Milano torni grande con la sobrietà e la solidarietà

il Cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi ha tenuto il tradizionale “Discorso alla Città di Milano” in occasione della festività di Sant’Ambrogio.  Il Cardinale parla di umanità, di solidarietà, di attenzione ai giovani, ai disoccupati, ai poveri.
Invita a un nuovo stile di vita che chiama: Santa Sobrietà.
Carissimi, ancora una volta il Signore mi dà la grazia e la gioia di rivolgermi alla Città per la festa di sant’Ambrogio, patrono di Milano e della Diocesi.
L’amore per la nostra Città Inizio confessando il particolare amore che mi lega a questa Città, alla mia Città.
Sono sicuro che tutti voi condividete con me questo amore, un amore segnato da gratitudine e insieme da responsabilità.
La gratitudine, anzi tutto.
Riconosciamo il patrimonio di fede, di storia, di cultura, di tradizioni, di opere che nei secoli ha arricchito la nostra Città: una preziosa eredità che ogni giorno viene posta nelle nostre mani, un dono grande che è offerto anche alle giovani generazioni e ai milanesi di domani, a coloro che in questa Città vengono ad abitare da altre città, da terre lontane.
A questa nostra gratitudine s’accompagna poi un senso di responsabilità.
È un amore che si pone una domanda: sapremo anche noi arricchire l’eredità morale e spirituale da trasmettere a quanti verranno dopo di noi? Ma quale potrà essere il nostro modo, per conservare, anzi per arricchire la storia di questa Città? Nessuno di noi pensa che per perpetuare nel futuro la grandezza di Milano sia sufficiente edificare qualche monumento, questa o quell’altra infrastruttura, abbellirla con qualche opera d’arte.
Si tratta di interventi utili ma – sappiamo – da sempre sono gli abitanti la ricchezza più grande di una città.
Mi chiedo ancora: noi stiamo portando il nostro contributo per rendere grande Milano? “Milano con il cuore in mano”, “solidarismo ambrosiano”: queste ed altre espressioni proverbiali, da sole, lasciano intendere quale sia l’eredità migliore che ci è stata consegnata: la solidarietà.
Tante istituzioni caritative ne sono una splendida testimonianza.
Eroi della solidarietà dicono di questa grandezza.
Come non ricordare il beato don Carlo Gnocchi e la Fondazione che ne porta il nome? La solidarietà rende grande la Città È la pratica straordinaria della solidarietà che ha reso grande nei secoli Milano.
Ed è sulla solidarietà che dobbiamo misurare ancora oggi l’autenticità della grandezza della nostra Città.
Spesso la solidarietà riceve un’interpretazione semplicistica: emotivo-sentimentale nell’ambito personale, benefico-assistenziale in quello sociale.
Ma, come sottolinea la recente enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, la solidarietà esige di essere riscattata da queste visioni parziali, affermandone il ruolo tipicamente sociale e politico.
Essa, infatti, persegue il bene non solo individuale ma anche e specificamente comune, è del tutto inscindibile dalla giustizia e include, pertanto, la presenza attiva e responsabile delle stesse Istituzioni ben oltre il pur indispensabile servizio del volontariato.
La solidarietà è inseparabile dalla giustizia e per questo ha una destinazione propriamente sociale.
Alla sua radice ci sono sempre gli altri.
Sì, gli altri, perché ciascuno di noi, lungi dall’essersi costituito da sé, è in se stesso un dono, un essere che ha ricevuto molto dagli altri.
E non c’è solo un debito individuale, ma anche un debito comunitario, che ci lega alle generazioni che ci hanno preceduto.
Scriveva Paolo VI nella sua famosa Enciclica sullo sviluppo dei popoli e dell’intera umanità: «Ogni uomo è membro della società: appartiene all’umanità intera… Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi a ingrandire la cerchia della famiglia umana.
La solidarietà universale, che è un fatto, per noi è non solo un beneficio, ma altresì un dovere» (Populorum progressio, 17).
