Natale dei popoli

Se c’é una cosa carina da ricordare dalle tumultuose manifestazioni dei black bloc  e di tutti coloro che sono accorsi a Copenaghen( tra l’altro, la città più verde d’Europa, nel dicembre 2009!!!) perché “i grandi della terra”  assumano provvedimenti seri per ridurre i guai climatici, ho notato un cartello profetico( forse gliel’ha suggerito lo stesso Gesù Bambino, essendo entrati già nel clima natalizio): quello che da il titolo al mio servizio sull’ormai NATALE DEI POPOLI che ci apprestiamo a festeggiare.
E’ innegabile che non c’è un Pianeta B e che Cristo, per quanti credono in Lui e nel suo messaggio di pace e tenerezza tra tutti i popoli della terra, per l’umanità c’è solo la terra da salvare assolutamente, essendo il “luogo” che ha scelto per incarnarsi ed assumere la nostra miserabile umanità, affinché si stabilisca tra gli uomini e le donne quella complicità amichevole per meglio vivere e prosperare insieme, senza lasciare alcuno indietro.
In tale atmosfera, richiamo alcune tradizioni natalizie.
STORIA E TRADIZIONI DEL NATALE Storicamente non è accertato che Gesù il Cristo sia nato effettivamente il 25 dicembre.
Nei Vangeli di Matteo e di Luca, che danno una descrizione di alcuni momenti legati alla Natività, non è citato né il giorno, né il mese, e neppure l’anno della venuta del Figlio di Dio, anche se sappiamo che Gesù nacque quando regnava l’imperatore Cesare Augusto.
La festa del Natale cristiano, ovvero del dies natalis Christi, sembra sia stata istituita, nella data del 25 dicembre, da Papa Giulio I solo nel 337.
Il primo riferimento al 25 dicembre si trova in uno scritto di Sant’Ippolito del 235 circa, il Commentario su Daniele: «La prima venuta di nostro Signore, quella nella carne, nel quale egli nacque a Betlemme, ebbe luogo otto giorni prima delle calende di gennaio, di mercoledì, nel quarantaduesimo anno di regno di Augusto» (IV, 23, 3).
Un’altro documento, la Depositio episcoporum (elenco liturgico contenuto nel Cronografo, il più antico calendario della Chiesa di Roma), attesta che tale celebrazione era già presente nel 336, anche se sembra che inizialmente la festività fosse celebrata solo nella Basilica di San Pietro.
Altri documenti ecclesiastici rinviano al 354, sotto il pontificato di Liberio, la prima apparizione del Natale in Occidente (come si attesta ancora nello stesso Cronografo).
Nel 461 la scelta sarà ufficializzata da Papa Leone Magno.
La Chiesa di Roma decise di far coincidere la ricorrenza della nascita del Cristo con la festa pagana della nascita del Sole invincibile (Dies Natalis Solis Invicti), voluta dall’imperatore Aureliano nel 275, per soffocare il “culto del sole” ancora radicato presso i Romani, nonostante Costantino avesse proclamato la confessione cristiana religione ufficiale dell’Impero.
Egli, poi, nel 321, aveva cambiato il nome del primo giorno della settimana da Dies Solis, il “venerabile” giorno del Sole, a Dominus, “giorno del Signore” (questo cambiamento non fu accettato da tutti, tanto che nel centro-nord dell’Europa, ancora oggi, è rimasto l’antico nome di “giorno del Sole”: Sunday tra i Sassoni e Sontag presso i popoli germanici).
Il 25 dicembre, successivamente,  è una data importante per molte religioni antiche, poiché si celebrava la nascita di una divinità legata alla simbologia del Sole:in Egitto si ricordava la nascita di Horo o Horus (nato dalla vergine Osiride); presso i Babilonesi si festeggiava il dio Tammuz (unico figlio della dea Istar, rappresentata con il bimbo in braccio e con un’aureola di dodici stelle attorno alla testa, che muore per risorgere dopo tre giorni); in Grecia la nascita di Dionisio (Bacco per i Romani); in Siria quella di Adone; in Persia si celebrava la nascita di Mitra (figlio del Sole e Sole egli stesso); presso i popoli precolombiani era una data significativa poiché coincideva con la venuta della divinità inca Quetzalcoatl, in Messico, o di Bacab, nello Yucatan, divinità quest’ultima messa al mondo dalla vergine Chiribirias; i popoli scandinavi, invece, onoravano la nascita del dio Freyr.
Una singolare omogeneità si ha poi con il culto mitraico, la pratica devozionale “antagonista” del cristianesimo, giunto a Roma con l’espandersi dell’Impero verso Oriente: anche Mitra era stato partorito da una vergine in una grotta, aveva dodici discepoli ed era soprannominato “il Salvatore”.
Per i paesi occidentali, tra cui quelli che si dicono “cristiani” , la tradizione più comune è l’allestimento del Presepio.
Infatti, gli evangelisti Luca e Matteo sono  i primi a descrivere la Natività.
Nei loro brani c’è già tutta la sacra rappresentazione che a partire dal medioevo prenderà il nome latino di praesepium ovvero recinto chiuso, mangiatoia.
Si narra infatti della umile nascita di Gesù, come riporta Luca, “in una mangiatoia perché non c’era per essi posto nell’albergo” (Ev., 2,7); dell’annunzio dato ai pastori; dei magi venuti da oriente seguendo la stella per adorare il Bambino che i prodigi del cielo annunciano già re.
Questo avvenimento così familiare e umano se da un lato colpisce la fantasia dei paleocristiani rendendo loro meno oscuro il mistero di un Dio che si fa uomo, dall’altro li sollecita a rimarcare gli aspetti trascendenti quali la divinità dell’infante e la verginità di Maria.
Così si spiegano le effigi parietali del III secolo nel cimitero di S.
Agnese e nelle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla in Roma che ci mostrano una Natività e l’adorazione dei Magi, ai quali il vangelo apocrifo armeno assegna i nomi di Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, ma soprattutto si caricano di significati allegorici i personaggi dei quali si va arricchendo l’originale iconografia.
