Soul Kitchen: La cucina dell’anima

Domande & Risposte   Fatih Akin, regista elegante, si era assicurato una buona fama tra le  giurie internazionali, però voleva “provarci” con la commedia, magari anche triviale, il cui menu prevede finezze estetiche e risate irrefrenabili, battutacce, tripli sensi e sciabolate politicamente ed etnicamente perfette.
Da sentirsi appagati.
Fatih, come l’ha impegnata la scrittura di questo film? E’ stato davvero molto difficile.
Mettere in fila ogni elemento perché tornasse è stato complicatissimo.
Abbiamo lavorato alla sceneggiatura per mesi se non per anni, l’abbiamo rivista innumerevoli volte.
Scrivere in maniera umoristica è molto più difficile rispetto alla scrittura drammatica.
Inoltre scrivere secondo determinate convenzioni è più difficile di quando comunemente si immagini.
Il protagonista soffre di ernia al disco…
Come mai ha scelto proprio l’ernia? Il protagonista secondo la mia visione porta il peso del mondo, quindi la sua infermità è dovuta anche a una dimensione psichica.
E’ un po’ il simbolo del personaggio.
Tra l’altro il sistema “traumatico” che viene usato per curare il personaggio è davvero adoperato, ad esempio in Turchia, e offre autentici benefici.
Posso garantirlo! Come mai è passato alla commedia dopo tanti film d’autore? Avevo l’esigenza di fare un film completamente diverso.
Avevo l’impressione di dover fare un sacrificio per andare oltre, e lo spunto mi è stato dato da un momento doloroso, la morte di un mio caro amico che è stato anche mio produttore.
Lui voleva fortemente che io facessi questo film, ma io resistevo, avevo paura di fare cose che non fossero serissime.
Ma dopo questo triste evento ho capito che dovevo sperimentare.
Del resto mi annoiano i registi che hanno sempre lo stesso stile.
Poi ho capito un’altra cosa, che ridere è parte della vita e non è una cosa da respingere.
Com’è nato il personaggio del cuoco? Questo personaggio è stato ampliato da Birol Uenel, all’inizio non aveva tutta questa importante.
Birol durante le riprese veniva sul set citando Rimbaud, un suo libro che aveva sempre con sè.
E parlava del concetto di svendersi.
Dopo 40-50 volte che ho sentito citazioni di questo genere ho capito che Birol stava parlando del film, del concetto di svendere, svendere cibo, svendere vite.
E ho capito che il cuoco era una specie di Don Chisciotte che combatteva per un mondo migliore.
Com’è stato lavorare con Bousdoukos(l’interprete principale)? E’ l’uomo più forte che conosco: lui è davvero in grado di sollevare il mondo e di giocarci, come Charlot.
La colonna sonora del film Soul Kitchen ,è coinvolgente, come l’avete scelta? Volevamo che la macchina da presa fosse musicale: sul set ascoltavamo sempre le canzoni della colonna sonora, in modo da sentire l’atmosfera giusta per i movimenti di macchina e da sperimentare con essa.
La colonna sonora è composta da molti brani strumentali soul degli anni ’70, come quelli di Quincy Jones e di Kool & The Gang, che danno trasparenza a ogni cosa.
Mi piace usare le canzoni come commento, per inserire un secondo o terzo livello di lettura.
Alla fine del film, quando, durante la vendita all’asta del Soul Kitchen, il concorrente di Zinos si strozza con un bottone, si sente in sottofondo “The Creator Has A Master Plan” di Louis Armstrong.
È una scena comica, ma ha anche qualcosa di divino.
Io credo in questo, credo in un’energia che rende possibili cose di questo genere.
Punti molto sul dialogo e l’incontro, anche tra le culture, cosa possono generare? Uno dei temi principali è proprio quello della comunicazione.
Tutti ne parlano , ma non ce n’è molta.
Quello della comunicazione è davvero un problema in questo mondo globalizzato.
