Pubblichiamo quasi integralmente un articolo apparso sul sito in rete della rivista “Mondo e Missione” (www.missionline.org).
La pellicola di James Cameron ha fatto discutere, e molto, anche per il suo rapporto con la religione.
La domanda potrebbe suonare così: di quale religione è Avatar? A dar fuoco alle polveri è stato il commentatore di religious affairs del “New York Times”, Ross Douthat, che dalle colonne del quotidiano liberal l’estate scorsa aveva promosso a pieni voti la Caritas in veritate di Benedetto XVI.
Secondo Douthat, Avatar presenta “un’apologia del panteismo, una fede che rende Dio uguale alla Natura, e chiama l’umanità a una comunione religiosa con il mondo naturale”.
Il commentatore ricorda come questa visione religiosa sia una sorta di cavallo di battaglia dell’Hollywood più recente.
Per Douthat la scelta panteista di Cameron, e dell’industria cinematografica Usa in generale, continua su questa strada perché “milioni di americani vi hanno risposto in maniera positiva”.
E come riconosceva già nell’Ottocento il filosofo francese Alexis de Tocqueville, “il credo americano nell’essenziale unità del genere umano ci porta ad annullare ogni distinzione nella creazione.
Il panteismo apre la strada a un’esperienza del divino per la gente che non si sente a proprio agio con la prospettiva scritturistica delle religioni monoteistiche”.
All’editorialista hanno replicato diversi osservatori.
Sul cliccatissimo giornale online “Huffington Post” Jay Michaelson ha corretto l’interpretazione di panteismo per Avatar, parlando invece di “visione unitaria dell’Essere”.
“I panteisti non pregano, i panessenzialisti sì, come avviene in Avatar”, suona la precisazione di Michaelson.
Un’altra interpretazione viene dal blog “politicsdaily.com”, a firma di Jeffrey Weiss, che invece ha deteologicizzato l’opera di Cameron, affibiandole la qualifica di “allegoria di carattere neurologico, non teologico”: “Il film tende a fare in modo che lo spettatore pensi al modo in cui vuole trattare le persone con cui vive, i valori e le abitudini diverse dalle proprie”.
Dall’Oriente arrivano interpretazioni ancora più “teologiche”.
Il quotidiano “Hindustan Times” ha ospitato una recensione in cui riconosce che i personaggi alieni che abitano Pandora “sono di colore blu, non molto diversi dalle immagini popolari di Shiva”, una delle principali divinità induiste.
A dar man forte all’interpretazione indù del kolossal – che in pratica si sposa bene con la visione panteista del “New York Times” – è anche il sito di “Hinduism Today”, in un articolo dal titolo che più chiaro non si può: “Il nuovo film Avatar getta luce su una parola indù”.
Scrive l’articolista: “La teologia indù elenca dieci tipi di avatar.
Le origini di questa parola vengono dal sanscrito dei sacri testi indù ed è un termine per gli esseri divini mandati a ristabilire la divinità sulla Terra”.
Il sito dà voce a un fedele induista, Anil Dandona: “Il modo in cui la parola avatar viene usata nel film non è una distorsione della mia fede.
È appropriato.
Noi crediamo nell’Essere Supremo mandato presso gli uomini per creare la giustizia.
Questi messaggeri di Dio prendono forme umani, ma hanno qualità divine”.
E il cristianesimo, è assente da Avatar? Mark Silk, sul blog “SpiritualPolitics”, rintraccia il nome “cristiano” di un personaggio del film: Grace Augustine, che per Silk fa riferimento al santo di Ippona e al concetto cristiano di “grazia”.
Sarà Grace a spiegare al protagonista, l’ex marine Jake Sully, i significati nascosti del mondo di Avatar, come quello di “rinascere due volte”, che Silk rilegge cristianamente secondo il dettato evangelico dei born again.
“Per questo – conclude il blogger di “SpiritualPolitics” – è possibile affermare che Cameron ha unito la vecchia teologia cristiana della grazia e della redenzione alla sua parabola anti-imperialista”.
Il dibattito, come si vede, è più aperto che mai.
di Lorenzo Fazzini Tanta stupefacente tecnologia da incantare, ma poche emozioni vere, emozioni umane per intendersi, in un mondo di alieni pur eccezionalmente immaginato e rappresentato.
