Il cinema di Natale inizia con il suo Babbo.
Guarda soprattutto a lui, dedicandogli in un secolo di vita, oltre duecento titoli, a partire dal 1897.
Il fascino del costume, della casetta polare, della fabbrica di balocchi, della slitta e del volo nella notte magica, la vigilia del 25 dicembre, è rimasto intatto, diventando un elemento costante della produzione cinematografica natalizia.
Così, a soli due anni dalla sua nascita, il cinema si appropria subito di Babbo Natale con ben due film, uno dedicato alla discesa dal camino e alla confezione delle calze piene di regali e uno alla festa preparata per lui sotto il classico albero. Da lì a poco, questa icona natalizia fa capolino in un primo muto del 1912 e in un secondo del 1925, quest’ultimo girato realmente al Polo Nord.
Poi arriva un classico, Miracolo nella 34ª strada diretto da George Seaton nel 1947 con John Payne che rimprovera la cinica Maureen O’Hara, distratta dalla carriera e dai consumi.
Lei non crede che Kris Kringle sia davvero Santa Claus, ma “Doris – la redarguisce l’avvocato Fred Gailey – un giorno scoprirai che il tuo modo realistico di affrontare le cose di questo mondo semplicemente non funziona.
E quando ciò accadrà, non lasciarti sfuggire il fascino delle cose incomprensibili.
Scoprirai che sono le uniche cose che meritano veramente di essere prese in considerazione”.
In fondo il cinema, con questa arringa, difende anche il suo stesso fascino e produce ben due rifacimenti, uno televisivo del 1973 e uno nel 1994 col grande Richard Attenborough nel ruolo di Kringle-Santa Claus.
Curiosando, ecco nel 1959 un Santa Claus messicano che ha assoldato bambini di tutte le etnie per costruire i regali e che deve combattere, con l’aiuto di Mago Merlino, un diavoletto dispettoso e cattivo.
Come si vede, dagli anni Sessanta le tradizioni narrative cominciano a contaminarsi e il più delle volte portano a veri e propri pasticci cinematografici che di natalizio perdono tutto, pure lo spirito.
Appaiono a frotte creature nordiche e leggendarie, come gli elfi, in molte versioni tra cui una diretta addirittura da Rossano Brazzi nel 1966 (The Christmas that Almost Wasn’t) nella quale appaiono Mr.
& Mrs.
Claus a difendere il Natale che rischia di essere cancellato.
Ma la coppia natalizia ritorna anche nel 1985 in Santa Claus, di Jeannot Szwarc.
Troviamo, però, in questa ricca filmografia, anche Babbi Natale mortali e gaudenti, oppure al circo, rapiti dai marziani, in versione giapponese, alcolisti e violenti, addirittura serial killer, fino alla computerizzazione fantasmagorica in The Polar Express di Robert Zemeckis, del 2004, che sperimenta per la prima volta la tecnica adottata anche in A Christmas Carol e vede il sempre bravo Tom Hanks nei panni di Babbo Natale alle prese con un bambino che dubita della sua esistenza.
E nel 2005 è interessante il tentativo multiculturale e multietnico messo in atto da Steve Grey e Ton Knight che, nella loro opera prima di animazione, Santa Camel’s, immaginano un Babbo Natale costretto a utilizzare quattro cammelli al posto delle renne per portare doni ai bambini sofferenti del Medio Oriente.
Il Natale è sempre stato una festa che supera ogni confine e differenza, perché agisce sui buoni sentimenti, comuni a tutta l’umanità.
Carità e giustizia sono temi universali e natalizi, che si ritrovano, diversamente declinati, in due principali filoni, quello romanzesco e quello propriamente evangelico.
All’inizio, il cinema pesca molto nella narrativa secondo uno schema assai semplice: il Natale porta, miracolosamente, al riscatto di vite dissipate e il cuore chiuso e cinico si apre alla carità.
Due sono gli esempi più famosi: in Miracle on Main Street, del 1939, una peccatrice trova, la sera della vigilia, un bambino abbandonato proprio nel presepe di una chiesa.
La piccola creatura le salverà la vita e l’anima.
Un classico della riconciliazione, questa volta con intervento esterno degli angeli, è The Preacher’s Wife del 1947, con remake nel 1996: nel primo la coppia era formata da Cary Grant e Loretta Young, nel secondo il ruolo della moglie è stato affidato a Whitney Houston.
Ma il miracolo dei miracoli è l’intramontabile La vita è meravigliosa, diretto da Frank Capra nel 1964, vero inno alla vita buona e ben vissuta.
Mentre vite piuttosto sprecate e superficiali, ma seguitissime da un certo pubblico natalizio, sono quelle raccontate nei cosiddetti “cinepanettoni” italiani che, prendendo a pretesto il Natale solo come momento di divertimento, seguono per le città più famose del mondo le disavventure comiche di coppie male assortite.
Il racconto della Natività rimane, invece, pudicamente ai margini del cinema.
Troviamo piuttosto segmenti di storia evangelica rappresentati nelle superproduzioni hollywoodiane epico-cristologiche.
È lì che il Natale fa capolino con ricostruzioni di veri presepi viventi e un’approssimativa verosimiglianza storica.
Ci sono, però, tre splendide Natività cinematografiche, dissimili e pregne di stupore e di senso del mistero, che vale la pena ricordare e rivedere.
Nel Christus di Giulio Antamoro, film del 1916 modellato sulla grande tradizione pittorica italiana, il Salvatore nasce in una capanna pudicamente osservata dall’esterno e in lontananza, ma dalla quale irradia una luce soprannaturale di inusitato vigore.
Esattamente sessant’anni più tardi, è Franco Zeffirelli a girare, nel suo Gesù di Nazareth, il più commovente e poetico parto verginale di Maria: Olivia Hussey diventa un’icona del cinema natalizio.
Infine, trent’anni dopo, per Nativity di Catherine Hardwicke è stata organizzata, il 26 novembre 2006, una prima assoluta in Aula Paolo VI: indimenticabile l’applauso scrosciante dei 7.000 spettatori al primo vagito di Gesù Bambino tra le braccia di Maria.
(©L’Osservatore Romano – 12 dicembre 2009)
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