Il desiderio di comunità nella Chiesa

L’esperienza della fragilità spinge l’individuo a cercare appoggi nei gruppi o nelle comunità per una «ricostruzione interiore» per lasciarsi guidare e sostenere dal gruppo, in una società che tende facilmente a emarginare o abbandonare a se stessi soprattutto i più deboli.
La comunità nella prospettiva educativa, che si caratterizza proprio come «comunità educante», diventa così un importante riferimento e sostegno nel perseguimento degli obiettivi dei singoli.
Attraverso le tecniche e i metodi che la pedagogia ci offre è possibile quindi riflettere sulla Chiesa come comunità e considerare il fenomeno aggregativo nella Chiesa stessa tentandone un’analisi.
Stretta è la connessione tra sociologia (in quanto conoscenza dell’ambiente in cui gli individui interagiscono), psicologia (in quanto conoscenza degli individui) e teologia (in quanto essa implica anche la conoscenza e l’esperienza del divino che gli individui hanno nell’ambiente e nel tempo in cui vivono).
Lo studio della teologia, e in particolare dell’ecclesiologia, può legarsi allo studio delle scienze umane proprio perché coinvolge l’uomo tutto nelle sue dimensioni antropologiche e spirituali, in relazione soprattutto alla comunità dei credenti.
Lo stesso Concilio Vaticano II invita a uno studio delle problematiche ecclesiali alla luce delle moderne scienze pedagogiche e psico-sociologiche: «Si conoscano sufficientemente e si faccia buon uso non soltanto dei principi della teologia, ma anche delle scoperte delle scienze profane, in primo luogo della psicologia e della sociologia, cosicché anche i fedeli siano condotti a una più pura e più matura vita di fede».11 Per questi motivi, ritengo sia necessario considerare il tema del fenomeno aggregativo dei laici nella Chiesa oltre che da un punto di vista strettamente ecclesiale, anche secondo la prospettiva delle scienze umane: dalla prospettiva comunitaria, l’esigenza comune dell’uomo di aggregarsi in una comunità, al bisogno di comunità per entrare in dialogo con l’altro, con un «tu» diverso da me, per cultura, per formazione, e talvolta per fede.   1.
Il termine «comunità»   Nel linguaggio quotidiano il termine comunità è utilizzato per indicare una collettività di persone che sono raggruppate rispetto a un certo parametro: territoriale (gli abitanti di una cittadina, di un quartiere o di tutta una nazione); religioso (ad esempio i francescani, i parrocchiani, oppure gli ebrei); temporale (gli anziani, gli adolescenti o i giovani); utilitaristico (l’Unione Europea, ecc.) e così via, secondo un principio simile a quello dell’insiemistica, che in matematica raggruppa in base agli elementi in comune.
L’indagine etimologica ci suggerisce alcuni interessanti spunti di riflessione: cum-moenia suggerisce la fraternità degli esseri che stanno dentro le mura; cum-munia fa appello al senso del dovere; cum munis evoca il compimento del proprio incarico con altri.
La comunità a cui noi pensiamo indica piuttosto una situazione di disperazione, di isolamento, e quindi la propria solitudine, il proprio isolamento che si fanno «munus», dono, insieme a quello di altri (comunità = «cum» «munus») nella nostra stessa condizione.
La «comunità» non può avere a che fare con il «proprio»; ha a che fare, invece, con l’alterità, con il profondo abisso mortale dell’altro che ci insidia, ci guarda e ci chiede di accettarlo, di ascoltarne le ragioni, mentre noi vorremmo ucciderlo, perché Caino è nato prima di Abele ed è stanziale e assassino, «autoritario» per natura.2 2.
Il bisogno di comunità    Le piccole realtà aggregative indubbiamente favoriscono questo progetto con  l’ingresso spontaneo di nuovi membri e la prossimità che rende facili gli approcci, le attività di gruppo, ecc.
Sul piano religioso il gruppo offre la possibilità di fare un’esperienza concreta a livello delle realtà più semplici della vita evangelica: confessione della fede, liturgia, preghiera, comunione spirituale, ecumenismo, testimonianza di carità nella comunione interna e nella missione.
Se le prospettive sono la comunione e l’evangelizzazione, solo se si è in costante rapporto con Dio e si vive in profondità tale comunione si può essere annunciatori veri di evangelizzazione.