Tuttavia l’attesissimo film di James Cameron Avatar – che uscirà il 15 gennaio in Italia con un mese di ritardo rispetto al resto del mondo – non deluderà le aspettative degli appassionati del filone fantascientifico.
Infatti con Avatar, la pellicola più costosa della storia (oltre 400 milioni di dollari, lancio compreso), la magia del cinema si rinnova in tutta la sua forza immaginifica. Del resto la rilevanza del film sta nell’impatto visivo più che nella storia, piuttosto scontata, e nei messaggi peraltro non nuovi, già al centro, talvolta con ben altro spessore, di diverse pellicole alle quali il regista si richiama più o meno apertamente, da Piccolo grande uomo a Balla coi lupi, da Un uomo chiamato cavallo a Pocahontas.
L’innovativo 3D, unito alla rivoluzionaria tecnica performance capturing che coglie anche le espressioni degli attori per trasporle in animazione digitale, porta l’esperienza visiva a livelli mai visti.
A cominciare dalla qualità dell’ambiente in cui si svolge l’azione, con una tridimensionalità che non punta a “bucare” lo schermo, ma a rendere la scena avvolgente, con una profondità che avvicina molto alla realtà e una maggiore nitidezza di dettagli.
D’altra parte Cameron ha tenuto questo progetto nel cassetto per 10 anni – la prima idea è del 1995, la realizzazione è iniziata nel 2005 – proprio perché allora non c’erano i mezzi tecnici per rendere sullo schermo quanto da lui immaginato.
E siccome è uno sperimentatore, il regista non si è limitato a usare tecniche di computer grafica già conosciute, ma ne ha inventate altre.
E il risultato è affascinante.
La storia si svolge nel 2154.
Protagonista è Jake Sully (Sam Worthington), un marine rimasto paralizzato alle gambe spedito sul pianeta Pandora, mondo primordiale ricco di materie prime preziose di cui gli umani vogliono impossessarsi e abitato dai Na’vi, giganteschi uomini blu, razza guerriera determinata a difendere il proprio territorio.
Su Pandora non c’è ossigeno e gli uomini non potrebbero sopravvivere.
Per avvicinare i nativi vengono utilizzati degli “avatar”, Na’vi artificiali creati dalla scienziata Grace Augustine (Sigourney Weaver), che possono essere “indossati” da ospiti umani attraverso un travaso della coscienza.
Per Jake è l’occasione per recuperare l’uso delle gambe e tornare in prima linea.
Presto, però, il marine si innamora dell’indigena Neytiri (Zoë Saldana), comincia a comprendere la sua civiltà e le cose per cui lotta, finendo per passare dalla parte dei Na’vi e a combattere contro gli invasori umani.
Cameron punta, dunque, su un racconto di portata universale, facilmente condivisibile nella sua semplicità ed efficacia, che narra un evento più volte ripetutosi nella storia dell’umanità: le violenze e i soprusi, non di rado sfociati in genocidio, compiuti da civiltà considerate più avanzate per soppiantare o sottomettere, per smania di potere e ancor più per interesse, le culture indigene.
Un tema che negli Usa si riflette nel mito della frontiera e nella guerra dei bianchi contro le popolazioni dei nativi, ma che può essere fatto risalire ad altre colonizzazioni e adattabile anche a più recenti guerre.
Ma Cameron, più concentrato sulla creazione del fantastico mondo di Pandora, sceglie un approccio blando; racconta senza approfondire e finisce per cadere nel sentimentalismo.
Il tutto si riduce a una parabola antimperialista e antimilitarista facile facile, appena abbozzata, che non ha lo stesso mordente di pellicole più impegnate su questo fronte.
Analogamente il sotteso ecologismo si impantana in uno spiritualismo legato al culto della natura che ammicca non poco a una delle tante mode del tempo.
La stessa identificazione dei distruttori con gli invasori e degli ambientalisti con gli indigeni appare poi una semplificazione che sminuisce la portata del problema.
Ciò detto, resta l’indubbio valore del film per il suo eccezionale impatto visivo.
Se serviva una nuova frontiera per il cinema di fantascienza, Avatar l’ha segnata, spostandola molto in avanti.
E il record di incassi – che peraltro appartiene a un altro lavoro di Cameron, Titanic (1997) – potrebbe essere superato.
Del resto lo spettacolo vale il prezzo del biglietto.
di Gaetano Vallini (©L’Osservatore Romano – 10 gennaio 2010)
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