Il bue e l’asino, aggiunti da Origene, interprete delle profezie di Abacuc e Isaia, divengono simboli del popolo ebreo e dei pagani; i Magi il cui numero di tre, fissato da S.
Leone Magno, ne permette una duplice interpretazione, quali rappresentanti delle tre età dell’uomo: gioventù, maturità e vecchiaia e delle tre razze in cui si divide l’umanità: la semita, la giapetica e la camita secondo il racconto biblico; gli angeli, esempi di creature superiori; i pastori come l’umanità da redimere e infine Maria e Giuseppe rappresentati a partire dal XIII secolo, in atteggiamento di adorazione proprio per sottolineare la regalità dell’infante.
Anche i doni dei Magi sono interpretati con riferimento alla duplice natura di Gesù e alla sua  regalità: l’incenso, per la sua Divinità, la mirra, per il suo essere uomo, l’oro perché dono riservato ai re.
A partire dal IV secolo la Natività diviene uno dei temi dominanti dell’arte religiosa e in questa produzione spiccano per valore artistico: la natività e l’adorazione dei magi del dittico a cinque parti in avorio e pietre preziose del V secolo che si ammira nel Duomo di Milano e i mosaici della Cappella Palatina a Palermo, del Battistero di S.
Maria a Venezia, e a Roma quelli delle Basiliche di S.
Maria in Trastevere della Basilica di Santa Maria Maggiore, dove già nel 600 esisteva  una riproduzione della grotta di Betlemme: «Sancta Maria ad Praesepem».
E molti cristiani si recavano a visitarla con la stessa devozione con la quale i pellegrini confluivano a Betlemme, in Giudea, alla grotta considerata luogo di nascita di Gesù e dove per desiderio di sant’Elena (madre dell’imperatore Costantino) sorse, nel 326, la Basilica della Natività.  In queste opere dove si fa evidente l’influsso orientale, l’ambiente descritto è la grotta, che in quei tempi si utilizzava per il ricovero degli animali, con gli angeli annuncianti mentre Maria e Giuseppe sono raffigurati in atteggiamento ieratico simili a divinità o, in antitesi, come soggetti secondari quasi estranei all’evento rappresentato.
Dal secolo XIV la Natività è affidata all’estro figurativo degli artisti più famosi che si cimentano in affreschi, pitture, sculture, ceramiche, argenti, avori e vetrate che impreziosiscono le chiese e le dimore della nobiltà o di facoltosi committenti dell’intera Europa, valgano per tutti i nomi di Giotto, Filippo Lippi, Piero della Francesca, il Perugino, Dürer, Rembrandt, Poussin, Zurbaran, Murillo, Correggio, Rubens e tanti altri.
Il presepio come lo vediamo realizzare ancor oggi ha origine, secondo la tradizione, dal desiderio di San Francesco di far rivivere in uno scenario naturale la nascita di Betlemme; nel 1223 a Greccio, in Umbria, per la prima volta arricchì la Messa di Natale con la presenza di un presepio vivente, episodio poi magistralmente dipinto da Giotto nell’affresco della Basilica Superiore di Assisi.  L’opera ideata da san Francesco venne chiamata Presepio o Presepe, termine di derivazione latina indicante la stalla, e anche la mangiatoia che si trova in quell’ambiente, propriamente ogni recinto chiuso.
Alcuni studiosi italiani e stranieri ritengono non del tutto corretto attribuire a San Francesco la paternità del presepio.
Come narra Tommaso da Celano, il frate che raccontò la vita del santo, Francesco nel Natale del 1222 si trovava a Betlemme dove assisté alle funzioni liturgiche della nascita di Gesù.
Ne rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poterle ripetere per il Natale successivo.
Ma il Papa, essendo vietati dalla chiesa i drammi sacri, gli permise solo di celebrare la messa in una grotta naturale invece che in chiesa.
Quando giunse la notte santa, accorsero dai dintorni contadini di Greccio e alcuni Frati che illuminarono la notte con le fiaccole.
All’interno della grotta fu posta una greppia riempita di paglia e accanto vennero messi un asino e un bue.
Francesco, che non era sacerdote, predicò per il popolo riunito.
Pertanto non si tratta della realizzazione di un vero presepio (che é la rappresentazione tridimensionale, a tutto tondo, della nascita di Gesù, mediante un plastico e alcune statuine) ma piuttosto di una messa celebrata eccezionalmente in una grotta anziché in una chiesa.
Il primo presepe con personaggi a tutto tondo risalirebbe quindi al 1283, e fu opera di Arnolfo di Cambio che scolpì otto statuette in legno rappresentanti i personaggi della Natività ed i Magi.
Tale presepe si trova ancora nella basilica romana di S.
Maria Maggiore.
Da allora e fino alla metà del 1400 gli artisti modellano statue di legno o terracotta che sistemano davanti a un fondale pitturato riproducente un paesaggio che fa da sfondo alla scena della Natività; il presepe è esposto all’interno delle chiese nel periodo natalizio.
Culla di tale attività artistica fu la Toscana ma ben presto il presepe si diffuse nel regno di Napoli ad opera di Carlo III di Borbone e nel resto degli Stati italiani.
Nel ‘600 e ‘700 gli artisti napoletani danno alla sacra rappresentazione un’impronta naturalistica inserendo la Natività nel paesaggio campano ricostruito in scorci di vita che vedono personaggi della nobiltà, della borghesia e del popolo rappresentati nelle loro occupazioni giornaliere o nei momenti di svago: nelle taverne a banchettare o impegnati in balli e serenate.
Ulteriore novità è la trasformazione delle statue in manichini di legno con arti in fil di ferro, per dare l’impressione del movimento, abbigliati con indumenti propri dell’epoca e muniti degli strumenti di svago o di lavoro tipici dei mestieri esercitati e tutti riprodotti con esattezza anche nei minimi particolari.
Questo per dare verosimiglianza alla scena delimitata da costruzioni riproducenti luoghi tipici del paesaggio cittadino o campestre: mercati, taverne, abitazioni, casali, rovine di antichi templi pagani.
