Il lessico del secondo ciclo

Il lessico del secondo ciclo   Sergio Cicatelli       In questi giorni gli schemi di regolamento predisposti dal Ministero per i futuri licei, istituti tecnici e istituti professionali stanno affrontando l’esame degli organi di consultazione tecnico-politica.
Accanto ai pareri delle Commisioni parlamentari, della Conferenza Unificata, del CNPI, è particolarmente importante il parere tecnico del Consiglio di Stato, che proprio pochi giorni fa ha chiesto alcuni chiarimenti decisivi lamentando un eccesso di potere rispetto alla delega assegnata al Ministro.
Lasciando da parte per il momento le questioni di carattere formale, vogliamo tentare di riflettere su questi regolamenti da un’angolatura particolare per cercare di individuare la cultura e la progettualità di cui sono espressione.
Lo strumento che intendiamo adottare è quello dell’analisi lessicale, per misurare – in maniera puramente orientativa – la frequenza di alcune parole chiave nei testi in discussione.
È legittimo immaginare che alla frequenza di certi concetti corrisponda un grado di maggiore o minore attenzione da parte del legislatore.
L’esame è stato condotto sul testo dei tre regolamenti, completo di tutti gli allegati disponibili (profilo dello studente, piani orari, ecc.).
Per quanto riguarda la dimensione pedagogica, si può notare che i termini riconducibili in vario modo all’apprendimento e all’apprendere figurano con una discreta frequenza in tutti e tre i regolamenti, ma si tratta di citazioni poco significative in quanto consistono prevalentemente nel rinvio ai “risultati di apprendimento”, recente locuzione didattica di derivazione anche europea.
In questa forma, l’apprendimento ricorre 14 volte per i licei, 20 volte per i tecnici e 22 volte per i professionali, ma non si può sostenere che a ciò corrisponda una precisa ed originale scelta pedagogico-didattica.
D’altra parte, non è nemmeno possibile confrontare una pedagogia dell’apprendimento con una pedagogia dell’insegnamento, dato che il termine insegnamento ricorre sì un gran numero di volte (53 nei licei, 60 nei tecnici e 36 nei professionali), ma prevalentemente al plurale e come sinonimo di disciplina o materia scolastica nelle diverse elencazioni.
Inutile dire che il termine istruzione ricorre un numero infinito di volte per via del continuo riferimento al Ministero dell’Istruzione o al sistema di istruzione e formazione.
Non se può quindi tenere conto.
Per lo stesso motivo potrebbe essere poco significativa la presenza di formazione e formativo, proprio perché i termini compaiono prevalentemente nel contesto del citato sistema di istruzione e formazione e del piano dell’offerta formativa, cioè in doverosi contesti istituzionali più che per una scelta culturale particolare.
Le rispettive occorrenze sono 35 nei licei, 41 nei tecnici e 33 nei professionali.
Ugualmente, non è indicativa la presenza dell’educazione o dell’educativo, dato che anche in questo caso si tratta prevalentemente di citazioni relative al Profilo educativo, culturale e professionale dello studente o del sistema educativo in genere.
La radice educ- è comunque presente 25 volte nei licei, 10 nei tecnici e 11 nei professionali.
Abbiamo immaginato che potesse essere rilevante l’attenzione alla sfera socio-politica e quindi abbiamo contato le rispettive frequenze.
Di politica si parla solo 3 volte nei licei, 3 volte nei tecnici e 1 volta nei professionali.
La radice civic- non compare mai, mentre civil- compare 6 volte nei licei (ma è quasi sempre civiltà), 5 volte nei tecnici (dove invece è quasi sempre riferita alla dimensione civilistica del diritto) e 1 volta nei professionali (con l’identico significato giuridico).
La parola cittadinanza compare 1 sola volta nei licei, 2 volte nei tecnici e 3 volte nei professionali, ma si tratta solo della citazione della nuova disciplina Cittadinanza e Costituzione.
Molto più ampia è la presenza della dimensione sociale (o del prefisso socio-), che compare 28 volte nei licei, 18 volte nei tecnici e 33 volte nei professionali, ma spesso ricorre solo nel nome delle discipline scolastiche.
Era logico attendersi una massiccia presenza della storia e dei suoi derivati.
Per evitare di sovrarappresentare il concetto, si sono esclusi gli elenchi delle discipline (in cui figura sempre la storia), e ci si è limitati a rilevare le frequenze nel testo di legge e nei profili.
In tal modo, il termine ricorre 21 volte nei licei, 5 volte nei tecnici e 4 nei professionali, confermando un’attenzione storica o storicista ancora forte nei nostri corsi liceali.
All’opposto, si è misurato con lo stesso criterio (cioè escludendo gli elenchi di materie), la frequenza di scienze e scientifico, che mostra un andamento nettamente diversificato, con 55 occorrenze nei licei, 23 nei tecnici e 9 nei professionali (va tenuto presente che una parte delle citazioni nei licei era dovuta alle denominazioni dei corsi di liceo scientifico e delle scienze umane, ma il dato non è determinante).
E veniamo infine alla specifica dimensione religiosa, che risulta essere significativamente assente dalla progettualità educativa di questi documenti.
La parola religione ricorre 12 volte nei licei, ma per 11 volte è la citazione dell’Irc tra gli insegnamenti previsti dai piani di studio; lo stesso si può dire per le 3 occorrenze nei tecnici e per l’unica presenza nei professionali.
L’unica volta in cui si parla di religione in forma generica è, nei licei, per indicarla come possibile chiave interpretativa della realtà.
Inutile aggiungere che non compare mai la radice crist-, né come sostantivo né come aggettivo.
L’impostazione anti- o a-religiosa dei regolamenti Gelmini era già emersa con l’Atto di indirizzo per il primo ciclo, ma qui si incorre in assenze particolarmente clamorose, come quella relativa al liceo artistico, in cui gli studenti sono invitati a individuare solo le problematiche «estetiche, storiche, economiche, sociali e giuridiche connesse alla tutela e alla valorizzazione dei beni artistici e culturali», potendo beatamente trascurare la dimensione religiosa di tutta l’arte sacra, che pure rappresenta almeno metà del patrimonio artistico italiano.
C’è da augurarsi che si possa rimediare nel testo che fra qualche settimana dovrebbe essere approvato definitivamente dal Consiglio dei Ministri.
Da questo rapido e superficiale sguardo si può comunque concludere che i regolamenti non esprimono una chiara impostazione culturale e forse parlano più attraverso i loro silenzi o le loro reticenze che attraverso ciò che dicono esplicitamente.
D’altra parte, la lettura che abbiamo condotto è necessariamente superficiale dato che siamo ancora di fronte a testi provvisori che potrebbero subire significative modifiche nella loro versione definitiva.
Quando i testi saranno disponibili in versione ufficiale, suggeriamo ai lettori di esercitarsi in questo tipo di analisi per ricavare anche da questi testi normativi indicazioni e orientamenti culturali.
 

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