Cattolici discutono sulla candidatura di Emma Bobino

I cattolici si fanno ingannare dalla Bonino perché si sono già ingannati sulla natura delle fede di Francesco Agnoli Tratto da Il Foglio del 26 gennaio 2010 L’inchiesta di Marianna Rizzini sui cattolici favorevoli alla Bonino, che la preferiranno a Renata Polverini  alle prossime regionali del Lazio, non mi ha stupito.
E sicuramente non ha meravigliato neppure la Bonino, che sa abilmente vestire i panni di Giano bifronte.
In occasione della sua auto-candidatura a presidente della Repubblica di circa dieci anni fa, infatti, Emmatar non esita a diffondere ovunque la foto sua e di Pannella insieme a Giovanni Paolo II, con evidenti fini propagandistici.
Contemporaneamente i radicali, lei compresa, si battono per la liberalizzazione della droga, celebrano la breccia di Porta Pia, rinvigoriscono l’Associazione per lo sbattezzo e nutrono di menzogne e di accuse contro la chiesa filiazioni radicali come Anticlericale.net.
Ma in tempo di elezioni, quando occorre prendere voti, mentire non è un problema.
Il fine giustifica i mezzi, per chi ha fini molto piccoli, molto umani e a breve scadenza.
Così, per esempio, appena annunciato l’appoggio del Pd alla Bonino, per evitare polemiche in quel frangente inopportune, la radicale Maria Antonietta Coscioni ha prontamente ritirato 2.400 emendamenti alla legge sul testamento biologico.
Alla faccia della conclamata coerenza.
Vi erano infatti contenute esplicite dichiarazioni a favore dell’eutanasia, non solo nei casi estremi, come spesso si vuole far credere, ma in assoluto.
Uno degli emendamenti opportunamente ritirati, pronto forse a essere riproposto dopo le Regionali, cominciava infatti così: “Ogni persona ha diritto di porre termine alla propria esistenza” (Corriere, 13/1/2010).
Per fare un altro esempio, tratto dal passato, le associazioni di cui la Bonino fa parte ai tempi della famosa foto pubblicata da Libero, il Cisa e il M.L.D., non hanno nessuno scrupolo a spiegare a tutti, a pagina 25 di un libretto intitolato “Aborto: facciamolo da noi” (Ed.
Napoleone, 1975), che la “cifra più riduttiva sugli aborti clandestini ogni anno” in Italia è di “un milione e mezzo”.
Solo quattro pagine dopo si dice, senza nessun ritegno, che l’aborto clandestino nel nostro paese “è vissuto da tre milioni di donne” ogni anno.
Sparare cifre assurde e coscientemente gonfiate sino all’incredibile è insomma ritenuto lecito, pur di raggiungere l’obiettivo prefissato: in questo caso far passare il ricorso all’aborto come un fatto ormai normale ed acquisito.
Analogamente, nello stesso libretto, non si ha scrupolo a sostenere che il “diritto” all’aborto non ammette eccezioni; che anzi spesso abortire è un bene, “una scelta matura e responsabile”, perché serve a tutelare il nascituro da future condizioni precarie (fisiche, psicologiche o solo economiche che siano); oppure perché va a vantaggio della “famiglia preesistente, che spesso ha bisogno di essere difesa e protetta in quanto già reale e concreta”.
Tenere il bambino, al contrario, “a volte è un atto di debolezza e di egoismo”, commesso da chi non vuol capire che l’embrione e il feto, che oggi con l’ecografia tutti sappiamo essere già formati, non sarebbero altro che “contenuto dell’utero, ancora informe e grumoso”, una “ipotesi di vita”, un “ovulo fecondato” né “vitale né capace di vita” (“un ovulo fecondato non è necessariamente una vita; non lo è per il padre e non lo è nemmeno per la madre”).
Dunque, per gli autori del citato manuale per l’aborto, qualsiasi motivo è valido per ricorrere al metodo Karman, quello della pompa di bicicletta: un metodo “semplice, rapido”, “per la donna e non per il ginecologo”, con il “materiale tutto in plastica, con la punta tonda”, inventato “in una comune popolare cinese”, come “rifiuto da parte dei cinesi di utilizzare la scienza borghese così come essa è”.