A tali fastose composizioni davano il loro contributo artigiani vari e lavoranti delle stesse corti regie o la nobiltà, come attestano gli splendidi abiti ricamati che indossano i Re Magi o altri personaggi di spicco, spesso tessuti negli opifici reali di S.
Leucio.
In questo periodo si distinguono anche gli artisti liguri in particolare a Genova, e quelli siciliani che, in genere, si ispirano sia per la tecnica che per il realismo scenico, alla tradizione napoletana con alcune eccezioni come ad esempio l’uso della cera a Palermo e Siracusa o le terracotte dipinte a freddo di Savona e Albisola.
Sempre nel ‘700 si diffonde il presepio meccanico o di movimento che ha un illustre predecessore in quello costruito da Hans Schlottheim nel 1588 per Cristiano I di Sassonia.
La diffusione a livello popolare si realizza pienamente nel ‘800 quando ogni famiglia in occasione del Natale costruisce un presepe in casa riproducendo la Natività secondo i canoni tradizionali con materiali – statuine in gesso o terracotta, carta pesta e altro – forniti da un fiorente artigianato.
In questo secolo si caratterizza l’arte presepiale della Puglia, specialmente a Lecce, per l’uso innovativo della cartapesta, policroma o trattata a fuoco, drappeggiata su uno scheletro di fil di ferro e stoppa.
A Roma le famiglie importanti per censo e ricchezza gareggiavano tra loro nel farsi costruire i presepi più imponenti, ambientati nella stessa città o nella campagna romana, che permettevano di visitare ai concittadini e ai turisti.
Famosi quello della famiglia Forti posto sulla sommità della Torre degli Anguillara, o della famiglia Buttarelli in via De’ Genovesi riproducente Greccio e il presepe di S.
Francesco o quello di Padre Bonelli nel Portico della Chiesa dei Santi XII Apostoli, parzialmente meccanico con la ricostruzione del lago di Tiberiade solcato dalle barche e delle città di Gerusalemme e Betlemme.
Oggi dopo l’affievolirsi della tradizione negli anni ’60 e ’70, causata anche dall’introduzione dell’albero di Natale, il presepe è tornato a fiorire grazie all’impegno di religiosi e privati che con associazioni come quelle degli Amici del Presepe, Musei tipo il Brembo di Dalmine di Bergamo, mostre, tipica quella dei 100 Presepi nelle Sale del Bramante di Roma; dell’Arena di Verona, rappresentazioni dal vivo come quelle della rievocazione del primo presepio di S.
Francesco a Greccio e i presepi viventi di Rivisondoli in Abruzzo o Revine nel Veneto e soprattutto la produzione di artigiani presepisti, napoletani e siciliani in special modo, eredi delle scuole presepiali del passato, hanno ricondotto nelle case e nelle piazze d’Italia la Natività e tutti i personaggi della simbologia cristiana del presepe.
  Nel corso dei secoli la festa del Natale ha assunto, accanto al suo significato religioso, anche aspetti pagani.
Così sono comparse la figura di Babbo Natale con l’usanza dei doni, quella dell’albero e del presepe.
Babbo Natale, l’omone simpatico che porta i doni ai bambini,  trae origine da San Nicola di Mira (antica città dell’attuale Anatolia, in Turchia), vescovo vissuto nel IV secolo, di cui tuttora il personaggio di Babbo Natale porta il nome nei paesi nordeuropei: Santa Claus.
Nel folclore, questo protagonista natalizio, un po’ grasso, gioviale e con una lunga barba bianca, arriva durante la notte di Natale su una slitta trainata da una renna, scende per il camino, lascia i doni ai bambini, e mangia il cibo che gli hanno lasciato.
Il resto dell’anno lo passa fabbricando giocattoli e ricevendo lettere sul comportamento dei bambini.
In realtà, l’usanza di collegare San Nicola ai regali è legata alle grandi elargizioni che il vescovo faceva a favore dei poveri e, soprattutto, per aver provvisto la dote alle tre figlie di un cristiano povero ma devoto, evitando così che fossero obbligate alla prostituzione.
La dimora tradizionale di Babbo Natale cambia a seconda delle tradizioni: negli Stati Uniti si sostiene che abiti al Polo Nord, in Alaska; in Europa è invece più diffusa la versione finlandese, che lo vuole residente nel villaggio di Rovaniemi, in Lapponia.
Altre tradizioni parlano del paesino di Dalecarlia, in Svezia, oppure di Nuuk, in Groenlandia.
Se Babbo Natale è nell’immaginario dei bambini il simbolo per eccellenza del Natale, l’albero e il Presepe sono tra le più evocative e diffuse tradizioni natalizie nel mondo, comuni più o meno a tutti i popoli, sebbene in forme diverse.
La rappresentazione artistica della Natività ha origini remote.
I primi cristiani usavano scolpire o dipingere le scene della nascita di Cristo nei loro luoghi di incontro, ad esempio nelle catacombe.
Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività.
Nei loro Vangeli c’è la sacra narrazione che a partire dal medioevo prenderà il nome latino di praesepium, ovvero recinto chiuso, mangiatoia.
del Cristo in San Francesco d’Assisi fu il primo a rappresentare la Natività  forma “vivente”, animata dal popolo e rappresentata a Greccio la notte di Natale del 1223.
Tale evento fu poi raffigurato da Giotto nell’affresco della Basilica Superiore di Assisi.
Arnolfo di Cambio fu, invece, il primo artista a rievocare la nascita di Gesù in forma inanimata.
Egli, nel 1280, scolpì nel legno otto statue per rievocare la nascita del Cristo.
Le statue residue si trovano tutt’oggi nella cripta della Cappella Sistina di Santa Maria Maggiore in Roma.
Da allora la produzione artistica della Natività non si è mai fermata, sino ad arrivare ai presepi “fai da te” che si trovano oggi nelle nostre case (Cfr.: http://www.storiain.net/arret/num122/artic7.asp).
L’origine dell’albero di Natale è incerta.
