Spidlík

L’intervista Eminenza, qual è il bilancio dei suoi 90 anni e in sintesi del suo Novecento? «Guardando indietro, sono stupito dei grandi segni della Provvidenza che mi ha protetto nei difficili periodi del Novecento: la crisi dopo la prima guerra mondiale, l’occupazione nazista, il totalitarismo comunista, la ricerca dell’identità nell’esilio.
L’inno nazionale della Cechia comincia con le parole: dov’è la mia patria? La mia risposta è semplice: sono ciò che sono nato e ringrazio tutti gli altri Paesi, soprattutto l’Italia, che mi hanno aiutato a sviluppare attraverso lo studio e la spiritualità ciò che mi fu impedito nella mia terra natale».
Lei ha conosciuto bene uno dei grandi testimoni del Novecento, Giovanni Paolo II.
Qual è il suo ricordo? «Era un Papa slavo e forse anche per questo ci siamo ben compresi, da subito, riguardo al suo amato aforisma “respirare a due polmoni”.
In questo spirito ho cercato di predicare gli esercizi spirituali nel 1995 alla Curia romana, dopo i quali è nata l’idea di costruire la cappella Redemptoris Mater che è stata realizzata nel 1999.
A mio giudizio con la costruzione di questo luogo di culto dentro il Vaticano e l’enciclica di Giovanni Paolo II Redemptor Hominis e le domande di senso racchiuse in quel testo, come ad esempio la parte dedicata ai diritti dell’uomo, si chiude in un certo senso la parabola del Novecento con le sue tragedie».
Si narra che Karol Wojtyla fosse edificato ma anche divertito dalla sua capacità di predicare… «Il Papa rideva e scherzava volentieri.
Una volta ci incontrammo nel corridoio del Palazzo apostolico e voleva benedirmi.
Io gli dissi: Santo Padre non posso inginocchiarmi, ho male alle gambe.
E lui rispose: anch’io.
Meno male, Santo Padre, che cominciamo dalle gambe e non dalla testa, gli feci io…».
Leggendo la sua biografia, salta subito all’occhio il gran numero di lingue nelle quali le sue opere sono state tradotte.
«Ci sono tante traduzioni, è vero, ma non è colpa mia! Ad esempio un mio libro uscì molti anni fa, prima della guerra in Iraq, in arabo col permesso di Saddam Hussein.
Altri volumi sono usciti in Egitto.
In neogreco sono tradotti i manuali, mentre i romeni traducono praticamente tutto.
Prima si usavano i miei libri in francese, come seconda lingua; poi i giovani sono diventati anglofoni, ma ora li traducono in romeno e persino in russo».
Che cosa l’Oriente cristiano può significare e dare come patrimonio culturale all’Europa e all’Occidente di oggi? «Credo che l’Oriente cristiano potrà ora dare un suo contributo veramente efficace.
Il motivo è semplice: gli slavi sono stati gli ultimi ad essere stati battezzati e proprio per questo il loro apporto, rispetto ad altre culture europee, è entrato più tardi nella coscienza universale.
Il grande Solov’ëv riteneva che questo apparente deficit fosse un segno provvidenziale per il ruolo <+corsivo>in fieri<+tondo> che proprio gli slavi avrebbero potuto giocare nella società che verrà ma anche per il futuro del cristianesimo».
Il cardinale Giacomo Biffi nel 2007, durante gli esercizi spirituali alla Curia romana, citando l’«Anticristo» di Solov’ëv, ha detto che esso potrebbe celarsi oggi in un pacifista così come in un ecologista, annacquando così l’essenza del messaggio cristiano.
Qual è la sua opinione a riguardo? «Concordo con la preoccupazione del cardinale Biffi.
L’Anticristo viene presentato come l’uomo ideale, che pensa di risolvere tutti i problemi umani adoperando bene la ragione e la volontà, ma senza Cristo.
Il suo successo finisce in una catastrofe mondiale.
Il rischio, a ben vedere, è in fondo evidente, seppur con connotati diversi, anche nella nostra cultura e mentalità corrente, che vuole vivere senza Dio».
Citando il suo amato Dostoevskij sarà, secondo lei, la bellezza a salvare il mondo? «Credo di sì.
Anche Solov’ëv amava citare questa frase.
Il suo significato più autentico è quello di superare l’aspetto estetico.
Il “bello” è ciò in cui si riesce a vedere un elemento che lo supera, elevandolo.
Il carbone e il diamante, ad esempio, sono chimicamente uguali.
Eppure il carbone è brutto perché in esso non vediamo nient’altro.
Al contrario il diamante è bellissimo perché vi risplende la luce.
I gradi della bellezza sono diversi.
Ma non c’è dubbio che la sintesi e il paradosso di tutto questo è racchiuso nella figura del Cristo, che raccolse su di sé le grandezze ma anche le miserie dell’umanità nell’Incarnazione».
L’opera di questo gesuita sembra una lunga citazione (140 libri e più di 600 articoli, tradotti in tutto il mondo, tra questi gli ultimi due saggi scritti per la Lipa nel 2007 Maranatha.
La vita dopo la morte e Il monachesimo).
Ma dietro al cordiale sorriso e alla flemma di questo cardinale si annida la speranza ecumenica di sempre sul futuro del Vecchio Continente: che la Chiesa di Occidente impari, secondo la celebre frase del poeta russo Vjaceslav Ivanov, a «respirare con ambedue i polmoni».
Dal Centro Ezio Aletti, nel cuore di Roma a pochi passi dalla basilica di Santa Maria Maggiore, il cardinale gesuita Tomás Spidlík, che domani, 17 dicembre, compirà 90 anni rilegge il suo Novecento con grande gratitudine per i doni ricevuti.
Circondato dalle icone della spiritualità orientale e dai dipinti e mosaici del suo confratello Marko Ivan Rupnik tornano alla mente di questo anziano porporato, nato nel 1919 a Boskovice in Moravia, come in un album dei ricordi, i grandi autori, da Pavel Florenskji all’amato Teofane il Recluso, che hanno costellato la sua vita di intellettuale cattolico più studiato nel mondo ortodosso per la sua conoscenza della spiritualità dell’Oriente cristiano.

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