La solidarietà riveste i tratti del dovere.
È un aspetto che viene sottolineato con forza anche dalla nostra Costituzione.
Tra i “principi fondamentali” viene affermato il profondo legame tra i “diritti inviolabili dell’uomo” e “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale” (art.
2).
È questo il grande patto sociale che mantiene coesa una città.
Qui è in gioco una virtù cardinale, è in gioco la giustizia! Milano è una città solidale? La nostra Città oggi è una città solidale, all’altezza della sua tradizione? È difficile rispondere con poche parole.
Come ogni città, anche la nostra Milano è una città composita, dai tanti volti, dalle mille storie, che in alcune sue parti rischia di essere costituita da isole, da “città nella città”.
Non ha un aspetto unico ed è inevitabile che sia così per una metropoli moderna.
E se la solidarietà non è solo il dare episodico ma una tensione interiore che si esprime in comportamenti abituali e permanenti, si fa inevitabile la domanda se la nostra città sia veramente solidale con tutti i suoi abitanti.
Milano è solidale con i bambini e il loro futuro se, ad esempio, sono sufficienti gli asili nido, le scuole materne, i parchi gioco.
La Città è solidale con i ragazzi se sa dare loro, insieme a un’offerta scolastica qualificata, anche opportunità educative, culturali, ricreative, quali momenti significativi per prevenire il disagio.
La Città è solidale con i giovani se sa farsi carico delle loro domande e delle loro tensioni, se sa ascoltarli e guardarli con stima, fiducia, amore sincero.
Ma è solidarietà offrire ai giovani che si affacciano al mondo del lavoro forme di impiego quasi sempre precarie, quasi a voler approfittare della loro condizione, sfruttando le loro necessità? La solitudine poi di tante persone manifesta il bisogno di solidarietà.
Sono sole tante famiglie, alle prese con il peso di conflitti e violenze nascoste, con il dramma della separazione, con i problemi economici, con la malattia di un congiunto; sono soli tanti anziani, senza relazioni significative e prospettive per il futuro; rischiano di essere soli gli immigrati, spesso confinati – per chiusura o per rifiuto sociale – dentro i propri gruppi etnici… Ma Milano offre anche molti esempi di autentica solidarietà.
Penso a tutti i lavoratori che compiono bene il proprio dovere, con dedizione e generosità.
Non sono poche le persone che hanno come tratto distintivo della propria vita il volontariato e nelle associazioni caritative.
Voglio qui menzionare in particolare – insieme ai benefattori – le centinaia di volontari impegnati nel “Fondo Famiglia-Lavoro”, non solo per distribuire contributi economici, ma soprattutto per ascoltare chi ha perso l’occupazione, studiare con loro soluzioni per tornare a essere produttivi.
Non mancano gli imprenditori che sfidano la crisi economica affrontando sacrifici pur di salvaguardare il posto di lavoro dei propri dipendenti e di non far mancare il sostentamento alle famiglie; i ricercatori che sono attivi per migliorare le cure con cui combattere la malattia.
Non manca chi progetta con intelligenza gli spazi della Città per innalzare la qualità della vita delle persone.
Come non citare poi chi opera per migliorare le condizioni di vita degli immigrati, chi si impegna per offrire percorsi di autentica integrazione, per coniugare solidarietà e legalità? Mi ha colpito nei giorni scorsi, a seguito dello sgombero di un gruppo di famiglie rom accampate a Milano, la silenziosa mobilitazione e l’aiuto concreto portato loro da alcune parrocchie, da tante famiglie del quartiere preoccupate, in particolare, di salvaguardare la continuità dell’inserimento a scuola – già da tempo avviato – dei bambini.
La risposta della Città e delle Istituzioni alla presenza dei rom non può essere l’azione di forza, senza alternative e prospettive, senza finalità costruttive.
La Chiesa di Milano, il volontariato e altre forze positive della Città hanno dimostrato, e rinnovano, la propria disponibilità per costruire un percorso di integrazione.
