La filosofia si allea con Dio e salva l’uomo dalla violenza

Stando al significato assunto storicamente dalla parola «Dio», esiste qualcosa di infinitamente più «alto» di «Dio».
Può il cristianesimo portarsi a questa «altezza»? Il «Dio» storico, infatti, è una delle forme più radicali della violenza, e la vicinanza tra Satana, che «è omicida sin dall’inizio», e Dio diventa inevitabile.
Ma in quello stare infinitamente più «in alto» appare che la violenza e la morte sono già da sempre vinte anche se la fede nella loro esistenza domina il mondo.
La violenza domina il mondo.
Rende nemici stati, etnie, famiglie, individui e l’individuo stesso rispetto a sé stesso.
Il cristianesimo è una delle forme più alte che l’uomo abbia evocato contro di essa.
Tutte le grandi religioni hanno l’intento di tenerla lontana.
Parlano un linguaggio che i popoli possono capire.
Ma soprattutto il cristianesimo si è confrontato per due millenni con la filosofia.
E infatti quale altro alleato le religioni hanno trovato, contro la violenza, oltre alla filosofia? La quale non parla certo il linguaggio che la «gente» capisce, ma è entrata nel sangue delle religioni, e poi di tutti i grandi eventi della storia europea: rinascimento e arti, scienza moderna e diritto, rivoluzione francese, capitalismo e comunismo.
La filosofia si fa sentire come il vento a chi se ne sta in casa: attraverso le porte, le finestre, i muri delle religioni.
Stare all’aperto è difficile, perfino pericoloso.
L’aperto mette in discussione tutte le certezze di chi sta al chiuso.
Mette in discussione anche il senso della violenza.
Non certo per rimetterla in circolazione.
La filosofia stende la mano alla coscienza religiosa, a quella cristiana in particolare, per portarla più in alto.
Si distingue la violenza dalla volontà.
Esiste la volontà buona, si dice: combatte quella cattiva che, essa sì, è violenza.
La volontà non può esser messa in discussione! E quand’anche lo fosse , dovremmo stenderci per terra e non fare più nulla? Ma anche per far questo occorre volerlo! E allora? Allora si potrebbe incominciare a pensare che altro è volere sapendo che volere è peccare, è violenza, altro è volere non sapendolo.
Volere è peccato e violenza? Sì, è strano; ma si provi a prestare ascolto a cosa dice quel vento di cui si parlava qui sopra.
Molte parole sfuggiranno, altre resteranno incomprensibili, anche perché in casa, a volte, si fa molto rumore.
Il vento dice: «La violenza può esistere solo perché si crede che il mondo sia disponibile alla volontà (umana o divina) di trasformarlo.
Nel paradiso cristiano non c’è violenza, soprattutto perché l’Ordinamento divino che vi regna è un sole immutabile, inviolabile, immodificabile.
E nessuno dei beati vuole trasformarlo.
Ma si pensa a che significa la trasformazione delle cose e la conseguente decisione di trasformarle? Significa che diventano altro da quello che sono.
Il vivente diventa un morto, e quando è diventato un morto, lì non c’è soltanto un morto, ma un vivente che è un morto.
Perché sia un morto, è necessario che esso sia, appunto, un vivente che ora è un morto, ossia che il morto sia il risultato di un morire e che il risultato sia, appunto, un vivente che è un morto, cioè un non vivente.
Che strano! Si diventa sospettosi quando si sente parlare di una casa che non è una casa, di una stella che non è una stella, di un albero che non è un albero; ma non si prova nessun imbarazzo e si sta tranquilli (o meglio, si crede di esserlo) quando si sente dire che un vivente è un morto! Eppure la stessa follia è presente nel dire che una stella non è una stella e nel dire che un vivente è un morto.
La stessa follia, lo stesso errore, la stessa violenza per cui qualcosa è reso altro da ciò che esso è, è separato da sé, squartato, e un pezzo del proprio cadavere (la stella) è reso identico all’altro pezzo (la non stella)».
A questo punto, in casa qualcuno dirà infastidito di chiudere meglio porte e finestre, per non sentire questi discorsi, qualche altro dirà che essi son proprio parole al vento.
Che però, anche se non gli si bada più, continua a parlare.