L’immagine dell’albero come simbolo del rinnovarsi della vita è un popolare tema pagano, presente sia nel mondo antico che medioevale.
La derivazione dell’uso moderno della tradizione dell’albero di Natale, tuttavia, non è stata provata con comprensibilità.
Sicuramente tale usanza risale alla Germania del XVI secolo.
Ma esiste una leggenda che risale a secoli prima.
Una storia, infatti, lega l’albero di Natale a San Bonifacio, il santo nato in Inghilterra intorno al 680 e che evangelizzò le popolazioni germaniche.
Si narra che Bonifacio affrontò i pagani riuniti presso la “Sacra Quercia del Tuono di Geismar” per adorare il dio Thor.
Il Santo, con un gruppo di discepoli, arrivò nella radura dov’era la “Sacra Quercia” e, mentre si stava per compiere un rito sacrificale umano, gridò: «questa è la vostra Quercia del Tuono e questa è la croce di Cristo che spezzerà il martello del falso dio Thor».
Presa una scure cominciò a colpire l’albero sacro.
Un forte vento si levò all’improvviso, l’albero cadde e si spezzò in quattro parti.
Dietro l’imponente quercia stava un giovane abete verde.
San Bonifacio si rivolse nuovamente ai pagani: «Questo piccolo albero, un giovane figlio della foresta, sarà il vostro sacro albero questa notte.
È il legno della pace, poiché le vostre case sono costruite di abete.
È il segno di una vita senza fine, poiché le sue foglie sono sempre verdi.
Osservate come punta diritto verso il cielo.
Che questo sia chiamato l’albero di Cristo bambino; riunitevi intorno ad esso, non nella selva, ma nelle vostre case; là non si compiranno riti di sangue, ma doni d’amore e riti di bontà».
Bonifacio riuscì a convertire i pagani e il capo del villaggio mise un abete nella sua casa, ponendo sopra ai rami delle candele.
Tra i primi riferimenti storici alla tradizione dell’albero di Natale, la scienza, attraverso l’etnologo Ingeborg Weber-Keller, ha identificato una cronaca di Brema del 1570 che racconta di un albero decorato con mele, noci, datteri e fiori di carta.
Ma è la città di Riga, capitale della Lettonia, a proclamarsi sede del primo albero di Natale della storia: nella sua piazza principale si trova una targa scritta in otto lingue, secondo cui il “primo albero di capodanno” fu addobbato nella città nel 1510.
L’usanza di avere un albero decorato durante il periodo natalizio si diffuse nel XVII secolo e agli inizi del secolo successivo era già pratica comune nelle città della Renania.
Per molto tempo la tradizione dell’albero di Natale rimase tipica delle regioni protestanti della Germania e solo nei primi decenni del XIX secolo si diffuse nei paesi cattolici.
A Vienna l’albero di Natale apparve ufficialmente nel 1816, per volere della principessa Henrietta von Nassau Weilburg, mentre in Francia fu importato dalla duchessa di Orléans nel 1940.
Oggi la tradizione dell’albero di Natale è universalmente accettata anche nel mondo cattolico.
Papa Giovanni Paolo II lo introdusse nel suo pontificato facendo allestire, accanto al presepe, un grande albero di Natale proprio in piazza San Pietro.
  ”Paese che vai, usanze che trovi” In Spagna, paese cattolicissimo, esiste un proverbio legato alle tradizioni natalizie: “Presepe fai, pane mangerai”.
Infatti, grazie anche agli italiani, il rito del presepe qui è molto sentito.
Anche i presepi viventi sono molto comuni in questo paese: in Andalusia i presepi servono anche per fare beneficenza, poiché chi si reca a visitare il presepe lascia qualcosa per le famiglie più bisognose.
Sempre in tema di generosità, in molti paesi spagnoli è usanza, la notte di Natale, accogliere in casa un neonato povero con la propria mamma, al quale la famiglia regalerà un corredino nuovo.
La notte della vigilia di Natale è chiamata dagli spagnoli la Nochebuena, durante la quale ci si riunisce in casa per assaporare i prodotti tipici.
I canti natalizi spagnoli sono diversi da regione a regione, si chiamano villancicos e il ritmo dominante è soprattutto il flamenco.
In Portogallo le usanze sono simili.
Il rito cattolico della notte di Natale è chiamato “Messa del gallo” perché una leggenda dice che quando Gesù nacque il gallo cantò a perdifiato nonostante non fosse ancora alba.
Subito dopo la messa i portoghesi cenano e tra le portate non manca la “Consoada” (baccalà con legumi).
Qui Babbo Natale è chiamato Pai Natal, ma a portare i doni è il Menino Jesus, Gesù Bambino, anche se l’usanza dei doni è più legata al 6 gennaio, quando arrivano los Rejes Magas, ovvero i Re Magi.
In Francia i doni arrivano ai bambini la notte di Natale, mentre gli adulti li scambiano generalmente a Capodanno.
Un’usanza delle campagne francesi è il ceppo bruciato: si accende un pezzo di legno per riscaldare virtualmente Gesù Bambino.
Nel presepe francese il personaggio che piace di più ai bambini è il ravi, un omino che con la sua lanterna rischiara il sentiero che conduce alla grotta di Gesù.
Anche in Francia si usa organizzare il cenone della vigilia; una volta finito, si lascia la tavola apparecchiata per la Vergine Maria.
Famosi sono i canti natalizi provenzali, dai quali derivano le varie pastorali.
In Alvernia è ancora in uso il rito della chandelle, una grossa candela colorata accesa durante il cenone.
Il più anziano segna la candela con una croce e la spegne, poi la passa a colui che gli sta accanto e così via.
Nella regione di Carpentras, invece, alla fine della cena natalizia si pianta in un vaso una rosa di Gerico, perché su questa pianta la Madonna stendeva ad asciugare la biancheria di Gesù Bambino.
In Svizzera la tradizione vuole che i regali ai bambini siano portati da Gesù Bambino (Christkind, in tedesco, o petit Jesus, in francese).