Nello stesso opuscolo la chiesa viene svillaneggiata, e i cattolici nel contempo derisi o adulati.
Anche la chiesa, si sussurra maliziosamente alle donne che per motivi religiosi hanno qualche remora ad abortire, ha sempre permesso tale azione, anche all’epoca del terribile Concilio di Trento.
Per cui, care donne timorate di Dio, non vi preoccupate a ricorrere al nostro aiuto, tante “associazioni cattoliche” già lo fanno.
Abortire non è un dramma, ma un momento di crescita; non un atto di egoismo, ma di maturità; neppure un peccato, ma un gesto nel solco della più pura tradizione evangelica.
Infatti, “solo nel 1869 Pio IX per ragioni politiche (necessità di incrementare le nascite per aver maggior forza lavoro per la nascente industria) condannò nell’enciclica Rerum Novarum (di Leone XIII, ndr) l’aborto”.
Detto questo, mi chiedo se la doppiezza radicale, e in particolare quella della Bonino, sia la causa vera, profonda, del voto che molti cattolici le regaleranno.
Non lo credo: di solito si inganna solo chi è già bendisposto a farsi ingannare, o chi ha perso il contatto con la propria storia, con le ragioni della propria cultura, in questo caso della propria fede.
E’ allora a una crisi di fede e di ragione che occorre ricondurre il fenomeno.
Personalmente ho un’ipotesi: il voto cattolico alla Bonino mi sembra riconducibile allo spirito irenistico che da quarant’anni a questa parte è penetrato, come il fumo di Satana di cui parlava Paolo VI, nella Chiesa.
Quel fumo che avvolge la realtà, la verità, rendendola indistinta e confusa, e che fa sì che verità e carità, intimamente unite nel Cristo, siano state disgiunte dai suoi seguaci, non solo nei fatti, come è inevitabile, ma addirittura nella teoria.
A partire soprattutto dagli anni sessanta, dal Concilio e dal post Concilio, infatti, si è diffusa in una certa parte del mondo cattolico l’idea che verità e carità siano in antagonismo, in alternativa: aut… aut, e non più et… et.
Sono gli anni in cui si comincia a parlare quasi esclusivamente della cosiddetta “pastorale”: come annunciare Cristo, come renderlo gradito al mondo, come evitare gli errori del passato, come fare la pace con la cultura contemporanea, come farsi accettare da tutti… Come, come, come… Questo diventa il problema essenziale, se non l’unico.
L’assillo, direi, che ottenebra molte intelligenze.
La forma diviene più importante della sostanza e la sostanza viene mutata per assumere forma più accattivante.
Si chiama “aggiornamento”, ottimismo mondano e porta persino a cambiare la traduzione del canone della Messa: l’evangelico “versato per voi e per molti”, che lascia intendere la possibilità che alcuni uomini non vogliano usufruire del sangue redentore di Cristo, viene sostituito con “per voi e per tutti”, frase molto più rassicurante, che suggerisce una salvezza universale e automatica per tutti.
Così, piano piano, mentre si addolcisce il linguaggio e si smorzano le sferzate evangeliche, si dimentica che l’annuncio di Cristo non è solamente una questione di modi e di linguaggi appropriati; si omette di ammettere che talora è necessario opporsi al mondo, seguendo la via della croce, dello scandalo, del martirio, che Lui stesso, non altri, ha indicato.
Inutile dire che spostare ogni accento sulla pastoralità, sulla carità, sulle modalità opportune, sul dialogo, sull’incontro, sull’apertura, ha condotto gradualmente a oscurare il dogma, i contenuti, la sostanza.
Si è voluto rendere insipido il sale; si è annacquata la medicina perché non fosse più amara; si è preferito essere medici pietosi, che lasciano proliferare la piaga ulcerosa, piuttosto che medici coscienti e realistici.
Ma è veramente possibile scindere la carità dalla verità? Cosa è l’aqmore, senza una meta, vera, cui dirigerlo? E’ servito, al “mondo”, che nessuno più lo richiamasse, “opportune, importune”, come raccomanda san Paolo? Ha aumentato il tasso di felicità della nostra civiltà? In nome dello spirito irenistico, cioè relativista, si è smarrita in molti la distinzione fondamentale tra peccatore e peccato, e nella confusione, si è ritenuto che abbracciare il peccatore significhi nel contempo, necessariamente, ignorare il peccato; che abbracciare la donna e l’uomo che hanno abortito comporti l’accettazione dell’aborto, e la sua derubricazione ad azione neutra e indifferente; che l’evangelico “non giudicare” significhi non prendere mai posizione per la verità.