Questo concetto è precisato molto chiaramente dai Vescovi italiani nel documento pastorale per gli anni ’80 Comunione e comunità: «Solo una Chiesa che vive e celebra in se stessa il mistero della comunione, traducendolo in una realtà vitale sempre più organica e articolata, può essere soggetto di una efficace evangelizzazione».3 Nell’anonimato dell’urbanesimo moderno e della massificazione, spesso senza rapporti veri, anche nelle comunità tradizionali, la ricerca del gruppo nel senso più ampio del termine, il desiderio di rapporti più autentici e intimi hanno effettivamente favorito il sorgere e il prosperare di tante comunità, facilitando il perseguimento degli obiettivi di comunione tra gli aderenti.
Il bisogno di aggregarsi, tuttavia, non è solo un’esigenza di tipo sociale.4 Le motivazioni che spingono una persona a passare dal «micro»5 al «macro»,6 per mettersi in gioco e condividere le proprie ansie, i propri bisogni e obiettivi di vita, risiedono nella natura stessa dell’uomo.
Bernard Descouleurs, esperto in tema di nuove comunità nella Chiesa, ha scritto in un recente articolo a proposito di insicurezze e potere: «L’esperienza della debolezza di un sé che non si realizza più, né trova da se stesso il senso dell’esistenza […] può condurre alla ricerca di un inquadramento rigoroso capace di supplire alle insufficienze della determinazione personale.
La comunità appare, quindi, come un sostegno istituzionale grazie all’autorità di un “maestro” che dona gli orientamenti, dirige e discerne, incoraggia o deprime».7.
L’esperienza della fragilità spinge l’individuo a cercare appoggi nei gruppi o nelle comunità per una «ricostruzione interiore»,8 per lasciarsi guidare e sostenere dal gruppo in una società che tende facilmente a emarginare o abbandonare a se stessi, soprattutto i più deboli.
La comunità diventa così un importante riferimento e sostegno nel perseguimento degli obiettivi personali, e non solo in presenza di problematiche di carattere psicologico: le motivazioni che spingono all’aggregazione, infatti, sono naturalmente radicate nella persona e il bisogno affettivo di vivere in comunione con gli altri è un’esigenza interiore, psicologica, anche se molto spesso «soffocata» dalla diffusa e spersonalizzante massificazione sociale.
Note  1 Gaudium et Spes, EV 1/62/1389.
2 La querelle etimologica sul termine «communitas» ha avuto luogo nella seconda quindicina del mese di agosto 2003, sulle pagine virtuali dei commenti a Lettera da Leuca 1 di Antonio Moresco in Nazione Indiana (www.nazioneindiana.com).
3 CEI, Comunione e comunità, n.
3, ECEI/3/395.
4 Vedi Z.
Bauman, Dentro la globalizzazione, Bari, Laterza, 2000; Id., Voglia di comunità, Bari, Laterza, 2007.
5 Il gruppo, per Gurvitch, studioso di gruppi sociali, è «un microcosmo di manifestzioni della socialità »: vedi G.
Gurvitch, La vocazione attuale della sociologia, Bologna, il Mulino,1965, pp.
357-370.
6 Gurvitch afferma che «[…] non esiste gruppo particolare il quale non sia integrato in una societàglobale, macrocosmo di raggruppamenti» (G.
Gurvitch, La vocazione attuale …,op.
cit., p.
369).
7 B.
Descouleurs, À Nouvelles communautés nouveaux types de croyants? Approche antropologiqueet psycho-spirituelle, «Lumen vitae», n.
4, 2007, p.
410.
Mia traduzione dal testo originale: «L’expérience de la faiblesse d’un soi qui ne parvient plus à déterminer, ni à trouver par lui-même le sens de son existence […] peut conduire à la recherche d’un encadrement rigoureux capable de suppléer aux insuffisances de la détermination personnelle.
La communauté apparaît d’abord comme un soutien institutionnel grâce à l’autorité d’un “maitre”, qui donne les orientations, dirige, discerne, encourage ou réprimande».
Descouleurs, in questo studio, fa particolare riferimento ai membri delle comunità delle Beatitudini in Francia.
8 Ibidem, p.
411.
Mia traduzione dall’originale: «reconstruction intérieure».
                                                               4.
La comunità cristiana in pedagogia La  comunità cristiana in pedagogia si configura come luogo d’incontro e di complementarità tra persone convocate da una comune missione.35 Per qualificarsi come educante essa è chiamata a porsi nella prospettiva della continua crescita che orienta tutti e ciascuno personalmente, a partire dal ruolo che gli compete, non solo a educare, ma soprattutto a educarsi.