Per questo ho usato tre lingue nel film.
Le tensioni spesso, anche in Turchia, nascono proprio da problemi di comunicazione e io come artista ho cercato solo di usare gli strumenti a mia disposizione per rappresentare il mondo come vorrei.
     È nato il 25/08/1973 ad Amburgo.
Ha studiato Comunicazione Visiva al College of Fine Arts di Amburgo.
I suoi genitori sono emigrati dalla Turchia in Germania nel 1960.
Sposato con Monique, hanno un figlio.
Membro della giuria del Festival del Film Internazionale a Berlino nel 2001, e nel 2005 del Festival di Cannes.
A volte fa il DJ come Superdjango.
Tedesco di seconda generazione, Fatih Akin esprime nelle sue pellicole un mondo delicato, poetico e al tempo stesso ironico e crudo.
Racconta conflitti culturali, identità violate, vite on the road, aspri drammi quotidiani.
Il suo non è solo cinema d’emigrazione, sebbene nelle sue opere il distacco tra la patria d’accoglienza e quella d’origine sia sempre un tema forte e sentito.
Nelle strade affollate della Germania, nei vicoli bui, nei silenzi e nei rumori sconfinati, sembrano rivivere le bellezze e le contraddizioni della Turchia.
Con uno stile che poggia su tregue temporali, stabili impalcature narrative, improvvise esplosioni passionali, spunti satirici al limite del grottesco, frammentazioni dei punti di vista, il regista si impone sin da subito come moderno cantore di tradizioni e differenze, conflitti e integrazioni.
Il primo corto Sensin – Du bist es! (Sensin – You’re the One!, 1995) vince il premio del pubblico al Hamburg International Short Film Festival.
L’esordio nel lungometraggio arriva nel 1997 con Kurz und schmerzlos (Short Sharp Shock), un puzzle denso e colorato sulle vite di tre immigrati (un turco, un serbo e un greco) ad Amburgo.
Il film ottiene il Pardo di Bronzo al Festival di Locarno e il premio come miglior esordiente ai Bavarian Awards di Monaco.
Im Juli (In July, 2000) è un road movie che vede protagonista un professore in viaggio nell’Europa dell’Est, con meta ultima Istanbul.
Obiettivo agognato per riscoprire le proprie origini, porsi uno scopo, ritrovare la coscienza delle radici.
Un filo rosso che unisce tanti emigrati di seconda generazione.
Una rincorsa verso l’identità d’origine che torna prepotente nella terza regia Wir haben vergessen zurückzukehren (I Think About Germany: “We Forgot to Go Back” , 2001), un progetto molto intimo, documentario sul ritorno dei genitori del regista dalla Germania alla Turchia, che diventa pretesto per esplorare sentimenti comuni a tutte le persone lontane dalla propria casa, non necessariamente quella d’origine.
Solino (2002) è un’altra storia di immigrazione, questa volta di una famiglia pugliese trasferitasi a Duisburg negli anni 60.
La Germania vive un profondo cambiamento, è il cinema stesso a guidare i sogni e le aspirazioni dei due fratelli protagonisti.
Conflitti e incomprensioni non potranno scalfire la vita condotta insieme, quando il ritorno al paese natale serve da sguardo e ricognizione verso il passato comune.
Nel 2003 il regista fonda con l’amico Klaus Maek una piccola casa di produzione, la Corazón International.
La società realizza i suoi film ed è il preludio al successo internazionale che Akin ottiene nel 2003: La sposa turca (Gegen die wand, Head-On) vince l’Orso d’Oro al Festival di Berlino.
La completezza formale è raggiunta, nella vicenda di Cahit e Sibel emerge un duro realismo, un sentito mal di vivere, una tensione crescente.
Un dramma interetnico che si muove tra la difficoltà di rimanere fedele alle tradizioni e la voglia di abbracciare il nuovo.
Il tutto è sottolineato dagli intervalli musicali di una immobile banda che suona sulle rive del Bosforo.
