoloso: la possibilità di «rinascere» con facilità.
D’ora in poi, non sono solo i gatti a poter avere nove vite.
Durante quel lasso di tempo terribilmente breve che trascorriamo sulla terra, deplorato non troppo tempo fa per la sua detestabile brevità e che da allora non si è prolungato più di tanto, gli esseri umani – come i proverbiali gatti – ora hanno la capacità di spremere molte vite, una serie infinita di «nuovi inizi».
Rinascere significa che la/e nascita/e precedente/i, insieme alle relative conseguenze, viene o vengono annullata/e: sembra l’avvento dell’onnipotenza di tipo divino, sempre sognata ma fino ad ora mai sperimentata.
Il potere di determinazione causale può venire disarmato, e il potere del passato di limitare le opzioni del presente può venire drasticamente contenuto, forse addirittura abolito del tutto.
Ciò che eri ieri non preclude più la possibilità di diventare qualcuno di totalmente diverso oggi.
Dal momento che ogni punto nel tempo, ricordiamolo, è pieno di potenziale, e che ogni potenziale è diverso e unico, si può essere diversi in modi realmente innumerevoli: è qualcosa che oscura perfino la sbalorditiva molteplicità di permutazioni e la strabiliante varietà di forme e sembianze che gli incontri casuali di geni sono riusciti finora e probabilmente continueranno a produrre in futuro nella specie umana.
Si avvicina a quella capacità di eternità che sgomenta, in cui, considerando la sua infinita durata, ogni cosa può/deve, prima o poi, succedere, e in ogni caso potrà essere/sarà, prima o poi, fatta.
Ora quella mirabile potenza dell’eternità sembra essere stata compressa nel tutt’altro che eterno intervallo di tempo di una singola vita umana.
Di conseguenza, l’impresa di disinnescare e neutralizzare la capacità del passato di limitare le scelte successive, e quindi di circoscrivere pesantemente le occasioni di «nuove nascite», deruba l’eternità della sua attrattiva più seducente.
Nel tempo puntinista della società liquido-moderna, l’eternità non è più un valore e un oggetto di desiderio, o per meglio dire, quello che era il suo valore e che la rendeva un oggetto di desiderio è stato espunto e trapiantato nel momento presente.
Di conseguenza, la «tirannia del momento» della tarda modernità, con il suo precetto del carpe diem, gradualmente ma costantemente, e forse inarrestabilmente, rimpiazza la tirannia premoderna dell’eternità, con il suo motto del memento mori.
Traduzione di Fabio Galimberti in “la Repubblica” del 15 febbraio 2010
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