Il Papa in Sinagoga: omaggio a vittime Shoah di Orazio La Rocca «Un’ulteriore tappa dell’irrevocabile cammino di concordia e di amicizia tra ebrei e cattolici».
E’ il «convinto» auspicio che Benedetto XVI formula al rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, in vista dell’attesa visita che farà domenica prossima alla Sinagoga di Roma, la seconda di un Papa, dopo quella fatta il 13 aprile 1986 da Giovanni Paolo II, che fu il primo pontefice della storia – dopo San Pietro – ad entrare in un tempio ebraico.
Ratzinger ne parla nel telegramma inviato, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, al rabbino capo Di Segni in risposta ai suoi auguri natalizi.
Telegramma reso noto ieri, lo stesso giorno in cui il rabbino capo di Tel Aviv, Israel Meir Lau, rilancia le riserve sulla beatificazione di Pio XII, chiedendo al Papa – in una intervista a Sky Tg24 – di non elevare agli onori degli altari Pacelli.
Il tema era esploso lo scorso dicembre in seguito alla firma di Ratzinger dei decreti sulle virtù eroiche di Pio XII e Wojtyla, suscitando le critiche di parte del mondo ebraico che accusa Pacelli di essere stato in «silenzio» verso la Shoah.
Ieri il rabbino Mair Lau ha aggiunto di «vedere con grande sospetto a stupore» il rilancio della beatificazione di Pio XII.
Ma non solo.
Sostiene pure che «Wojtyla ha vissuto la Shoah dalla parte delle vittime, mentre Ratzinger ha passato la seconda guerra mondiale dall’altra parte della barricata e questo può essere una grande differenza».
Qualche garbata riserva emerge anche dall’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechay Lewy, al mensile Pagine Ebraiche, ripreso anche dall’Osservatore Romano.
Il diplomatico, nel parlare degli antichi «traumi ebraici», ricorda che «una ferita grave e dolorosa inflitta nel passato si apre ogni qualvolta la vittima si trova di fronte ai simboli del carnefice».
Si tratta di un problema reso ancora più complicato dal fatto che, riconosce Lewy, «solo pochi rappresentanti dell’ebraismo sono realmente impegnati nell’attuale dialogo con i cattolici».
Polemiche e riserve a parte, tutto è pronto per la visita di Ratzinger che sarà accolto, alle 16,30 dal rabbino capo Di Segni e da Riccardo Pacifici, presidente degli ebrei romani, e Renzo Gattegna, presidente degli ebrei italiani.
L’incontro comincerà con un omaggio alle lapidi che ricordano la deportazione degli ebrei del ghetto di Roma del 16-10-1943 e l’attentato da parte di terroristi palestinesi del 9-10-1982, in cui morì il bambino Stefano Gay Tachè e numerosi ebrei furono feriti.
Dopo, ai piedi della scalinata della Sinagoga Di Segni pronuncerà il suo discorso di benvenuto.
L’ingresso in Sinagoga sarà accompagnato dal canto di un coro, seguito dalle prolusioni ufficiali.
Al termine, breve dialogo privato tra Papa e Rabbino capo; visita alla mostra Et ecce gaudium allestita nel museo ebraico e incontro con ebrei romani.
in “la Repubblica” del 13 gennaio 2010 Laras contro la visita del Papa in sinagoga «Non è un fatto positivo, io non ci sarò» «La visita del Papa alla sinagoga di Roma è un fatto negativo».
È una posizione dura quella espressa dal presidente dell’Assemblea rabbinica italiana Giuseppe Laras (ascoltalo in AUDIO), che domenica non parteciperà alla storica cerimonia nel Tempio maggiore di Lungotevere De’ Cenci.
Un evento, dice, che «non porterà nulla di buono, ma servirà solo ai settori più retrivi della Chiesa».
Laras spiega che durante l’attuale pontificato «il rapporto fraterno tra ebrei e cattolici è diventato sempre più debole».
In particolare il rabbino ha fatto riferimento a «infortuni sul lavoro», come la revoca della scomunica del vescovo lefebvriano Richard Williamson e il processo di beatificazione di Pio XII.
GIOVANARDI: OFFENSIVO – Parole che suonano offensive secondo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Carlo Giovanardi: «Se Laras ha deciso di stare lontano dalla visita del Santo Padre alla sinagoga deve sapere che con questo atteggiamento offende i cattolici, soprattutto quelli che hanno sempre testimoniato amicizia e solidarietà con gli ebrei e lo Stato di Israele.
Nel dialogo possono nascere incomprensioni, ma l’interruzione del dialogo e gesti di scortesia non aiutano certamente a chiarire le rispettive posizioni».