Ed è proprio la musica al centro del successivo Crossing the Bridge – The Sound of Istanbul (2004), documentario presentato a Cannes, flusso sonoro sulla scena rock, hip hop e folk della grande città turca.
Il ponte da attraversare è quello tra le due culture che si intrecciano, Oriente e Occidente.
A guidare l’occhio della macchina da presa tra club, dance hall, bar fumosi, periferie e balere, Alexandre Hacke, già autore delle musiche di La sposa turca e membro della industrial band tedesca Einststürzende Neubauten.
Il ritorno alla fiction è del 2007 con Ai confini del Paradiso (Auf der anderei Seite, The Edge of Heaven), seconda parte della trilogia su Amore, Morte & il Diavolo e premiato per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes.
Sei personaggi che si incrociano, ognuno alla ricerca di qualcosa.
Tra Amburgo, Brema, Istanbul, Trabzon, sradicamento, confusione esistenziale, solitudine, compongono un dedalo, una ragnatela di relazioni che ammalia e frastorna, donando soltanto allo spettatore la chiave per ricostruire drammi privati e attrazioni/repulsioni politiche.
Perché si può restare separati dai propri ideali, così come superarli e poi arrivare “dall’altra parte”.
E poi è arrivato: Soul Kitchen , Premio della Giuria internazionale di Venezia’66 L’eccentrico chef di Soul Kitchen, Shayn Weiss, apre le porte della sua cucina e svela i segreti che rendono i suoi piatti così appetitosi: si inizia con il gaspacho andaluso per passare agli gnocchetti di tofu, alle sardine fritte e ai fagottini con salsa allo yogurt.
Per gli amanti della carne non manca l’agnello con ratatouille, mentre chi è goloso di dolci non potrà resistere alla delicatezza della “schiuma di Venere”.
Nonostante si tratti di ricette particolari, Shayn ci dimostra che con gli ingredienti giusti e un pizzico di pazienza anche noi possiamo ricreare un elegante menu soul.
Volete provarci??? (Tutte le ricette del film)   1)Papillon di gaspacho andaluso alla maniera di Shayn Soul-ingredienti 4 fette di pane bianco 600 g di pomodori maturi 2 peperoni 1 cetriolo 3-4 spicchi d’aglio 150 ml di olio d’oliva Sale Pepe macinato fresco 2-3 cucchiai da minestra di aceto di Sherry 2 uova sode 2 scalogni Preparazione Tagliate via la crosta dalle due fette di pane e sbriciolatele grossolanamente, imbevetele d’acqua e lasciate inumidire.
Nel frattempo pelate i pomodori.
Privateli dei semi e tagliateli in piccoli pezzi uniformi.
Fate lo stesso con i peperoni e il cetriolo.
Sbucciate l’aglio e tagliatelo grossolanamente.
Conservate in due piccole ciotole una parte dei pomodori e dei peperoni: vi serviranno più tardi come guarnizione.
Prendete il cetriolo, i pomodori e i peperoni restanti e passateli assieme all’aglio nel mixer.
Aggiungete il pane e 125 ml d’olio, mischiate ulteriormente e passate dunque al setaccio.
Versatevi ora abbastanza acqua (o brodo) fino a ottenere la consistenza desiderata.
Aggiustate di sale e pepe e fate raffreddare per due ore in frigorifero.
Con il pane restante tagliate dei dadini e fateli abbrustolire nell’olio.
Sminuzzate lo scalogno e le uova sode e conservate il pane abbrustolito, lo scalogno e le uova in tre ciotoline separate.
Servite la zuppa molto fredda.
Come accompagnamento porterete in tavola le ciotoline con le verdure e il pane bruscato, così come quelle con le uova e lo scalogno.
Ogni commensale ne aggiungerà a suo piacimento alla zuppa.