Una comunità che educa e si educa è quindi attenta al quotidiano per cogliere i segni della presenza di Dio.
Essa crede nelle energie positive delle giovani generazioni e degli adulti ed è capace di uscire dalle proprie sicurezze per accogliere la fragilità e la precarietà sperimentata dai giovani, di mettersi in dialogo e di ripensare con loro l’esperienza umana e religiosa.36 L’aggettivo educante aggiunto al termine comunità determina il contesto nel quale prende forma una voce carica di significati, poiché insieme indicano un gruppo di soggetti che — in una situazione istituzionale, cioè di apparato ecclesiale — si occupano di un percorso di insegnamento-apprendimento e di crescita globale della persona secondo i valori cristiani.
La relazione che si sviluppa dentro la comunità educante è circolare e tutti i soggetti sono esposti al flusso dello scambio linguistico e a molteplici attività inter-relazionali, per cui l’esempio dell’uno costituisce un insegnamento per l’altro oltre che uno sprone a progredire nella propria formazione e nel perseguimento dei fini comuni.
La comunità si prende cura di questi aspetti e vigila su queste dinamiche interne di scambio, al fine di autoregolamentarsi e sostenersi.
Dove c’è «comunità educante» c’è partecipazione; ma partecipazione opposta a delega, a gerarchizzazione come sclerosi delle posizioni, a ruolo come riduzione di parola.
Il potere si ridistribuisce continuamente, si coagula nelle decisioni condivise, perché nella «comunità» viene naturalmente posto in primo piano il valore della comunione.
Nei diversi contesti e ambiti, la comunità educante è costituita dagli educatori, chierici, religiosi e laici, dai catechisti, dai giovani, dai genitori e da altri membri delle famiglie che, a vari livelli, condividono la comune missione attraverso ruoli diversificati e complementari.
Orientare soprattutto le giovani generazioni e formarle ai valori della giustizia, della verità e della solidarietà attraverso una pedagogia d’ambiente è la nuova sfida da affrontare.37 I laici chiamati in particolar modo a «cercare il Regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»,38 in quanto educatori, sono a maggior ragione chiamati a vivere «nella Fede la [loro] vocazione secolare nella struttura comunitaria della scuola, con la maggior qualificazione professionale ossibile e con un progetto apostolico ispirato alla fede per la formazione integrale dell’uomo».39 L’educazione, ovviamente, si realizza anche in altre situazioni della vita scolastica e oltre l’ambiente scolastico vero e proprio.
«Così gli insegnanti, come ogni persona che vive e lavora in un ambito scolastico, educano, o possono anche diseducare, con il loro comportamento verbale e non verbale.
Centrale nell’opera educativa, e specialmente nell’educazione alla fede, che è il vertice della formazione della persona e il suo orizzonte più adeguato, è dunque in concreto la figura del testimone».40 Nella comunità educativa, pertanto non va disatteso il fattore testimonianza, perché soprattutto lo stile di vita dei membri della comunità contribuisce a creare «un ambiente educativo permeato dallo spirito evangelico di libertà e carità»41.
Dando testimonianza di comunione, la comunità educativa cattolica è in grado di formare alla comunione, la quale, come dono che viene dall’alto, anima il progetto di formazione alla convivenza e all’accoglienza.
In questo modo, la vita di comunione della comunità educativa assume il valore di principio educativo, di paradigma che orienta la sua azione formativa come servizio per la realizzazione di una cultura della comunione.
Perciò, la comunità cattolica, attraverso gli strumenti dell’insegnamento e dell’apprendimento, «non trasmette […] la cultura come mezzo di potenza e di dominio, ma come capacità di comunione e di ascolto degli uomini, degli avvenimenti, delle cose».42 Ogni attività educativa è «informata» da tale principio e anche tutte quelle attività diverse dall’attività catechistica vera e propria, quali lo sport, il teatro e l’impegno nel sociale, che favoriscono l’apporto creativo degli allievi e la socializzazione, sono permeate dal principio della comunione43.
Per compiere questo cammino formativo le comunità cristiane educanti, espressioni particolari di tutta la Chiesa, dovrebbero perseguire i propri obiettivi pedagogici in piena comunione con le altre realtà ecclesiali.