L’AMBASCIATORE LEWY – Alle parole del presidente dei rabbini fanno eco quelle dell’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede, Mordechai Lewy, secondo cui «l’antigiudaismo cattolico esiste ancora»: «Sono sicuro che quando il Concilio Vaticano II ha approvato la “Nostra Aetate” (dichiarazione sui rapporti tra cattolici ed ebrei con la condanna dell’antisemitismo, ndr) non tutti erano d’accordo, come credo che non tutti lo siano ancora oggi».
Inoltre, spiega, le precisazioni del Vaticano sul timing della beatificazione di Pio XII non fermeranno le critiche.
Ma Lewy riconosce che la visita di Benedetto XVI ha una «dimensione storica» e «nonostante la differenza di opinioni possiamo mantenere un dialogo onesto e molto amichevole».
L’anno scorso la celebrazione comune della Giornata era saltata per la protesta da parte di alcuni rabbini contro l’introduzione della preghiera per la conversione degli ebrei: «È stata un’eccezione – spiega Lewy -, una breve interruzione di rapporti che però da tempo sono positivi».
CORRENTI RETRIVE – Secondo il presidente dei rabbini Laras, che ha rilasciato un’intervista al Juedische Allgemeine Zeitung, giornale della comunità ebraica tedesca, nulla di positivo può derivare dalla visita di Benedetto XVI, «né per il dialogo ebraico-cattolico, né per il mondo ebraico in genere.
L’unica che potrà trarne vantaggio sarà la Chiesa, in particolare nelle sue correnti più retrive.
Qualora si verificasse un nuovo motivo di attrito con il mondo ebraico, potrà servirsi di questo evento per ribadire ed esibire la sua sincera amicizia nei nostri confronti».
Laras ha poi attaccato la comunità ebraica romana dato che – spiega – l’ebraismo italiano non è stato coinvolto nella decisione da assumere in merito all’incontro con il Pontefice.
La scelta di non disdire la visita «è stata presa unilateralmente dalle rappresentanze della comunità ebraica di Roma e dal suo rabbino capo», Riccardo Di Segni, e l’idea di annullare la visita dopo la recente dichiarazione di Benedetto XVI su Pio XII «è stata condivisa da molti in Italia, soprattutto da parte delle famiglie dei superstiti della Shoah e da alcuni esponenti del Rabbinato italiano.
Pur condividendo l’idea di non annullare l’incontro, avrei preteso un chiarimento maggiormente significativo della Chiesa cattolica sui presunti eroismi di Pio XII, ora additati al mondo come modello da esaltare e da imitare».
DI SEGNI: VISIONI DIVERSE – A Laras ha replicato lo stesso Di Segni: «Abbiamo visioni differenti e io rispetto molto le visioni differenti, sarà il tempo a dire chi ha fatto la scelta giusta».
E sulla visita di domenica: «Quello che farà il papa francamente non lo so.
Stiamo valutando se e come affrontare gli argomenti sollevati dalla vicenda della beatificazione di Pio XII».
Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica romana, esprime massimo rispetto per la posizione di Laras, ma sottolineando che la presenza in sinagoga delle più autorevoli personalità del mondo ebraico internazionale testimoniano «l’incoraggiamento e il sostegno» alla visita di Ratzinger affinché il dialogo vada avanti.
IL PRECEDENTE NEL 1986 – L’ultima visita di un papa alla sinagoga romana risale al 1986, quando Giovanni Paolo II fu accolto nel tempio dall’allora rabbino capo di Roma Elio Toaff.
Ed è proprio Toaff a dire oggi che il cammino di dialogo e chiarificazione tra ebraismo e cristianesimo prosegue anche se ogni tanto compaiono «quelli che oramai chiamiamo errori di percorso».
L’anziano rabbino, sostituito da Di Segni nel 2001, domenica sarà presente per salutare brevemente Benedetto XVI.
Il suo giudizio sulla visita è «molto positivo»: «Ebraismo e cristianesimo continuano a dialogare e a parlarsi ormai ininterrottamente da decenni a partire dal Concilio Vaticano II.
Questo nuovo appuntamento significa che il cammino prosegue su questa strada anche se ogni tanto compaiono quelli che oramai chiamiamo errori di percorso.
Tuttavia credo che grazie alla buona volontà di tutti il dialogo proseguirà sulla strada della collaborazione e della comune comprensione».
14 gennaio 2010 «Il Papa in Sinagoga, dialogo che continua» Una visita che «ha valore in sé».
