Nacque sotto Papa Onorio III (1216-1227), quando Federico II, figlio di Enrico II, svevo, e di Costanza d’Altavilla, normanna, era imperatore di Germania e Italia e re di Sicilia.
Esponente della nobiltà germanica era il padre di Tommaso, figlio di Francesca di Svevia sorella di Federico Barbarossa, mentre da una casata di principi normanni di Sicilia discendeva la madre Teodora.
L’intreccio tedesco/normanno accomuna il rappresentante del Sommo potere e quello della Somma teologia: Eusebio di Cesarea avrebbe letto questa coincidentia come segno della provvidenza divina, analogo a quello della nascita di Gesù sotto Augusto, al sorgere di quell’impero che Costantino avrebbe sacralizzato.
“Segni” del suo futuro compaiono già prima della sua nascita: un eremita esorta Teodora, prossima al parto, a rallegrarsi perché il nascituro nella vita avrebbe brillato di tale sapienza e santità, che nessuno l’avrebbe eguagliato: “Buono di nome ma più buono ancora per la vita santa”.
È il dodicesimo figlio – anche la numerologia ha un rilievo – come Beniamino, il figlio più amato da Giacobbe, dalla cui tribù discese l’Apostolo delle genti.
Troveremo analogia tra alcuni episodi della vita di Paolo e quella di Tommaso.
Un segno nel cielo, secondo una fonte tarda, fa coincidere la nascita del santo nello stesso giorno di Ambrogio di Siena e Iacopo di Bevagna: in pieno giorno a Bevagna si videro tre mezze lune con assisi i tre dottori mentre i bambini gridavano ad scholas, annunciandone la grandezza.
Il segno, di stampo cristologico come la cometa su Betlemme, è predizione che Tommaso avrebbe abbandonato l’ordine benedettino per entrare in quello domenicano.
Ancora, Tommaso ha pochi mesi e una tempesta si abbatte sul castello di Roccasecca.
Un fulmine colpisce il torrione, proprio nella stanza dove dorme il piccolo con una domestica e la sorellina, che resta uccisa, mentre Tommaso rimane incolume.
Il fulmine poi raggiunge la stalla uccidendo i cavalli.
Il padre di Tommaso, leggendo l’evento come un segno divino, affida il figlio come oblato ai benedettini del vicino monastero di Montecassino.
La simbologia è duplice, l’incolumità che preserva l’uomo di Dio e il complesso segno dei cavalli uccisi.
Diretto a Damasco a perseguitare i cristiani, dal fulmine è colpito Paolo che cade da cavallo divenendo da soldato in armi cavaliere spirituale di Cristo.
Anche a Tommaso è indicata la via di una milizia mistica e di sapienza insieme alla rinuncia alla superbia e all’onore mondano, di cui il cavallo è figura secondo Agostino.
Lo confermano alcuni episodi.
Per fargli indossare le vesti di monaco benedettino o di nobile cavaliere e impedire la sua adesione all’ordine domenicano, il padre ridurrà a brandelli il suo abito, ma Tommaso si riavvolgerà nelle sue vesti lacere lieto di subire quell’ingiuria in nome di Cristo.
Rinuncerà anche all’ordinazione di arcivescovo di Napoli offertagli da Clemente IV, preferendo la vita monacale a onori e ricchezze.
Invitato a cena da re san Ludovico insieme al priore, nel periodo della sua lotta contro il manicheismo, durante il convito batte ripetutamente la mano sul tavolo, continuando a pensare e a parlare dell’eresia, dimenticandosi, novello san Martino, di essere alla corte di un re.
D’altronde, l’ingresso nella sua ultima dimora, l’abbazia di Fossanova, avviene non a cavallo, ma in groppa a un asino, a perfetta imitazione di Cristo, che entra trionfalmente in Gerusalemme per esservi crocifisso, come il martire e vescovo Policarpo in groppa a un asino è condotto al martirio.
Tommaso avrebbe pronunciato queste parole: “Se il Signore verrà a prendermi, è meglio che mi trovi in una casa di religiosi che in un castello”.