  Zuppa del maestro dell’agopuntura Soul-ingredienti Per la minestra: 90 g di burro 30 g di scalogno 250 g di rape rosse 6 dl di brodo chiarificato di pollo o vegetale 1 dl di panna Il succo di mezzo limone Sale, pepe, noce moscata, zucchero   Per gli gnocchetti: 130 g di tofu 35 g di burro 45 g di pane bianco grattugiato 3 rossi d’uovo Sale, pepe, limone Erba cipollina fresca per “agopunturizzare” gli gnocchetti Grattugiate il tofu.
Mescolate il burro ed il rosso d’uovo fino ad ottenere una spuma.
Aggiungete il pane bianco e amalgamate il tofu.
Condite con sale, pepe e limone.
Mettete in freddo.
Tritate finemente lo scalogno.
Lessate le rape rosse pelate e tagliate in piccoli pezzi.
In un pentolino portate ad ebollizione dell’acqua leggermente salata.
Scaldate in una pentola 50 g di burro per poi soffriggere dolcemente lo scalogno.
Aggiungete le rape rosse, fate soffriggere brevemente e stemperate infine versando il brodo nella pentola.
Lasciate cuocere per tre minuti.
Con le mani impastate dei piccoli gnocchetti di tofu che farete cuocere nell’acqua per 5 minuti.
Tagliate l’erba cipollina uniformemente, in “aghi d’agopuntura” delle dimensioni di un fiammifero.
Frullate la zuppa, aggiungetevi la panna, lasciate poi riposare vicino al fornello.
Una volta cotti gli gnocchetti, “agopunturizzateli” con gli steli d’erba cipollina.
Riportate brevemente ad ebollizione la zuppa e, aggiungendo un po’ di burro, rendetela spumosa mescolando.
Servite in un piatto tenuto caldo, adagiando con attenzione nella zuppa gli gnocchetti “agopunturizzati”.
  Sardine fritte “dell’agente immobiliare” su letto di lattuga romana Soul-ingredienti 1 kg di sardine fresche 100 g di farina di mais fina 1 cucchiaino da tè di Pul Biber (fiocchi di paprika macinati grossolanamente) Sale Il succo di un limone Olio di mais per friggere 2 cespi di lattuga romana Un ciuffo di prezzemolo 3 porri 2 scalogni 2 piccoli lime 3 cucchiai da minestra d’olio d’oliva Desquamate (se necessario) le sardine e lavatele in acqua fredda.
Asportate ad ogni pesciolino la testa e praticate un’incisione all’altezza della pancia per ripulire le interiora.
Lasciate i pesci per circa un’ora sotto acqua corrente fredda.
Asciugateli poi su carta da cucina, salate e versatevi sopra alcune gocce di succo di limone.
Spianate su di un piatto la farina di mais, un po’ di sale e il Pul Biber.
Scaldate olio di mais a sufficienza in una padella.
Impanate con cautela i pesci e friggeteli dorati da entrambi i lati.
Assorbite l’unto in eccesso con della carta da cucina.
Lavate i cespi d’insalata in acqua fredda.
Scolate le foglie e tagliatele in piccoli pezzi.
Fate lo stesso con il prezzemolo.
Sbucciate lo scalogno e tagliatelo ad anelli sottili insieme al porro.
Mischiate tutti gli ingredienti in un’insalatiera.
Condite poi con olio d’oliva ed il succo dei lime.
Servite le sardine in un vassoio assieme all’insalata e decorate con il prezzemolo e qualche spicchio di limone.
Accompagnate con del pane.
Fagottini dello “spaccaossa” con salsa allo yogurt Soul-ingredienti   Per l’impasto: 400 g di farina 1 uovo ca.