Anche, se non soprattutto, nei confronti di se stessi.
Solo così si può giustificare lo svilupparsi, a poco a poco, di una catechesi in cui non si parla quasi più delle verità di fede, dei “novissimi” (morte, giudizio, inferno, paradiso), del senso del peccato, della confessione.
In cui non si discute, neppure tra cattolici, per evitare scontri, dibattiti, frizioni, delle cose più serie e più concrete della vita di ogni giorno: la morale, il fidanzamento, il matrimonio, l’apertura ai figli.
Al punto che il sottoscritto, che nella Chiesa è cresciuto, non ricorda di aver sentito quasi mai un sacerdote o un catechista parlare dell’indissolubilità del matrimonio, del divorzio, dell’aborto e delle altre sfide imposte dalla contemporaneità.
Mentre a scuola, o con gli amici, se ne parlava spesso, senza che una voce chiara e ferma, divinamente ispirata, fosse neppure accessibile ai più.
Ovviamente, in questo abbraccio col mondo, mentre si è ritenuto di poter scindere la carità dalla necessaria intransigenza sui principi, si è finiti per mancare alla carità primaria del cristiano: quella di dire e di annunciare la verità ricevuta.
Quella di non nascondere la luce rivelata, per quanto possa dare fastidio agli occhi di chi è abituato alle tenebre, sotto il moggio.
In conseguenza di questo nuovo spirito, si è sviluppato un cattolicesimo delle “buone maniere”, della carità spicciola, divenuta filantropia.
Così, piano piano sono nate generazioni di cattolici che ritengono che il peccato più grande sia votare Pdl o Lega ( sembra, anzi, talora, che sia l’unico peccato rimasto); che la fede sia qualcosa di personale, che non incide affatto nella vita di tutti i giorni; che l’essenziale sia nascondere la propria fede in Dio, perché non sia mai che il dichiararla, anche senza nessun trionfalismo o retorica, possa suonare come “imposizione”; che la chiesa abbia sempre sbagliato allorché ha lottato per affermare qualche principio contro il mondo; che i volontari del Movimento per la vita siano fanatici residui di un passato ormai al tramonto.
Questi cattolici di nuovo conio, ben descritti da Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro nei loro pungenti manuali, sono dediti ai mea culpa giornalieri sul petto dei nostri padri; alla distribuzione di cibo e di vestiario, come unica proposta agli immigrati e ai poveri del Terzo mondo, quasi Cristo fosse venuto sulla terra esclusivamente per moltiplicare i pani e i pesci e non per darci “parole di vita eterna”.
Persa ogni concretezza e quotidianità, esultano per le marce pacifiste, colorate e poco impegnative, e schifano chi prega dinnanzi alle cliniche abortiste (ma spesso anche ci prega e basta); ammirano le inutilissime sfilate radicali a favore dei bambini che muoiono di fame in Africa, ma non sanno inorridire per le migliaia di bambini che il ciclone Emmatar ha eliminato con le proprie mani e col sorriso sulla bocca.
Voteranno Bonino, magari senza grande convinzione, ma per dimostrare a se stessi di essere sufficientemente “laici”, per sentirsi moderni, aperti e dialoganti.
Come quella Maria Pia Garavaglia, senatrice cattolica del Pd, che mi ha scritto per complimentarsi, calorosamente, per la mia nomina alla direzione di un Movimento pro life, e qualche giorno dopo, con lo stesso entusiasmo, ha condannato un eventuale “rifiuto” e “chiusura” degli elettori cattolici verso la Bonino.
Poi la ha ampiamente lodata e imbrodata in un’intervista a Radio radicale, come “persona di qualità politiche e umane” e ha solennemente dichiarato: “Conosco e stimo la candidata e sono sicura che, nella sua campagna elettorale, saprà valorizzare temi e programmi che stanno a cuore agli elettori cattolici”.
Quali temi e quali programmi.
non si sa.