Uno dei tradizionali dolci natalizi della confederazione elvetica è il Grittibaenz, un pane dolce a forma di bambolina decorato con frutta secca e mandorle.
In Austria sono famosi i presepi realizzati con figure di legno intagliate a mano.
A Salisburgo l’albero e il presepe si allestiscono in maniera del tutto singolare: si tratta infatti di una rappresentazione della storia dell’umanità.
Partendo dalla rappresentazione del peccato originale, si procede – giorno per giorno, a partire dall’Avvento – con rappresentazioni del profeta Isaia, dell’Annunciazione in terra, fino alla nascita del Redentore.
L’Austria vanta anche la pastorale più celebre al mondo: Still Nacht, che noi conosciamo come Astro del Ciel.
Questa melodia fu eseguita per la prima volta nella chiesa di San Nicola a Obendorf, vicino a Salisburgo.
Era la vigilia di Natale del 1818 e Padre Mohor era stato chiamato per battezzare un neonato.
Era una sera particolarmente chiara e le stelle brillavano nel firmamento.
Il sacerdote, toccato da quella pace tranquilla, scrisse di getto quelle le parole, musicate qualche tempo dopo dal maestro Franz Gruber.
In Germania l’albero e la corona d’Avvento rivestono grandissima importanza e si trovano, oltre che in tutte le case, anche nelle chiese.
L’origine della corona va ricercata presso i luterani della Germania orientale.
Essa è in pratica la continuazione di antichi riti pagani che si celebravano nel mese di Yule (dicembre).
È costituita da un grande anello di fronde d’abete (ma si può usare anche il tasso, il pino o l’alloro), che viene sospeso al soffitto con quattro nastri rossi, oppure collocato su un tavolo.
Attorno alla corona sono fissati quattro ceri, posti ad eguale distanza tra di loro, che rappresentano le quattro settimane d’Avvento e che si accendono una volta al settimana man mano che si avvicina il Natale.
La tradizione tedesca assegna anche un nome alle quattro candele: la prima è la candela della Profezia, la seconda è quella di Betlemme, la terza dei Pastori, l’ultima degli Angeli.
Molto usato dai bambini è anche il calendario dell’Avvento, con ventiquattro finestrelle che scandiscono il tempo che manca alla grande festa natalizia.
Partendo dal 1° dicembre, ogni giorno si apre una finestrella e il bambino promette di compiere una buona azione.
Al termine del calendario (sarà quindi il giorno di Natale) appare l’immagine del presepe.
Il pranzo di Natale tedesco è costituito da oca ripiena, carpa, salsicce e, ovviamente, birra.
Il tipico dolce natalizio della Germania è, invece, lo Stollen, un dessert a base di farina, limone e arancia candita, mandorle amare e dolci, cannella, uva sultanina, uva fresca, rum.
  In Belgio è diffusa la tradizione dei falò e dei fuochi.
La cena di Natale è a base di salmone, caviale e ostriche.
Il pranzo del 25 prevede, invece, roastbeef o tacchino arrosto farcito di carne macinata, tartufi e bagnato con cognac, mentre il contorno è composto da cavolini di Bruxelles e albicocche sciroppate passate in padella col fondo di cottura del tacchino.
Il dolce riprende il tronco di Natale francese, a cui è però qui aggiunto un piccolo Gesù Bambino di zucchero.
In Olanda i bambini mettono davanti al camino i loro zoccoli o le scarpe pieni di fieno e di carote per il cavallo di Sinter Klaas (Babbo Natale), sperando così di ricevere in cambio dolci e regali.
La notte di Natale si mangia tutti insieme un dolce chiamato Letterbanket, cioé “dolce lettera”, fatto di marzapane e biscotto.
La tradizione vuole che ogni famiglia gli dia la forma della lettera iniziale del proprio nome; in alternativa si fanno tanti piccoli dolci, uno per ogni componente della famiglia, con la forma della sua iniziale.
Il giorno di Natale si consuma il tacchino o l’oca ripiena di prugne.
Ci sono anche i dolci tipici, quasi tutti a base di melassa e mandorle.
In Danimarca esiste l’usanza di coltivare il giacinto in vaso: se fiorisce il giorno di Natale la casa sarà protetta dalle malattie.
Il pranzo di Natale comprende il riso al latte, nel quale è nascosta una mandorla: chi la trova ha diritto a un regalo più grande.
In Inghilterra sia la notte sia il giorno di Natale si festeggiano con tacchino ripieno accompagnato da mirtilli, mentre il dolce tradizionale è il Christmas Pudding o Christmas Cake.
Verso le tre del pomeriggio si assiste insieme al tradizionale discorso della Regina in televisione.
Tutte le città, Londra in testa, ospitano un grande albero addobbato mentre le chiese sono ornate con agrifoglio e vischio.
Anche qui la tradizione vuole che la vigilia di Natale sia acceso un ceppo da far durare il più a lungo possibile, conservandone un pezzo da accendere il Natale successivo.
In Irlanda la leggenda vuole che Maria, Giuseppe e il Bambin Gesù vaghino per le strade dell’isola durante il periodo natalizio: per questo motivo i bambini, per rischiarare il loro cammino, mettono sul davanzale un lumicino, spesso inserito in una rapa o in una zucchetta scavata e decorata con rami verdi.
Secondo l’usanza irlandese, ci si siede a tavola soltanto dopo la mezzanotte.
La cena prevede generalmente piatti a base di oca, pollo o tacchino.
Il giorno di Natale, invece, si gusta lo Speed beef, un rotolo di bue alle spezie che esige una lunga preparazione.
Una vecchia consuetudine irlandese era la cosiddetta “caccia allo scricciolo”.
Nel giorno di Natale i ragazzi catturavano uno scricciolo che legavano, in una gabbia fatta di agrifoglio ed edera, su un bastone portandolo in giro per la questua.
La crudele tradizione, diffusa un tempo anche in Inghilterra e Francia, ha tutte le caratteristiche del sacrificio di un animale alla divinità.