Il cavallo ha anche simbologia positiva: Girolamo e Ambrogio rappresentano la quadriga della virtù che conduce al cielo, le virtù cardinali con cui Orcagna personifica il santo (Santa Maria Novella, Firenze).
Nella storia di Tommaso appare anche il “segno” del libro ingoiato.
Ancora in fasce è ai bagni pubblici di Napoli, dove la madre l’ha condotto perché le truppe papali hanno invaso Roccasecca.
Tommaso stringe nella manina un pezzetto di pergamena e lo porta alla bocca.
Invano la nutrice cerca di aprirgli il pugno chiuso e deve immergerlo nell’acqua con quella carta nella mano.
Quando la madre riesce a farsi dare la pergamena vede che vi è scritta l’Ave Maria.
Fonti più tarde raccontano che il bambino ingoiò la pergamena.
Tommaso, come Giovanni nell’Apocalisse, ingoia il libro, dolce come il miele nella bocca e amaro come il fiele nello stomaco.
In lui entra la sapienza del Verbo incarnato in Maria, con le verità dolci per chi crede e amare per gli increduli.
Con la benedizione della Vergine, quasi a ricevere un secondo battesimo, Tommaso è immerso nell’acqua in modo prodigioso.
Il santo è tale fin dalla nascita, è puer senex, bambino senza infanzia, secondo la definizione di Curtius: Tommaso rifiuta il divertimento dell’acqua per tenere stretta la pergamena, come Antonio non frequentava i coetanei per recarsi in chiesa, come Ilario dalla culla alzava le due piccole dita per benedire e come Ambrogio da piccolo giocava a fare il vescovo.
Fin da bambino, Tommaso avrebbe dato prova di carità.
La famiglia era solita recarsi a Chieti nella stagione autunnale.
Una tradizione locale lo descrive mentre distribuisce pane ai poveri.
Uscito dalla dispensa col grembo colmo di scorte, si imbatte nel padre che severamente gli impone di aprire la veste, da cui il pane era prodigiosamente scomparso per lasciare il posto a petali e fiori, medesimo miracolo attribuito alla contemporanea santa Zita.
Il pane è il simbolo della carità, dell’eucaristia, di Gesù vita disceso dal cielo (Giovanni, 6, 15) partorito da Maria, secondo gli apocrifi da bambina nutrita da cibo angelico e nel Cantico dei Cantici sposa di Cristo nel giardino fiorito.
La pergamena ingoiata e il pane tramutato in fiori si chiariscono nella simbologia mariana.
Alla vocazione dei santi spesso si oppongono uno o entrambi i genitori, fin nei primi Atti dei Martiri, quando il cristianesimo era oppresso dal paganesimo, e poi in successive realtà storico-geografiche in fase di evangelizzazione.
È il caso di Martino e dell’ostilità del padre che voleva per il figlio il successo della carriera militare.
Analogo il caso di Tommaso, che però sceglie di abbandonare un ordine, quello benedettino filoimperiale, per quello dei mendicanti-predicatori.
Il santo è figura eccezionale e il suo essere straordinario sorge in primo luogo dal modo in cui emerge in un gruppo di appartenenza: Martino è un soldato, Benedetto è studente, Ambrogio è magistrato.
Quando cresce il desiderio della virtù, il santo lascia questo gruppo, vi ritornerà dopo avere superato una prova.
Antonio apre la porta della tomba in cui si era rinchiuso e rientra nel mondo, Martino e Ambrogio sono chiamati all’episcopato, Benedetto entra in una nuova comunità, come Tommaso, dopo la prova della prigionia.
Si trovava bene nell’abbazia di Montecassino ma, verso i quattordici anni, fu costretto a lasciarla, perché nel 1239 fu occupata dalle truppe di Federico ii, allora in contrasto con il Papa Gregorio ix, che scacciò tutti i monaci.
L’abate accompagnò personalmente l’adolescente Tommaso dai genitori, raccomandando loro di farlo studiare presso l’università di Napoli, allora sotto la giurisdizione dell’imperatore.
