L’intervista Monsignor Shlemon Warduni è vescovo cattolico di Baghdad, guida spirituale dei Caldei e membro in Vaticano del Consiglio Speciale per il Medio Oriente.
Si sarebbe mai aspettato un bagno di sangue in una chiesa? «Una tragedia del genere era impensabile persino in un Paese senza sicurezza né stabilità come l’Iraq.
Ma ormai purtroppo nessuno può prevedere dove possa arrivare una violenza che non risparmia più niente e nessuno.
Come minoranza siamo un bersaglio costante e conviviamo con un logorante senso di precarietà e di timore costante.
Il sacrificio di questi nostri fratelli dimostra a che punto di follia si è arrivati.
Neppure quando si prega in una chiesa si è al riparo dalla persecuzione del terrorismo.
Questo martirio è rivolto al mondo intero perché è tutta l’umanità a precipitare nell’abisso se si muore per essere andati a una messa.
Ormai uscire equivale già a mettere a repentaglio la propria vita, nessuno è certo di tornare a casa la sera.
In qualche modo mi sento in colpa anch’io per i miei fedeli».
Perché? «Noi vescovi cerchiamo sempre di tranquillizzare i cristiani e di spingerli a rimanere in Iraq.
Li esortiamo di continuo a non emigrare.
Poi succedono fatti come questi, aberrazioni che cancellano ogni argine di civiltà e ciò che diciamo perde attendibilità, anzi sembra controproducente.
I fedeli mi domandano cosa devono fare, sono terrorizzati, mi interrogano su quale sia il disegno di Dio per loro.
Non capiscono perché debbano subire un male così crudele.
La gente è sconcertata e ci chiede come sia possibile rimanere in una situazione del genere.
Il massacro a Nostra Signora del perpetuo soccorso costituisce l’angosciante dimostrazione che in Iraq non c’è più la minima certezza.
Dov’è la coscienza quando si calpesta la religione?».
E lei cosa risponde? «Viene lo sconforto anche a me davanti ai lenzuoli bianchi di persone miti, uccise in chiesa.
C’è anche il corpicino senza vita di una bambina.
Per non cadere nella disperazione quaggiù le persone devono avere una fede talmente forte da essere addirittura pronte come cristiani alla testimonianza estrema, alla morte.
Ma non si può pretendere da tutti una fede eroica, perciò anche in Occidente ci si deve fare carico di questa condizione di terrore costante.
Nessuno ci spiega da dove arrivano le armi delle bande che si muovono indisturbate dentro e fuori i nostri confini».
Nell’anarchia irachena vede la mano dell’Iran o di Bin Laden? «Io non sospetto nessuno, è la corte internazionale a dover stabilire chi ci sta massacrando.
Noi ci aspettiamo l’aiuto di Dio che ci ha creato e fatti vivere qui e delle persone di buona volontà che possono sensibilizzare i governi e l’Onu a non abbandonarci al nostro destino.
Come pastore posso solo pregare per le vittime e per la conversione del cuore indurito dei terroristi» in “La Stampa” del 1° novembre 2010
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