Il motivo di tanto accanimento contro questo uccellino è da ricercare nella leggenda che accompagna il martirio di Santo Stefano.
Si narra infatti che il Santo si fosse nascosto dietro un cespuglio per sfuggire ai suoi persecutori, ma che fosse stato scoperto a causa di uno scricciolo che, volando via, aveva svelato la presenza del martire.
Una consuetudine attestata nella penisola balcanica, dalla Dalmazia alla Macedonia, riguarda i famosi Bandjaci.
Il termine, che si riferisce al verbo slavo bdijeti, “vigilare”, indica i tre ceppi di Natale (ma in Montenegro se ne contano cinque) che si pongono ad ardere nei giorni che vanno dal Natale al Capodanno.
In Grecia uno dei più caratteristici riti della vigilia è la preparazione del Christopsomo o “pane di Cristo”, una pagnotta di pane dolce che può assumere forme e nomi diversi, con decorazioni sulla crosta che rappresentano scene di vita familiare.
La preparazione di questo pane assume il significato di una vera e propria cerimonia religiosa.
Accanto alla farina sono utilizzati ingredienti particolari, quali acqua di rose, sesamo, miele, chiodi di garofano e cannella, pronunciando la formula: “Cristo è nato, la luce si accende, cresca il lievito del pane”.
A cena il padrone di casa rompe il “pane di Cristo” sulla sua testa e se il pezzo di sinistra è il più grande, significa che il nuovo anno sarà buono.
In alcune regioni si preparano i Lahanosarmades, foglie di cavolo cappuccio ripiene di riso con besciamella, che rappresentano le fasciature del Cristo.
Dolci tipici sono i Kourambiedes (a base di burro, mandorle e ricoperti di zucchero a velo), i Melomakarona, originari dell’Epiro (al miele e pistacchio), e le Diples, simili alle frappe, dolci originari di Creta.
In Ungheria è tradizione mettere sotto la tavola natalizia una cesta con del fieno e dei semi, affinché vengano benedetti dal Bambino.
Di quelle sementi, una manciata se ne brucia; ciò che rimane si sparge invece sui campi come auspicio per un buon raccolto.
La cena è abbondante: la carpa, pesce tipico del Natale dell’area orientale europea, è servita come antipasto, in gelatina, decorata con verdure e uova sode, oppure durante e a fine pasto, farcita o fritta in pastella.
Altra pietanza tradizionale, comune a tutti i Paesi dell’est europeo, sono le aringhe affumicate o in salamoia, conservate in piccole botti di legno, poi tenute in ammollo e servite con tanta cipolla tagliata sottilmente, pezzetti di mela e panna acida.
Il menu natalizio ungherese propone una zuppa con verdure e spezzatino di montone, crauti e un formaggio fresco, equivalente della ricotta, condito con capperi, cipolle ed abbondante paprika.
Tra i dolci tipici ci sono il Dobos, una torta dalla preparazione laboriosa, e il Rétés, la pasta per fare lo strudel preparata a mo’ di tortelli e farcita con marmellate e frutta.
In Polonia la rappresentazione della natività è allestita su due piani.
In quello superiore è rappresentata la Natività, in quello inferiore le scene degli eroi nazionali.
Sono celebri i presepi di Cracovia, altissimi, riccamente ornati e simili a cattedrali.
La cena polacca natalizia, rigorosamente “di magro”, ha inizio con un rito diffuso anche nelle famiglie meno osservanti: prima di sedersi, in piedi intorno alla tavola imbandita a festa, si spezza e ci si scambia l’Oplatek, un pane azzimo rettangolare benedetto, che reca stampate immagini sacre.
La tavola è coperta da una tovaglia bianca sotto la quale è sparsa della paglia, in ricordo del Bambin Gesù, ed è decorata con frutta, rami di abete e candele augurali.
In Polonia la notte di Natale si consuma il Barszcz, un brodo caldo preparato la vigilia.
In Russia, accanto al presepe (Verteb), simile allo Szopka polacco, la famiglia canta e prega.
In alcuni villaggi si usa decorare all’aperto l’abete più grande.
Anche gli animali domestici hanno il loro dono: un pane d’avena per i cavalli, un cosciotto d’agnello per il cane, un pesce per il gatto.
Speciale leccornia della vigilia di Natale sono i semi di grano integrale, tenuti per ore a macerare e aromatizzati con semi di papavero schiacciati e mescolati nel miele.
Nella penisola scandinava, durante il periodo natalizio le case sono addobbate con decorazioni di paglia, con fiori e con dolcetti speziati.
I bambini usano il calendario dell’Avvento per contare i giorni fino a Natale e ogni giorno aprono una finestrella.
L’albero si addobba il giorno prima di Natale.
La sera di Natale si mangia una minestra di riso, polpettine e salcicce.
Dopo la cena solitamente ci si riunisce intorno all’albero per cantare.
In Asia tutte le civiltà celebrano il Natale delle proprie divinità e il ciclico rinnovarsi del tempo.
Questo continente è la culla di molte religioni e il cristianesimo è in numerosi Stati la religione della minoranza.
Per questo il Natale è celebrato in forma estremamente privata e il presepe è presente in pochissimi popoli.
Con la globalizzazione le tradizioni europee sono arrivate anche in Asia: in molti Stati è presente Babbo Natale, anche se con nomi e origini diverse (ad esempio, in Cina è chiamato Dun Che Lao Ren, mentre il Giappone ha Santa Kurohsu).
Nei Paesi cristiani, comunque, il Natale è molto sentito e i fedeli non rinunciano alla messa di mezzanotte.
Anche in Oceania si festeggia il Natale, soprattutto sotto l’aspetto consumistico.
In Australia lo scambio culturale avvenuto per la presenza nell’isola di una gran varietà di gruppi etnici, fa si che ognuno viva il Natale secondo le tradizioni della cultura di provenienza.
In Australia a Natale fa caldo, quindi nessuno si stupisce se Babbo Natale arriva in   surf o in canoa.
Assai celebre è il concerto di Natale che si tiene ogni anno, sin dal 1937, nella St.