A Napoli conobbe, nel vicino convento di san Domenico, i frati predicatori e restò conquistato dal loro stile di vita e dalla loro profondità dottrinale; quasi ventenne, decise di entrare nell’Ordine domenicano, nel 1244; i suoi superiori, intuito il talento del giovane, decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi.
La scelta provocò l’ira dei suoi familiari, soprattutto della madre Teodora, rimasta vedova, che riponeva in Tommaso speranze per gestire gli affari del casato.
Teodora chiese all’imperatore di dare una scorta ai figli, ufficiali nell’esercito, perché questi potessero bloccare Tommaso, già in viaggio verso Parigi, con il padre generale dell’ordine, Giovanni di Wildeshausen detto il Teutonico.
Viene fermato e praticamente rapito dai fratelli nei pressi di Acquapendente; ritrovato in un prato, presso una fonte, è strappato dal locus coelestis della vita monacale per essere rinchiuso nel locus horridus del castello di Monte San Giovanni, di proprietà della famiglia.
Il sequestro dura un anno, durante il quale la famiglia cerca in tutti i modi di farlo desistere da una scelta ritenuta non consona alla dignità della casata: arriva a introdurre nella sua cella una fanciulla vestita con abiti provocanti.
Tommaso scaccia fuori della stanza la prostituta con un tizzone ardente, e disegna il segno della croce sulla parete con la punta annerita.
Prostrato a terra, prega il Signore di preservare la sua castità: appaiono due angeli che gli stringono una stretta cintura ai reni.
Come Gesù, il santo è assalito e resiste alle tentazioni; l’archetipo della seduzione femminile è, nella Vita Antonii, uno dei tanti travestimenti del demonio.
Dopo due anni, temendo l’ira del Signore, la madre infine cede, in coincidenza anche con la deposizione di Federico ii (17 luglio 1245), e consente ai domenicani di riprendersi Tommaso, che viene fatto fuggire, calato dalla finestra in una cesta.
È condotto a Napoli dove prende i voti monastici e da qui a Roma.
La fuga è un tòpos paolino: l’apostolo, venuto a conoscenza della congiura ordita contro di lui dagli ebrei di Damasco, nottetempo viene fatto calare dalle mura dai cristiani suoi amici in una cesta (II Corinzi, 11, 32-33).
I precedenti veterotestamentari sono nella fuga dei due ebrei inviati da Giosuè come spie a Gerico, aiutati dalla prostituta Raab, e in Davide, ricercato a morte da Saul, fatto fuggire da Mikal.
Studente a Colonia, alla scuola di Alberto Magno (Dante, Paradiso, x, 97-99, “frate e maestro fummi”; Beato Angelico, Scuola di Alberto Magno, ritratto ai piedi del maestro), suscita la curiosità dei compagni.
C’era una certa attesa nei confronti di questo ragazzo del sud che aveva combattuto per farsi domenicano.
Racconta Guglielmo di Tocco che divenne straordinariamente silenzioso, assiduo nello studio, devoto nella preghiera.
I confratelli cominciarono a chiamarlo “bue muto”, ignorando ancora l’irrompente muggito e l’armonia del canto teologico della sua dottrina.
È un caso di nomen/omen.
Il referente testamentario è I Corinzi, 9, 9 (Deuteronomio, 25, 4): non mettere la museruola al bue che trebbia, che già nei primi Padri della Chiesa significa che non si possono mettere a tacere gli Apostoli e tutti coloro che annunciano la verità.
Si cercò di farlo tacere, quando a Parigi, a causa della contestazione degli ordini mendicanti, fu scacciato dall’università insieme a san Bonaventura.
Tommaso continuò a predicare e a scrivere fino a quando Papa Alessandro non ricompose la controversia.
“Bue muto” è dunque nomen del silenzioso rimuginare del lògos da parte di Tommaso (la pergamena ingoiata) che avrebbe proferito una delle più alte parole teologiche.
Conversava con gli Apostoli, così testimonia un altro episodio.
