L’intervista «Il fatto religioso, la fede in ogni sua accezione sono fatti culturali di straordinario rilievo.
Una laicità malamente concepita che intenda il fatto religioso come superstizione è una pessima laicità».
Massimo Cacciari, oggi docente di estetica all’Università Vita-Salute San Raffaele, è da tempo protagonista attivo dello scambio intellettuale tra chi crede e chi resta sulla soglia della fede.
Il Papa chiede un nuovo dialogo con chi non crede.
Da filosofo, cosa pensa di questo invito? «Mi piace ricordare un’iniziativa pionieristica su questo tema, ovvero la Cattedra dei non credenti istituita a metà anni Ottanta a Milano dal cardinale Martini, una scelta audace.
Quanto a chi non crede, bisogna distinguere».
Ovvero? «Ci sono tre versioni di ateismo: una posizione risolutiva, per cui Dio è un puro nome senza contenuto semantico.
E questa è la forma di ateismo che va per la maggiore e per la quale la posizione del credente è insensata.
Questa visione aleggia in un certo illuminismo e nei suoi nipotini quali Piergiorgio Odifreddi e un certo giornalistume, sebbene abbia padri nobili e domini la filosofia analitica.
Vi è poi l’ateo che crede, che è ‘abbandonato’ da Dio, e che però non sa se questo abbandono sia definitivo.
È una posizione di assoluto dubbio sul fatto che Dio abbia ancora o meno una relazione con lui.
L’ateo che crede non sa se questo ‘abbandono di Dio’ dipenda da lui o da Lui, da se stesso o da Dio.
Ho trovato tale condizione in tanti autentici credenti: la loro fede combatte con questo dubbio, che è il grido di Gesù al Padre sulla croce.
È lo stesso ateismo di Giobbe e il segreto della grandezza del cristianesimo, ovvero il credente in lotta con Dio».
Il ‘terzo ateismo’? «È quello che ritiene che il proprio pensiero debba svolgersi finché manca la strada e non vuole fermarsi prima.
Non vuole solo deno- minare la cosa, vuole andare oltre la dialettica delle idee: è un pensiero rivolto costantemente all’ultimo, intrinsecamente legato alle idee teologiche ma non pensa che Dio ‘è’, perché se così fosse, si penserebbe Dio come ente.
Tale posizione dialoga con la tradizione mistica cristiana per cui Dio non è un ente ed è superiore allo stesso pensarlo: in pratica, Sant’Anselmo d’Aosta».
Il Papa afferma poi che vi sono quegli atei che vogliono avvicinare Dio come Sconosciuto.
«Vorrei un confronto che superi l’onto-teologia del tomismo e conduca a una filosofia che va verso la cosa ultima.
È possibile un confronto con una posizione filosofica che veda la trascendenza come una parte costitutiva del nostro essere uomini ».
Ma non è l’ateismo che pare preoccupare i credenti, oggi, quanto piuttosto l’indifferenza… «La cosa più pericolosa non è l’ateismo da mercato, quello di chi prende in giro i credenti.
Il dato più rischioso che come non credente vedo è la religione come ‘instrumentum regni’, così come la concepiva Spinoza o Machiavelli: il credo come strumento di conservazione.
È una tentazione da cui la Chiesa deve stare attenta, e che è molto presente nell’islam.
È la religione ridotta a forma politica, cioè Mosè e Maometto condottieri militari e politici.
È qui che sta la grandezza di Cristo e la forza della sua denuncia rispetto all’ebraismo del suo tempo.
Nel Novecento si è visto il pericolo delle religioni pronte a mettersi a disposizione di poteri politici in cambio di favori.
Mentre c’è stato, e fu importante, il fenomeno dei martiri dei grandi totalitarismi, soprattutto in ambito protestante».
E al mondo del pensiero cosa chiederebbe? «Vorrei che si pensasse in maniera più ‘difficile’.
Penso ancora alla Cattedra dei non credenti di Milano: riapriamo spazi e rifacciamo gesti di quell’audacia».
in “Avvenire” dell’11 febbraio 2010
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