Così: «Gesù dice ai Farisei, che vogliono ucciderlo, che il loro padre è il diavolo, ‘che sin dall’inizio è stato omicida e non è rimasto nella verità’ ( ille homicida erat ab inizio et in veritate non stetit , Gv.,8,40).
Infatti ha indotto i nostri progenitori al peccato, cioè ad essere ‘come Dio’ ( eritis sicut dii ), e Dio ha punito l’uomo consegnandolo alla morte.
‘Ad opera di un uomo — dice Paolo ( ad Romanos, 5, 12) — entrò nel mondo il peccato, e ad opera del peccato la morte’.
Ma ecco il centro di quanto va soprattutto pensato, all’aperto: che non è che la morte sia entrata nel mondo ad opera del peccato, ma, all’opposto, che il peccato è entrato nel mondo ad opera della morte; e cioè che il vero peccato è la morte.
Vediamo».
«Nei Vangeli, la parola più usata per nominare il peccato è hamartìa , che innanzitutto significa ‘errore’.
Ma prima abbiamo sentito l’errore più radicale, cioè la convinzione che le cose divengano altro da ciò che esse sono, e che, diventate altro, sono altro da sé.
Diventando un morto, il vivo è un morto.
E ogni diventar altro è un morire.
Credere nell’esistenza della morte è credere che un vivo sia un morto, cioè un non vivo; che la stella sia non stella, e così via per tutte le cose che la volontà vuole far diventar altro da quello che sono, e che così vuole perché, appunto, crede che possano diventar altro.
Credere nell’esistenza della morte è l’errore estremo, il peccato più profondo, più originale.
Con la morte il peccato entra nel mondo perché il vero peccato è la morte stessa, cioè la fede nella sua esistenza.
È sul fondamento di questa fede si può decidere di uccidere».
Ma la filosofia ha un duplice volto.
Uno guarda la notte, l’altro il giorno.
Il vento che sta parlando è il vento del giorno.
«L’altro volto, mostrato dal popolo greco — dice ancora il vento, se qualcuno è rimasto a sentirlo —, rende estremo l’errore più radicale: crede di vedere che le cose diventando altro da sé, diventano nulla e da nulla che erano, diventano esseri.
A ciò provvede la volontà di Dio e dell’uomo.
L’errore estremo è credere che il nulla, diventato essere, sia essere, e che l’essere diventato nulla, sia nulla.
Quando l’uomo vuole che l’uomo vada nel nulla è ‘omicida’.
Quando Adamo pecca è deicida.
Ed omicida è il diavolo che spinge l’uomo nella morte.
E Dio? Ma anche Dio non vuol forse creare il mondo dal nulla, e annientarlo quando creerà ‘un nuovo cielo e una terra nuova?’ ( Apocalisse ,21).
Non crede forse anche Dio nell’esistenza della morte? E non è forse questo il senso originario dell’omicidio e della violenza? » .
«Se la follia estrema è credere che uomini e cose divengano nulla e ne escano, e questa fede è il vero peccato, l’essere è ucciso proprio dalla fede che esso divenga nulla.
Sul fondamento di questa fede, che è la violenza dell’enticidio, viene perpetrato l’omicidio autentico: si mette l’uomo (e le cose tutte) nel sepolcro del nulla, lo si fa diventare un nulla — lui, che è uomo e non un nulla —, lo si considera qualcosa che di per sé è un nulla.
Poi si solleva il coperchio del sepolcro, e, trovando un cadavere, lo si ‘salva’, prima creandolo dal nulla e poi liberandolo dalla morte, che però è la ‘morte eterna’, non questa nostra morte, nella quale si continua a credere.
Il cristianesimo vuole ridurre il suo Dio a un omicida? O non c’è forse qualcosa di infinitamente più alto di ogni Dio, più alto della volontà e della violenza?».
Il vento che si è fatto sentire viene dall’aperto, si diceva prima.
Solleva miriadi di problemi, ma prima di giudicarlo vanità delle vanità, non ci si possono tappare le orecchie.
Anche perché viene dall’aperto nel senso che sale dal più profondo di noi stessi, dal profondo con cui crediamo di non aver nulla a che fare, dal sottosuolo della casa in cui ci chiudiamo e a cui riduciamo la nostra esistenza.
in “Corriere della Sera” del 10 dicembre 2009

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