Immerso nella comprensione di un difficile passo di Isaia, restò per tre giorni digiuno e in preghiera.
Cominciò quindi a dettare il suo commento con una rapidità eccezionale, mentre sembrava parlare con qualcuno: riferì che Pietro e Paolo e la Vergine gli avevano suggerito l’interpretazione di passi oscuri.
Dunque l’epiteto indica la santità della sua parola ispirata: san Bonaventura, entrato nello studio di Tommaso mentre scriveva, vide la colomba dello Spirito accanto al suo volto.
Ultimato il trattato sull’eucaristia, lo depose sull’altare davanti al crocifisso per ricevere dal Signore un segno.
Subito fu sollevato da terra e udì le parole: Bene scripsisti, Thoma, de me quam ergo mercedem accipies? E rispose Non aliam nisi te, Domine.
Anche Paolo fu rapito al terzo cielo, e poi Antonio e tutta una serie di santi fino a Caterina; il volo, il levarsi in aria indica la vicinanza con il cielo e con Dio, con archetipo nelle figure di Enoch e Elia.
Nonostante le precarie condizioni di salute, Tommaso ricevette l’ordine di recarsi al Concilio che si sarebbe aperto a Lione per la riconciliazione fra Chiesa greca d’Oriente e la Chiesa di Roma.
Dovette fermarsi al monastero cistercense di Fossanova.
Già sul letto di morte volle lasciare ai fratelli una expositio sul Cantico dei cantici.
Quando arrivò al commento del versetto veni, dilecte mi, esalò l’anima (7 marzo 1274), come Gesù, come tutti i santi, Tommaso muore recitando la Scrittura.
Un religioso vide l’apostolo Pietro sollevare in cielo Tommaso (Zurbaran, Trionfo di san Tommaso, Siviglia); sant’Alberto Magno, che si trovava a tavola nel convento di Colonia, in lacrime ne annunciò la morte.
Ritroviamo lo stesso episodio nella Vita Antonii: l’eremita percepì la morte del monaco Paolo a molte miglia di distanza.
Le ricognizioni delle reliquie di Tommaso portano alla luce un corpo pressoché intatto che emana quel profumo di fiori caratteristico già della prima letteratura agiografica, simbolo delle virtù, della santità, della partecipazione del santo allo spirito divino.
L’inviolabilità è il segno visibile dell’incontro tra divino e umano, dimensione sacrale che ha come referente centrale l’incarnazione-morte-resurrezione del Verbo.
Come uno dei miracoli in vita, la guarigione dell’emorroissa, anche i miracoli di Tommaso post mortem sono cristologici (restituisce la vista al cieco e la vita al morto, libera molti indemoniati).
Guglielmo di Tocco, riferendosi ai numerosi prodigi avvenuti attraverso la reliquia della mano di Tommaso afferma che quella mano, con il dito dell’intelletto, aveva aperto il libro ricevuto da Colui che siede alla destra del trono: la pergamena ingoiata dal piccolo Tommaso aveva restituito la Parola divina.
(©L’Osservatore Romano – 28 gennaio 2010) Èdifficile presentare una breve biografia di Tommaso.
Le fonti sono spesso contraddittorie e il santo, al contrario di Agostino, non parla quasi mai di sé, tranne alcuni cenni.
Ma sfogliando la fonte principale e altre più tarde (Guglielmo di Tocco, Historia beati Thomae de Aquino; Raimondo Spiazzi, Vita di san Tommaso d’Aquino.
Biografia documentata, 1995), appare una costellazione di segni della sua futura santità.
Cominciamo dai suoi natali: patria, stirpe, educazione sono i tre elementi nodali delle biografie pagane, i cui valori sono destrutturati nella vita di un santo, il cui modello, come già quello del martire, è Gesù, figlio di un falegname, che ha nobilitato e eletto a popolo di Dio proprio i diseredati e gli umili.
Tommaso è però monaco e nobile, unendo l’antico esempio cenobitico a quello tardo e celebrativo di epoca merovingia e carolingia.
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