Mary’s Cathedral di Sydney.
Case, piazze e chiese sono addobbate con fiori e, soprattutto, con i tradizionali New South Wales Christmas bush, ovvero i “Cespugli di Natale australiani”, piante che danno dei piccoli fiori rossi vagamente somiglianti alle nostre Stelle di Natale.
In Nuova Zelanda i trascorsi coloniali hanno portato la tradizione dell’albero di Natale, che qui ovviamente non può essere l’abete ma che è il Pohutokawa (Metrosideros tomentosa o più comunemente Bottle brush), utilizzato come simbolo per questa festa perché i fiori rossi di cui si ricopre spuntano proprio nel periodo natalizio.
In questa parte del mondo, da alcuni anni si sta diffondendo l’abitudine di festeggiare un secondo Natale il 25 di luglio, quando l’emisfero australe è in pieno inverno.
In molti Paesi dell’Africa, la coesistenza di culture religiose diverse ha dato vita ad interessanti incontri: la messa cattolica spesso prevede riti locali come il ballo, come anche le figure del Cristo riprendono spesso sembianze di un bambinello nero(e con Barak Obama, il nero è d’obbligo!).
In quasi tutti gli Stati dove si festeggia il Natale, tradizionali sono i balli adornati con grandi maschere di legno, ognuna prodotta artigianalmente da chi la deve indossare.
Il presepe, invece, è una tradizione importata solo di recente, anche se è presente nel continente nelle celebrazioni natalizie africane già dai primi tempi delle missioni.
Ovviamente non esiste l’abete: la decorazione più diffusa consiste in un intreccio di rami di palma, spesso disposti a formare un arco, su cui sono applicati dei grandi fiori bianchi selvatici che sbocciano sotto Natale.
In America i modi di festeggiare il Natale variano molto: al Nord tutto è all’insegna del consumo e dello shopping sfrenato, al Centro e al Sud il Natale è più sentito sotto l’aspetto religioso, anche se non mancano le grandi luci e i grandi addobbi.
Negli Stati Uniti l’usanza di festeggiare cambia a seconda l’etnia di appartenenza: gli italo-americani (numerosi anche in Canada) attendono la mezzanotte per andare a messa e poi consumare un sontuoso pranzo a base di pesce.
Malgrado la varietà di abitudini culturali, si sono imposte con gli anni consuetudini che accomunano un po’ tutti, come l’attesa dei regali portati da Santa Klaus, l’albero addobbato e i Christmas-crackers.
Questi ultimi sono pacchettini di carta a forma di grosse caramelle, contenenti cappellini di carta colorata o piccoli regali; si mettono sia sull’albero sia in tavola, come segnaposto, e si aprono immediatamente prima del pranzo.
A tavola c’è il tacchino ripieno di castagne che rappresenta la tradizione americana adottato da tutti gli immigrati, ovviamente accanto alle preparazioni tipiche del Paesi d’origine.
Famosi sono i Mince-pies, biscotti che originariamente avevano la forma di mangiatoia ma che i Riformatori cristiani hanno bandito perché troppo pagani.
Oggi questi dolcetti hanno svariate forme.
In Canada si usa decorare la casa con addobbi natalizi realizzati con corone di alloro.
Il pranzo natalizio consiste nel tacchino ripieno con contorno di patate e salsa di mirtilli, oppure nella prelibata anatra arrosto.
Più folcloristiche sono le tradizioni natalizie in America Latina.
In Messico, ad esempio, si  iniziano i festeggiamenti religiosi già nove giorni prima del Natale: ogni giorno rappresenta un mese della gravidanza di Maria.
In ogni casa si allestiscono le Pifiatas, grosse pentole in coccio rivestite di carta stagnola colorata ai cui lati si applicano dei coni fatti con cartoncino o carta di riso, da cui pendono striscioline multicolori, riempite di frutta di stagione.
Al termine dei nove giorni, in chiesa o per strada, prima della messa, s’inscena una breve rappresentazione, conosciuta come las posadas, dove si impersonano Giuseppe e Maria che vagano alla ricerca di un ricovero.
La cena di Natale varia da Paese a Paese.
Sulle tavole delle famiglie più povere il menù generalmente non si discosta da quello quotidiano, mentre chi ne ha la possibilità festeggia l’arrivo del Bambin Gesù con tacchino ripieno di verdura, cosciotto di maiale al forno o con l’Asado, la carne alla brace.
In America latina la “Stella di Natale”, “riscoperta” da Joel Poinsett, primo ambasciatore statunitense in Messico (ma anche cultore di botanica), fu importata negli Usa nel 1828 e prese il nome, in suo onore, di Poinsettia pulcherrima.
In Europa fu importata nel 1804 dal naturalista Alexander von Humboldt, che notò questa pianta con un “fiore non fiore” in un suo viaggio in America centrale….
Ci sarebbero tantissime altre cose da raccontare sulle tradizioni natalizie, ma è meglio augurare un sereno Natale e un prospero anno nuovo in molte lingue del mondo( il papa mi perdoni se gli rubo la scena del 25 dicembre, quando dalla loggia vaticana dopo la benedizione Urbi et Orbi augura buon Natale in tanti linguaggi del mondo che è e rimane la sola casa che abbiamo, come abbiamo voluto sottolineare nel titolo): Afrikaans: Gesëende Kersfees; Albanese:Gezur Krislinjden; Arabo: Idah Saidan Wa Sanah Jadidah; Armeno: Shenoraavor Nor Dari yev Pari Gaghand; Azerbaijan: Tezze Iliniz Yahsi Olsun; Bahasa (Malesia): Selamat Hari Natal; Basco: Zorionak eta Urte Berri On; Bengali: Shuvo Naba Barsha; Boemo: Vesele Vanoce; Bretone: Nedeleg laouen na bloavezh mat; Bulgaro: Tchestita Koleda; Tchestito Rojdestvo Hristovo; Catalano: Bon Nadal i un Bon Any Nou; Ceco: Prejeme Vam Vesele Vanoce a stastny Novy Rok; Choctaw (Nativi americani, Oklahoma): Yukpa, Nitak Hollo Chito; Cinese (Cantonese): Gun Tso Sun Tan’Gung Haw Sun; Cinese (Mandarino): Kung His Hsin Nien bing Chu Shen Tan; Cingalese: Subha nath thalak Vewa.