200 ml di acqua 1 cucchiaino da tè di sale Farina per la lavorazione Per il ripieno: 150 g di macinato magro di agnello 1 cipolla 1 mazzetto di prezzemolo Pepe nero macinato 1 cucchiaino da tè di paprika dolce Una manciata di cumino stellato 1 cucchiaino da tè di sale Per la salsa: 375 g di yogurt greco 2 spicchi d’aglio senza buccia Extra: 80 g di burro 1 cucchiaino da tè di paprika piccante Menta fresca per decorare Impasto: setacciate la farina e mischiatela con il sale, l’uovo e l’acqua.
Lavorate l’impasto fino ad ottenere un composto uniforme e solido.
Ricoprite l’impasto e fate riposare per 20 minuti.
Ripieno: mettete la carne macinata in una ciotola.
Insieme grattugiatevi finemente la cipolla.
Lavate il prezzemolo, asciugatelo e tagliatene finemente le foglie.
Aggiungete alla carne il prezzemolo, la paprika dolce, il cumino, il sale, il pepe macinato e impastate con cura.Salsa: versate lo yogurt in una scodella.
Aggiungete l’aglio spremuto, amalgamate con la frusta fino a rendere lo yogurt cremoso.
Fate raffreddare la salsa in frigorifero.
Dividete l’impasto in quattro parti.
Su di un ripiano che avrete infarinato in precedenza stendete la pasta fino a ottenere una sfoglia molto sottile che taglierete in quadrati di quattro centimetri di lato.
Su ogni quadrato di pasta ponete un cucchiaino da tè del ripieno.
Pressate i quattro angoli della sfoglia ed anche i bordi così da formare dei fagottini ben sigillati.
In una pentola capiente scaldate acqua a sufficienza salandola con un cucchiaio da minestra di sale.
Fate quindi bollire i fagottini a fuoco moderato e senza coperchio per 4-5 minuti.
Scolate con attenzione aiutandovi con un setaccio.
Sciogliete il burro in un pentolino aggiungendovi la polvere di paprika.
Servite i fagottini in piatti fondi, versatevi sopra un po’ della salsa allo yogurt, qualche goccia di burro alla paprika e decorate con della menta fresca.
Prelibatezza d’agnellino da latte “meeh” con ratatouille Soul-ingredienti 12 costolette di agnellino 100 ml di aceto balsamico 5 cucchiai da minestra di olio d’oliva 1 limone Rosmarino Origano Timo 1 spicchio d’aglio 1 piccolo peperoncino Sale, pepe 3 peperoni (rosso, verde, giallo) 1 zucchina Mezza melanzana 2 scalogni 1 spicchio d’aglio 3 pomodori Sale, pepe Olio d’oliva Timo Origano Lavate velocemente le costolette e tamponatele con della carta da cucina.
Incidete con il coltello in più punti il margine di grasso e raschiate via con cura le ossa dalla carne.
Per la marinata versate l’olio, l’aceto balsamico e il succo di limone in una scodella.
Aggiungetevi gli odori lavati e sfilacciati grossolanamente.
Schiacciate poi uno spicchio d’aglio sbucciato.
Dividete a metà il peperoncino, privatelo dei semi e tritatelo finemente.
Mischiate bene aggiungendo pepe e sale.
Mettete le costolette in una padella e ricopritele con la marinata.
Lasciate riposare il tutto ricoperto per circa 3-4 ore in frigorifero, preoccupandovi di voltare più volte le costolette.
Scolate le costolette e rosolatele in una padella con dell’olio caldo oppure sulla griglia tenendole dai 3 ai 5 minuti per lato.
Infine aggiustate di sale e pepe.
Dopo averla cotta, lasciate riposare ancora un po’ la carne.
Per la ratatouille mondate la verdura e tagliatele in pezzi d’uguale grandezza.
Sbucciate gli scalogni e l’aglio e tritate finemente.
Pelate e private i pomodori dei semi per poi tagliarli a loro volta.
Fate appassire a fuoco dolce gli scalogni e l’aglio e aggiungeteci a mano a mano i peperoni, le zucchine e le melanzane.
Insaporite con il timo, l’origano, il sale e il pepe, lasciando cuocere e accertandovi che le verdure mantengano la cottura al dente.