”UNO SCHIAFFO ALLA COMUNITÀ CRISTIANA” Sandro Magister Ad accendere la discussione è stato un intellettuale che non appartiene alla Chiesa ma è da anni vigoroso apologeta della visione di Karol Wojtyla, Joseph Ratzinger e Camillo Ruini: Giuliano Ferrara, direttore del quotidiano d’opinione “il Foglio”.
La scintilla gliel’ha offerta un articolo – durissimo contro la Bonino – uscito il 20 gennaio su “Avvenire”, il giornale della conferenza episcopale italiana.
Domenico Delle Foglie, l’autore dell’articolo, è un cattolico di primo piano, ha organizzato per mandato dei vescovi il “Family Day” di due anni fa e dirige il sito “Più voce.
Cattolici in rete”.
È stato vicedirettore di “Avvenire” e lo scorso autunno fu quasi sul punto d’essere chiamato a dirigerlo, al posto del dimissionario Dino Boffo e in continuità con lui, ruiniano a tutto tondo.
Ma prima ancora che Delle Foglie scrivesse il suo articolo, nel principale partito della sinistra italiana, il Partito Democratico, la candidatura Bonino aveva diviso i cattolici che ne fanno parte.
Due di essi, Renzo Lusetti ed Enzo Carra, avevano abbandonato il partito, giudicandolo non più abitabile.
Altri invece, come Franco Marini e Maria Pia Garavaglia, avevano salutato con favore la candidatura Bonino, addirittura raccomandandola come “capace di temi e programmi che stanno a cuore agli elettori cattolici”.
Contro questi cattolici “arrendevoli” e “illusi”, Delle Foglie ha invece scritto che la Bonino incarna almeno tre pericoli gravi.
Il primo è simbolico: uno “schiaffo alla comunità cristiana” da parte di “una testimone di militante inimicizia nei confronti della visione cristiana dell’uomo e del mondo”.
Il secondo pericolo è che, qualora vincesse, la neopresidente Bonino si metterebbe all’opera per fare del Lazio “il laboratorio di tutti gli zapaterismi”, dal nome del premier spagnolo iperlaicista.
Il terzo è la “sovrana ipocrisia” di cui la Bonino dà prova già nel corso della campagna elettorale, quando promette di operare “con e per i cattolici”, lei che ha speso tutta una vita a lottare contro la Chiesa.
Ebbene, il giorno dopo l’uscita di questo articolo su “Avvenire”, sulla prima pagina del “Foglio” Ferrara sottoscrisse in pieno quanto scritto da Delle Foglie.
Ma nello stesso tempo si scagliò contro il giornale dei vescovi perché aveva nascosto quell’articolo a pagina 11, perché l’aveva declassato a opinione personale dello scrivente, perché insomma aveva dato prova di timidezza nell’affrontare una questione che riguarda non piani urbanistici o altre faccende opinabili, ma quei principi supremi definiti dallo stesso papa “non negoziabili”.
Insomma, concludeva Ferrara alludendo a ciò che faceva la Chiesa nel 1952 e prima di quell’anno: “Meglio i Comitati Civici di una volta che il timido ‘Avvenire’ di oggi”.
VITERBO.
MA NON ERA LA CITTA DEI PAPI? A Ferrara rispose il giorno successivo il direttore di “Avvenire” Marco Tarquinio.
E Ferrara gli controrispose ventiquattr’ore dopo, confermando le sue critiche.
Intanto, però, “il Foglio” aveva fatto altro.
Aveva mandato una sua valente inviata, Marianna Rizzini, a esplorare le diocesi della regione Lazio, per sentire cosa pensassero i preti e i fedeli della candidata Bonino.
Il responso della prima diocesi esplorata, quella di Viterbo, fu impietoso.
Il titolo: “Chiesa di base con Emma.
Inchiesta a Viterbo.
Compatte opinioni cattoliche, in certi casi fervide, a favore della candidata abortista, divorzista, eutanasista, che definì l’embrione ‘un grumo inerte’.
Rari i distinguo, e timidi”.
In effetti, nel reportage di Marianna Rizzini da Viterbo i soli che si schieravano contro la Bonino erano i “missionari” del Movimento per la Vita, quelli che dedicano la loro vita a far nascere i bambini, non a farli abortire.
Di poco più confortante è stato il secondo reportage della serie, dalla diocesi di Frosinone.