Subha Aluth Awrudhak Vewa; Coreano: Sung Tan Chuk Ha; Croato: Sretan Bozic; Danese: Glædelig Jul; Eschimese: Jutdlime pivdluarit ukiortame pivdluaritlo; Esperanto: Gajan Kristnaskon; Estone: Ruumsaid juulup|hi; Farsi: Cristmas-e-shoma mobarak bashad; Fiammingo: Zalig Kerstfeest en Gelukkig nieuw jaar; Filippino: Maligayan Pasko; Finlandese: Hyvaa joulua; Francese: Joyeux Noel; Frisone: Noflike Krystdagen en in protte Lok en Seine yn it Nije Jier (lingua del ramo germanico occidentale parlata nelle zone costiere meridionali del Mare del Nord, nei Paesi Bassi e in Germania); Gaelico (Scozia): Nollaig chridheil huibh; Gallese: Nadolig Llawen; Giapponese: Shinnen omedeto.
Kurisumasu Omedeto; Greco: Kala Christouyenna; Hamish Dutch (Pennsylvania): En frehlicher Grischtdaag un en hallich Nei Yaahr; Hausa: Barka da Kirsimatikuma Barka da Sabuwar Shekara (lingua parlata in Nigeria del Nord, Niger, Benin, Burkina Faso, Camerun, Ciad, Congo, Eritrea, Ghana, Sudan e Togo); Hawaaiano: Mele Kalikimaka; Hindi: Shub Naya Baras; Indonesiano: Selamat Hari Natal; Inglese: Merry Christmas; Iracheno: Idah Saidan Wa Sanah Jadidah; Irochese: Ojenyunyat Sungwiyadeson honungradon nagwutut.
Ojenyunyat osrasay (Nativi americani dell’America Settentrionale); Islandese: Gledileg Jol; Isola di Man: Nollick ghennal as blein vie noa (isola situata nel Mar d’Irlanda); Latino: Natale hilare et Annum Faustum; Latviano: Prieci’gus Ziemsve’tkus un Laimi’gu Jauno Gadu; Lituano: Linksmu Kaledu; Macedone: Sreken Bozhik; Maltese: LL Milied Lt-tajjeb; Maori: Meri Kirihimete; Navajo: Merry Keshmish (Narivi americani del sud-ovest degli Stati Uniti, principalmente in Arizona e in Nuovo Messico); Norvegese: God Jul, or Gledelig Jul; Occitano: Pulit nadal e bona annado; Olandese: Vrolijk Kerstfeest en een Gelukkig Nieuwjaar oppure Zalig Kerstfeast; Papua Nuova Guinea: Bikpela hamamas blong dispela Krismas na Nupela yia i go long yu; Polacco: Wesolych Swiat Bozego Narodzenia oppure Boze Narodzenie; Portoghese (Brasile): Boas Festas e Feliz Ano Novo; Portoghese: Feliz Natal; Rapa-Nui: Mata-Ki-Te-Rangi Te-Pito-O-Te-Henua (Isola di Pasqua); Rumeno: Sarbatori vesele; Russo: Pozdrevlyayu s prazdnikom Rozhdestva is Novim Godom; Samoa: La Maunia Le Kilisimasi Ma Le Tausaga Fou; Sardo: Bonu nadale e prosperu annu nou; Serbo: Hristos se rodi; Slovacco: Sretan Bozic oppure Vesele vianoce; Sloveno: Vesele Bozicne Screcno Novo Leto; Spagnolo: Feliz Navidad; Svedese: God Jul and (Och) Ett Gott Nytt År; Tailandese: Sawadee Pee Mai; Tedesco: Fröhliche Weihnachten; Turco: Noeliniz Ve Yeni Yiliniz Kutlu Olsun; Ucraino: Srozhdestvom Kristovym; Ungherese: Kellemes Karacsonyi unnepeket; Urdu: Naya Saal Mubarak Ho (Asia meridionale); Vietnamita: Chung Mung Giang Sinh; Yoruba: E ku odun, e ku iye’dun (Africa occidentale)… E buon Natale anche a me che nei prossimi giorni sarò impegnata a fare gli “struffoli” secondo la tradizione napoletana e a preparare tante cose buone per la mia numerosa famiglia, come faranno- del resto- i miei e le mie carissime amiche che stringo al mio cuore, chiedendo al Signore o a quello che loro credono di spingerci un po’ più in là, come vorrebbero fare i nostri amici per la terra con i potenti del pianeta affinché mai e poi mai ignorino che la Terra è la nostra Madre e va assolutamente salvaguardata.
E anche perché non crediate che mi invento i fatti, eccovi una piccola: BIBLIOGRAFIA Verso una globalizzazione etica?di Maria de falco marotta, Elledici, Leumann, Torino, 2002; Natale.
Le storie della tradizione, di Carena C.
– Interlinea, Novara, 1993 Tutto sul Natale.
Tradizioni, canti e ricette dal mondo, di Falanga A.
– Città Nuova, Roma, 2001 Storia e magia del Natale.
Alla scoperta di origini, tradizioni, fiabe e leggende, di Maschio C.
– QuiEdit, Verona, 2005 Storia del Natale.
Culti, miti e tradizioni di una festa millenaria, di Triggiani M.
– Progedit, Bari, 2005 La magia del Natale nel mondo.
Un viaggio fantastico attraverso tutti i continenti, di Maschio C.
– QuiEdit, Verona, 2006 Quel teatrino della Natività che tiene scena da secoli, di Paternoster R.
– Storia in Network, numero 122, anno 2006, http://www.storiain.net/arret/num122/artic7.asp Natale.
Piccola guida alla festa più amata dell’anno, di De Pietri A.
e Giordano M.
C.
– Astraea, Bologna, 2008      

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