«Come segno di continuità», dice il rabbino capo della comunità ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, che domenica prossima riceverà Benedetto XVI, quasi 24 anni dopo la storica prima volta di Giovanni Paolo II.
A pochi giorni dal nuovo evento Di Segni ci riceve nel suo studio privato e in questa intervista ad Avvenire affronta con la consueta franchezza tutti i punti più importanti dell’agenda comune ebraicocattolica.
A cominciare dal cambiamento di clima che nel giro di 12 mesi ha ribaltato una situazione di forte tensione.
Perciò l’esponente ebraico afferma convinto: «Indietro non si torna».
Grazie al dialogo sono stati realizzati «sostanziali passi avanti ».
Rabbino, giusto un anno fa la giornata dell’amicizia tra ebrei e cattolici non fu celebrata.
Domenica prossima invece il Papa si recherà nella Sinagoga di Roma.
Che cosa ha determinato questo netto miglioramento? La sospensione della celebrazione della giornata era dovuta alle turbolenze in merito alla preghiera del venerdì santo «pro Judaeis» che toccava un nervo scoperto della sensibilità ebraica.
Se, infatti, il dialogo serve alla conversione degli ebrei, noi lo rifiutiamo per principio.
Il dialogo serve invece per conoscerci e per rispettarci, cioè per farci più forti nelle nostre fedi, conoscendo meglio l’altro.
Se invece ha altri scopi, per noi non ha senso.
Su questo erano necessari dei chiarimenti che grazie al dialogo sono arrivati e questo ha reso possibile rasserenare il clima.
E quest’anno la celebrazione assume un aspetto assolutamente eccezionale.
Qual è il significato di questa visita? La visita ha valore di per sé come gesto di continuità, poiché si colloca sulla scia di un grande gesto compiuto da Giovanni Paolo II.
Il fatto che il gesto venga ripetuto significa che non resta isolato, che questa linea è tracciata e che Benedetto XVI non ha intenzione di tornare indietro.
Perciò si crea un modo di rapportarsi ed una tradizione da seguire.
Papa Ratzinger è già alla sua terza visita in una Sinagoga, è stato al Muro del Pianto e allo Yad Vashem, ha reso omaggio alla Shoah recandosi ad Auschwitz.
E tutto questo in meno di cinque anni di pontificato.
Chi è oggi per il mondo ebraico Benedetto XVI? È un Papa che ha una forte sensibilità per il nostro mondo, ma anche un pensiero complesso.
E infatti, accanto ad aspetti di grande simpatia per la realtà ebraica ha anche dei momenti di pensiero ben fermo, di posizioni che non incontrano ovviamente il nostro favore.
Tuttavia non è certamente un Papa che interrompe il dialogo o che dice: «Bisogna tornare indietro», anzi va avanti con la sua precisa formazione.
D’altra parte se fossimo d’accordo su tutto, non ci sarebbe neppure motivo di dialogare.
Quali sono i punti più urgenti di questo dialogo? In primo luogo c’è una questione di clima sereno.
Certo, ogni tanto possono esserci incidenti e inciampi, ma quello che deve essere forte è la volontà di risolverli.
L’altro punto fondamentale è che dobbiamo chiederci: che senso ha che i nostri due mondi si confrontino? E lei che risposta dà a questa domanda? La nostra amicizia deve servire a dimostrare che si può testimoniare la propria fede in un modo non offensivo, non aggressivo e non violento nei confronti degli altri credenti e degli altri esseri umani.
Ed è un messaggio importantissimo nella fase attuale.
Vorremmo anzi che il messaggio di questa visita si allarghi e coinvolga altre comunità.
Recentemente la pubblicazione del decreto sulle virtù eroiche di Pio XII ha suscitato nuove reazioni da parte ebraica.
Qual è la sua opinione al riguardo? Ecco, questa è una questione che divide, è un problema di interpretazione storica, sul quale bisognerà tener presente che la sensibilità ebraica è completamente diversa.
Noi vorremmo che si andasse avanti con e- strema cautela e non con gesti avventati.
Il problema, infatti, dal nostro punto di vista è ben lontano dalla sua soluzione.
Che cosa intende per «estrema cautela » e quali sarebbero invece i «gesti avventati»? Estrema cautela significa che esistono tantissimi documenti ancora da studiare, mentre i gesti avventati sono quelli di chi dice: «La situazione è perfettamente chiara, abbiamo chiuso il discorso e basta».
Tutto chiarito invece sulla questione della preghiera del venerdì santo alla quale lei accennava prima? Sull’argomento direi che è stato raggiunto un armistizio ‘politico’, più che una pace vera.