Infine aggiungete i pomodori e fate terminare brevemente la cottura girando bene.
Disponete sul fondo del piatto la ratatouille e adagiatevi sopra tre costolette per porzione.
Decorate con del rosmarino fresco.
Festosa schiuma di Venere su un letto di “soul” uva passa Soul-ingredienti 150 g di glassa bianca 3 uova 1 stecca di vaniglia 2 fogli di gelatina 250 g di panna non troppo montata 0,5 cl di Rum 0,5 cl di Grand Marnier uva passa una ciotola di fragole menta fresca Ammorbidite la gelatina in acqua fredda e sciogliete la glassa a bagnomaria.
Separate poi il bianco di una delle tre uova.
Montatelo a neve con un pizzico di sale assicurandovi che sia sufficientemente compatto da non fuoriuscire dalla ciotola capovolta.
In una seconda ciotola montate la panna lasciandola un po’ lenta.
Fate freddare entrambe in frigorifero.
Fate sciogliere lentamente la glassa tagliata in piccole parti fino a renderla liquida.
Estraete l’essenza dalla stecca di vaniglia recisa in due parti per lungo.
Sbattete quindi le due uova ed il giallo restante assieme alla vaniglia e aiutandovi con del vapore rendetele spumose.
Scaldate il Rum e il Grand Marnier in un pentolino e scioglietevi la gelatina ben strizzata.
Procedete ad amalgamare la glassa e la gelatina sciolta con la spuma d’uova ancora calda.
Rigirate e fate freddare.
Aggiungete con molta cautela prima la panna e poi il bianco d’uovo montato al composto d’uovo liquoroso.
Nel fare ciò abbiate cura di non alterare il volume e la spumosità.
Versate tutto in un recipiente che lascerete freddare in frigorifero fino a ottenere una densa spuma di Venere.
Sciacquate e asciugate le fragole.
Conservate 4-6 fragole che userete dopo come decorazione, mentre passate quelle restanti nel mixer e poi al setaccio.
Arricchite la salsa di fragole con dello zucchero a velo e qualche goccia di Grand Marnier.
Lavate ora l’uva e liberatela dai raspi, asciugate.
Passiamo ora alla presentazione: prendete dei bicchieri da cocktail (Martini) o delle piccole ciotole di vetro.
Adagiatevi uno o più chicchi d’uva (regolatevi in base alla grandezza del vetro).
Aiutandovi con un sac à poche con il beccuccio a stella riempite i bicchieri coprendo delicatamente i chicchi d’uva con la spuma di Venere.
Versate poi in superficie un po’ di salsa di fragole, decorate con le restanti fragole e della menta fresca.
N.B.
La presentazione di queste ricette che sono preparate dal cuoco estroso di Soul Kitchen possono- forse- cancellare anche qualche altro stereotipo, tipo “che schifo, il mangiare tedesco, turco, arabo…”, no???   Soul Kitchen, Premio della Giuria internazionale di Venezia’66 [Soul Kitchen , Germania, 2009, Commedia, durata 99′]   Regia di Fatih Akin Con Moritz Bleibtreu, Birol Ünel, Wotan Wilke Möhring, Jan Fedder, Peter Lohmeyer, Dorka Gryllus, Lukas Gregorowicz, Maria Ketikidou, Catrin Striebeck, Marc Hosemann Zinos (Adam Bousdoukos) è il proprietario di origine greca di un ristorante di Amburgo che sta attraversando un periodo di notevoli difficoltà: la sua fidanzata Nadine si è trasferita a Shanghai e ai suoi clienti il nuovo chef che ha assunto non va affatto a genio, tanto che hanno deciso in massa di boicottare il locale.
Per Zinos si tratterà così di intraprendere una lotta su due fronti: riconquistare la fiducia della clientela e il cuore di Nadine.
Due compiti che però non lo spingono decisamente nelle stessa direzione, mettendolo di fronte a scelte complicate.