E così un terzo, dalla città di Roma.
LA PAROLA AI VESCOVI: BAGNASCO E NEGRI A questo punto sono entrati in campo i vescovi.
Il primo, Angelo Bagnasco, è il cardinale che ha preso il posto di Ruini alla presidenza della conferenza episcopale.
Nella prolusione con cui ha aperto il 25 gennaio la sessione invernale del consiglio permanente della CEI, Bagnasco ha detto di avere questo “sogno”: “Vorrei che questa stagione contribuisse a far sorgere una generazione nuova di italiani e di cattolici che, pur nel travaglio della cultura odierna e attrezzandosi a stare sensatamente dentro ad essa, sentono la cosa pubblica come importante e alta, in quanto capace di segnare il destino di tutti, e per essa sono disposti a dare il meglio dei loro pensieri, dei loro progetti, dei loro giorni.
Italiani e credenti che avvertono la responsabilità davanti a Dio come decisiva per l’agire politico”.
E ancora: “Vorremmo che i valori che costituiscono il fondamento della civiltà − la vita umana comunque si presenti e ovunque palpiti, la famiglia formata da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio, la responsabilità educativa, la solidarietà verso gli altri, in particolare i più deboli, il lavoro come possibilità di realizzazione personale, la comunità come destino buono che accomuna gli uomini e li avvicina alla meta − formassero anche il presupposto razionale di ogni ulteriore impresa, e perciò fossero da questi cattolici ritenuti irrinunciabili sia nella fase della programmazione sia in quella della verifica”.
Bagnasco non ha aggiunto nulla, a proposito del caso Bonino.
Parecchio di più ha detto invece un presule che non fa parte del consiglio permanente ma non è di second’ordine: Luigi Negri, vescovo di San Marino e Montefeltro, milanese e stretto collaboratore in gioventù del fondatore di Comunione e Liberazione, don Luigi Giussani.
In un’intervista a Paolo Rodari su “il Foglio” del 26 gennaio, Negri ha detto che un limite della Chiesa italiana è di non saper sempre rendere operativo il pur chiarissimo magistero degli ultimi due papi: “Perché di fronte a una candidatura dichiaratamente contro la Chiesa una parte del mondo cattolico si mostra privo di atteggiamento critico? È la domanda che mi sono posto dopo aver letto l’inchiesta del ‘Foglio’ a Viterbo che ha evidenziato come per molti cattolici non fa difficoltà la candidatura della Bonino nel Lazio.
Se facessimo la medesima inchiesta in altre regioni, vorrei dire in tutte le regioni d’Italia, il risultato sarebbe lo stesso di Viterbo.
Perché il dato è uno e chiede d’essere guardato: stiamo crescendo generazioni assolutamente incapaci di giudizio critico sulle cose.
Leggendo l’inchiesta del ‘Foglio’ mi è venuto in mente quel versetto della Bibbia, Geremia 31, dove si dice: ‘I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati’.
Mi domando: siamo stati capaci di favorire in questi anni l’espressione di una vera cultura della fede? Oppure è cresciuta tra noi, sotto i nostri occhi, una generazione per la quale il dialogo viene prima dell’identità? A volte sembra che il dialogo che impostiamo con chi non crede altro non sia che una resa senza condizioni.
Nel nome del dialogo ci dimentichiamo chi siamo.
E dimenticandoci chi siamo sono sempre gli altri ad avere ragione, ad avere la meglio”.
Per il vescovo Negri occorre ripartire da ciò che predicano Benedetto XVI e la conferenza episcopale italiana “Sono dieci anni che i vescovi parlano di emergenza educativa.
Occorre lavorare tutti su questa emergenza perché soltanto in questo modo i cattolici di oggi e di domani potranno imparare a giudicare e difendere la propria identità.
Soltanto in questo modo i cattolici potranno capire che è arrivato il tempo di uscire dalla notte in cui tutte le vacche sono nere e tutte le identità hanno lo stesso colore.
Un tempo, insomma, in cui anche il vaglio critico dei candidati alle elezioni sarà più semplice”.
LA POLEMICA CONTINUA Lo stesso giorno, su “Avvenire” un altro cattolico in vista, Pio Cerocchi, di nuovo criticava con severità quei politici cattolici presenti nel Partito Democratico che avevano accettato passivamente la candidatura Bonino.