Nel senso che è stato chiarito dalle più alte autorità della Chiesa che la conversione non si riferisce all’immediato, ma è trasferita alla fine dei tempi.
Non crede che dalla visita verrà anche l’ennesimo fortissimo no all’antisemitismo? Francamente penso che oggi il problema sia l’antigiudaismo, che è una cosa differente, ma non meno pericolosa.
L’antisemitismo è un odio su base razziale e la Chiesa non può essere razzista.
Ma l’ostilità antiebraica può esistere anche a prescindere dall’odio razziale ed è su quello che dobbiamo fare chiarezza, anche se devo riconoscere che sono stati fatti dei progressi sostanziali in questi ultimi anni.
in “Avvenire” del 13 gennaio 2010 intervista a Riccardo Di Segni Riccardo Di Segni (rabbino capo di Roma) dopo le polemiche per il sì di Ratzinger a Pio XII beato come sarà la visita di domenica in sinagoga? «La distinzione tra ruolo storico di Pio XII e valutazione di fede.
E’ stato il segnale che il “via libera” di Benedetto XVI alla beatificazione non era una sfida.
Resta discutibile se quella distinzione abbia una validità morale e teologica, però in quel modo il vaticano ha dimostrato disponibilità al confronto.
Ma la scelta è stata difficile, ci sono state consultazioni e riflessioni continue.
Così si mostra al mondo che con il papa Benedetto XVI il dialogo, pur restando una materia complicata, non torna indietro».
Cosa c’è nel suo discorso? «Non è ancora pronto.
Sarà incentrato sulla riflessione del significato religioso dei nostri rapporti, del rispetto reciproco, ma sto valutando se e in quale forma inserire un riferimento a Pio XII, dopo tutto quello che è successo nei giorni passati.
Domenica ogni singolo aspetto sarà delicatissimo: dall’accoglienza alle parole che verranno pronunciate.
E’ ancora tutto in gestazione e non ci sono stati contatti sui contenuti.
Sul pontificato di Pio XII la pensiamo in modo diverso, però serve incontrarsi anche se si hanno opinioni differenti».
Wojtyla ha vissuto la Shoah dalla parte delle vittime, mentre Benedetto XVI ha passato la seconda guerra mondiale «dall’altra parte della barricata».
Condivide le parole del rabbino capo di Tel Aviv, Israel Meir Lau? «Non è un attacco, bensì la constatazione di una differenza oggettiva tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
A parlare è un gigante dell’ebraismo mondiale, discendente di un’antica dinastia rabbinica.
I suoi genitori sono stati sterminati e lui da bambino si è salvato passando da un lager all’altro.
Israel Meir Lau è polacco ed è stato amico personale di Wojtyla, non è una persona qualsiasi e i suoi interventi hanno una grandissima rilevanza.
Ricordo bene il clima in cui avvenne la visita di Wojtyla alla Sinagoga di Roma.
I problemi e le resistenze non mancavano neanche allora, tanto più che era il primo Papa in duemila anni a entrare in una Sinagoga.
Però le differenze tra i due eventi sono enormi».
Quali? «Le differenze riguardano la persona Wojtyla rispetto alla persona Ratzinger, i tempi e il programma.
Il ruolo delle religioni su scala mondiale è cambiato totalmente.
Ora, con l’incombente scontro fra civiltà, è fondamentale ricondurre il confronto nel giusto ambito.
La visita di Wojtyla fu un grande gesto.
Quattro anni fa ho incontrato Benedetto XVI in Vaticano, gli dissi che era quasi il ventennale della visita di Wojtyla.
Un evento unico, ma che nulla impediva che fosse ripetuto».
Che cosa ha pensato durante le bufere per la grazia al vescovo negazionista Willamson, il ritorno della preghiera del Venerdì Santo per la conversione degli ebrei e Pio XII beato? «Nei primi momenti del pontificato di Ratzinger, si diffuse la convinzione che non solo non ci sarebbero stati passi indietro nel cammino del dialogo con l’ebraismo, ma che la strada segnata sarebbe continuata linearmente.
Purtroppo invece gli ostacoli e gli incidenti di percorso in questi quattro anni non sono mancati, ma bisognerebbe guardare anche alle cose essenziali.
A pochi giorni dalla visita guardiamo di più ciò che ci avvicina invece che a ciò che ci allontana e cioè la denuncia dell’antisemitismo e antigiudaismo passato e presente, la condanna del terrorismo fondamentalista, l’attenzione allo Stato d’Israele, che per tutto il popolo ebraico è un riferimento essenziale e centrale».
in “La Stampa” del 14 gennaio 2010
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