 “La musica è il cibo dell’anima!” grida un disperato Zinos all’ispettrice dell’Ufficio Imposte mentre esce dal Soul Kitchen con l’impianto stereo che gli ha confiscato perché non ha pagato le tasse.
Il soul è il cuore di questo ristorante di Wilhelmsburg: dai brani strumentali funky di Kool & The Gang, Quincy Jones o Mongo Santamaría alle classiche tracce R&B di Sam Cooke e Ruth Brown.
Ma non c’è solo la musica soul.
La colonna sonora è un mix di hip-hop e sound elettronico di Amburgo, musica rock dal vivo, rebetiko greco e “La Paloma”.
Un tipico DJ-set di Fatih Akin insomma, e naturalmente non può esserci un heimat film ambientato ad Amburgo senza una canzone di Hans Albers, uno dei più grandi e popolari attori-cantanti tedeschi degli anni ’30 e ’40.
Che cos’è la musica soul? Non appena il rhythm ‘n’ blues si affermò come musica nera, diede vita a nuovi stili: il rock ‘n’ roll negli anni cinquanta, la musica soul negli anni sessanta, la musica disco e funk negli anni settanta.
Dal novembre 1963 al gennaio 65 Billboard non pubblicò la hit-parade della categoria Rhythm ‘n’ Blues, dato che c’erano così tanti brani che potevano essere compresi sia nel rhythm ‘n’ blues che nel pop che sembrava superfluo mantenere le due categorie separate.
Un revival del rhythm ‘n’ blues negli anni sessanta ripristinò questa categoria, che da quel momento in poi incluse la musica soul e altri stili di musica nera.
Mentre i temi dominanti nei testi del rhythm ‘n’ blues erano l’amore e i rapporti umani in generale, le parole cantate dagli interpreti di soul toccavano temi quali l’ingiustizia sociale, l’orgoglio dei neri, la militanza nera e altre forme di protesta; la loro musica di conseguenza era più dura, più intensa e più esplosiva del rhythm ‘n’ blues, con maggior enfasi sugli elementi tradizionali (come il gospel, per esempio) e sulle pratiche interpretative.
Alla pari di altri stili di musica nera, la musica soul eludeva una definizione precisa; la maggior parte dei suoi maggiori esponenti apparteneva anche al mondo del gospel, del blues o del rock.
Certamente una lista comprenderebbe, oltre agli individui già citati, James Brown (1933-2006), Ray Charles (1930-2004), Sam Cooke (1931-1964), Aretha Franklin (1942) e Nina Simone (Eunice Kathleen Waymon, 1933-2003).
James Brown, il cui primo grande successo fu Please, Please, Please nel 1956, nei tardi anni sessanta si era già guadagnato il titolo di «padrino del soul» e «Soul Brother No.
1» e divenne particolarmente famoso per il suo manifesto vocale Black is Beautiful: Say It Loud: l’m Black and l’m Proud (1968).
Aretha Franklin che figurava regolarmente al primo posto nei sondaggi gospel, blues e rhythm ‘n’ blues, fu consacrata «regina del soul», mentre Nina Simone si guadagnò l’appellativo di «sacerdotessa del soul».
Sam Cooke passò dalla apprezzatissima posizione di lead singer del gruppo gospel Soul Stirrers a una posizione di uguale rilievo nell’orbita del soul e del rhythm ‘n’ blues.
Esercitò una grande influenza su cantanti quali Marvin Gaye (1939-1984), Al Green (1946), Otis Redding (194| 1967) e Robert «Bobby» Womack (1944).
Altre figure importanti del soul furono «Little» Anthony and the Imperials, Roy Hamilton, Clyde McPhatter, Jackie Wilson e il gruppo femminile The Shirelles(Da: La musica dei neri americani.
Dai canti degli schiavi ai Public Enemy, di Eileen Southern, edizioni il Saggiatore).

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