Anche questa volta in una pagina interna e come opinione personale.
__________ I due giornali protagonisti della disputa: > Avvenire > Il Foglio E il sito diretto da Domenico Delle Foglie, con riportati i principali interventi: > Più voce.
Cattolici in rete
www.chiesa.it Più di mezzo secolo dopo quel lontano 1952 e in entrambi i casi con le elezioni amministrative alle porte, si ripresenta oggi per la diocesi del papa un pericolo identico: che il suo governo civile cada in mani nemiche.
Ma le reazioni della Chiesa appaiono oggi molto diverse da allora.
Nel 1952 il papa e le autorità vaticane, allarmatissimi, si attivarono in prima persona.
Temendo la vittoria elettorale, proprio sotto le mura vaticane, di comunisti e socialisti che all’epoca erano legatissimi all’impero di Mosca, Pio XII ordinò al partito cattolico – la Democrazia Cristiana guidata da Alcide De Gasperi, oggi in via di beatificazione – di far fronte comune con i partiti di estrema destra dentro una lista civica capeggiata dall’anziano sacerdote Luigi Sturzo – anche lui oggi incamminato agli altari – e pronta ad essere sostenuta dall’Azione Cattolica e dai suoi Comitati Civici.
De Gasperi rifiutò.
Nelle elezioni amministrative di Roma tenne ferma l’alleanza con i partiti laici di centro, la stessa con cui era al governo in Italia.
Aveva visto giusto e i numeri gli diedero ragione.
A Roma i comunisti e i socialisti furono sconfitti.
Ciò non tolse che Pio XII punì De Gasperi per la disubbidienza, rifiutando di riceverlo in udienza con la moglie e la figlia Lucia in occasione dei suoi trent’anni di matrimonio e dei voti religiosi della figlia.
LA SORPRESA EMMA BONINO Oggi il quadro politico italiano è profondamente mutato.
La DC non c’è più.
I cattolici sono diluiti in tutti i partiti.
Al governo nazionale c’è Silvio Berlusconi, che su vita, famiglia e scuola è il leader più vicino alle attese della Chiesa.
Al governo della regione Lazio e quindi della diocesi del papa c’è un’amministrazione di sinistra, lontana e sbiadita erede del defunto partito comunista.
Questa amministrazione ha subito nei mesi scorsi un duro colpo con le dimissioni del suo presidente, Giuseppe Marrazzo, travolto da avventure a luci rosse con transessuali e cocaina.
Privi di un proprio candidato alternativo, per riconquistare il governo del Lazio nelle elezioni regionali che si terranno tra due mesi i partiti di sinistra hanno accettato di appoggiare l’autocandidatura a presidente di un personaggio ad essi esterno, simbolo del radicalismo anticattolico più spinto, Emma Bonino (nella foto).
Emma Bonino è una veterana dei “diritti umani”.
Ma entro questi “diritti” – che ha difeso anche come incaricata della Commissione Europea – essa ha sempre incluso aborto, eutanasia, matrimoni omosessuali, libertà di droga, insomma l’intera panoplia di quella che Giovanni Paolo II definì “cultura della morte”.
Dagli anni Settanta circola un filmato che la ritrae, fiera, mentre pratica un aborto a una donna aiutandosi con un barattolo di latta e una pompa di bicicletta.
Ebbene, di fronte alla sfida rappresentata dalla candidatura Bonino, come reagisce la Chiesa? Sicuramente non come fece nel 1952.
Anche perché oggi è impensabile che il papa in persona detti ai cattolici una precisa “macchina” politica per fronteggiare il pericolo.
Anche nella Chiesa infatti, oltre che in campo politico, tante cose da allora sono cambiate.
La Chiesa italiana non ha più un partito cattolico di riferimento.
Si muove libera a tutto campo.
La sua battaglia è fatta di “cultura cristianamente orientata”.
E grazie a questa libertà e intraprendenza riesce a volte a essere più influente che in passato, nella sfera pubblica.
È questo il modello Ruini, dal nome del cardinale che ha guidato la conferenza episcopale per sedici anni, fino al 2007.
Se e come questo modello stia operando oggi, con il caso Bonino, è materia vivacemente discussa.

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