«I laici che, in ragione delle loro relazioni familiari e sociali, vivono immersi nel mondo, possono favorire l’apertura della comunità educativa a un apporto costruttivo con le situazioni culturali, civili e politiche, con le diverse aggregazioni sociali — da quelle più informali a quelle più organizzate — presenti nel territorio».44 La Chiesa, sul piano universale, senza mai trascurare le fonti bibliche e il Magistero, si pone degli obiettivi a carattere generale e particolare al fine di favorire una comunione di intenti sulle verità fondamentali e gli asserti più specifici della teologia e della dottrina, ma tiene conto anche della specificità dei territori, della tradizione e della cultura delle singole realtà umane, a tutti i livelli.
Attraverso gli organismi preposti dalla gerarchia, la Chiesa riflette anche sul cammino pedagogico delle numerose e varie realtà aggregative sia di quelle nuove, che molto spesso si configurano come movimenti, sia di quelle tradizionali.
Benedetto XVI in una recente lettera alla diocesi di Roma ribadisce la necessità di ripensare all’impegno educativo verso le nuove generazioni, sfida decisiva per il futuro della Fede, sottolineando come oggi tale impegno sia molto più complesso e arduo del passato e come non possa esaurirsi nella ricerca di nuovi metodi, ma debba essere ripensato a partire dall’individuazione delle cause profonde della sua crisi, per rispondere alle nuove esigenze storiche.
La comunità cristiana è chiamata ad affrontare questa nuova sfida con serenità.45 Educare per la Chiesa non è mai stata un’attività semplicemente pedagogica, ma piuttosto una proposta di inserimento nella sua stessa vita, che per essere educante deve essere vera realtà e non semplice finzione, sia pure di natura religiosa: non c’è educazione senza realtà, vitalità e testimonianza viva.
C’è quindi un legame intrinseco tra vita ecclesiale ed educazione che oggi, come non mai, si rende indispensabile e viene maggiormente richiesto dal nuovo contesto culturale, spingendo la Chiesa nel campo della società dinamica, in cui il processo educativo deve mirare alla formazione integrale dell’uomo su un piano teorico e pratico.
In questo nuovo impegno educativo la comunità cristiana certamente ritrova se stessa, nella sua vera natura di realtà storica e non solo di fenomeno religioso, riscoprendo la sua responsabilità verso la società, impegnandosi in una meravigliosa opera di progettazione e formazione di persone e cittadini che, una volta formati, diventano anch’essi formatori.
Una dinamica educativa mai disancorata dalla realtà e dinamicità di questa nostra società, giacché l’incontro con Cristo inserisce l’uomo, non in un mondo astratto, meramente ideologico, bensì nella concretezza e nella storicità di quell’organismo divino-umano che è la Chiesa.46 Note 32 Concilio Vaticano II, Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, EV 1/ Introduzione/819.
33 Ibidem.
34 M.
Mannucci, Barbiana.
Per una comunità educante, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 2004.
35 Vedi L.
Leuzzi, La comunità cristiana e l’educazione alla fede.
Prospettive di pastorale universitaria, Città del Vaticano, Lateran University Press, 2006.
36 Vedi AA.VV., Educazione religiosa.
Scuola Cattolica in Italia.
7° Rapporto, Brescia, La Scuola, 37 Vedi G.P Quaglino, Fare formazione, Bologna, il Mulino, 1985; G.P.
Quaglino e G.P.
Carrozzi, Il processo di formazione.
Dall’analisi dei bisogni alla valutazione dei risultati, Milano, Angeli, 1987.
38 LG, EV 1/31/549.
39 Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica, Il laico cattolico testimone di fede nella scuola, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1982, n.
24.
40 Benedetto XVI, Discorso all’apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma su famiglia e comunità cristiana (6 giugno 2005), AAS 97, 2005, 815.
41 Concilio Vaticano II, Dichiarazione sull’educazione cristiana Gravissimum educationis, EV 1/8/837.
42 Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica, La scuola cattolica, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1977, n.
56.
43 Vedi Congregazione per l’Educazione Cattolica, Educare insieme nella scuola cattolica.
Missione condivisa di persone consacrate e fedeli laici, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, n.
39, 25.
44 44.
Ibidem, n.
47, 30.
45 Vedi Benedetto XVI, Lettera alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008.
46 Vedi J.
Ratzinger, Il concetto di Chiesa e il problema dell’appartenenza alla chiesa.
In Il nuovo popolo di Dio, Brescia, Morcelliana, 1992, s.i.p.
       

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