Non possiamo, per il bene di tutta la Città, assumerci la responsabilità di distruggere ogni volta la tela del dialogo e dell’accoglienza nella legalità che pazientemente alcuni vogliono tessere.
Sono innumerevoli coloro che nella vita quotidiana tengono gli occhi aperti alle necessità degli altri: attenzioni che si concretizzano in piccoli gesti e segni di prossimità, ma che – considerati tutti insieme – portano uno straordinario beneficio a tantissime persone per il loro equilibrio, per il loro benessere, assorbendo tanta fatica che, altrimenti, appesantirebbe la vita di molte persone e della Città nel suo insieme.
Senza questi “angeli” della quotidianità la vita a Milano sarebbe per tanti sicuramente più difficile.
In questa prospettiva va promossa con decisione una “nuova solidarietà” che assuma la forma di una vera e propria “alleanza” intesa come incontro, dialogo, scambio d’informazioni, condivisione di interventi, collaborazione corresponsabile tra le Istituzioni pubbliche e le forze vive della società civile, ovviamente nel rispetto delle diverse competenze e nel segno di una reciproca fiducia: si pensi, in particolare, all’urgenza di una simile alleanza nei fondamentali ambiti della scuola, del lavoro, della salute, della lotta alle varie forme di povertà e di emarginazione sociale.
Non c’è solidarietà senza sobrietà Ed ora, proprio nel contesto di Milano chiamata a un supplemento di solidarietà, giungo a un’affermazione forse inattesa: quella riguardante la sobrietà.
Sì, la nostra Milano, come tutte le città e forse ancor più delle altre, ha bisogno di sobrietà.
Vorrei ricordare quanto dissi nell’omelia della S.
Messa della notte dell’ultimo Natale in Duomo quando rivolsi un invito alla conversione: «C’è uno stile di vita costruito sul consumismo che tutti siamo invitati a cambiare per tornare a una santa sobrietà, segno di giustizia prima ancora che di virtù».
A distanza di quasi un anno, sento di dover ripetere queste parole, invitando a recuperare la fatica e la gioia della sobrietà.
La sobrietà è possibile, in essa c’è il segreto della vita buona e bella, anche se il cammino per arrivarvi è difficile e chiede che si cambi lo stile di vita.
Con la sobrietà è in questione un “ritornare”, come se si fosse smarrita la strada.
Ci siamo lasciati andare a una cultura dell’eccesso, dell’esagerazione.
Soprattutto la sobrietà è questione di “giustizia”.
Siamo in un mondo dove c’è chi ha troppo e chi troppo poco, e anche nella nostra Città c’è chi sta molto bene, mentre sempre più aumenta il numero di chi fa più fatica.
La sobrietà ci aiuta a costruire la giustizia, perché decide, sceglie e agisce secondo la giusta misura, e dunque sempre con l’attenzione vigilante ai diritti e doveri che si hanno nei riguardi sia di se stessi che degli altri, superando sempre eccessi e sprechi.
In particolare la “giusta misura” nell’uso dei beni rende la sobrietà, da un lato nemica dell’avarizia, dall’altro amica della liberalità, ossia di una pronta disponibilità alla condivisione dei beni.
Questa stretta connessione tra la sobrietà e la giustizia ci aiuta a comprendere come la sobrietà sia una via privilegiata che ci conduce alla solidarietà.
Solo chi è sobrio può essere veramente solidale.
Infatti la sobrietà crea gli spazi: nella mente, nel cuore, nella vita, nella nostra casa… La sobrietà apre agli altri e ridimensiona l’importanza eccessiva che diamo a noi stessi; ci apre agli altri e in ogni cosa ci interpella a partire dal bisogno altrui.
La sobrietà favorisce lo sviluppo La sobrietà non è solo un valore personale e individuale, è anche un valore sociale, comunitario: coinvolge la Città come tale.
Una delle più frequenti obiezioni alla sobrietà va al cuore della questione: l’industria e il terziario tengono solo se ci sono consumi, il cui calo comporta il calo della produzione.
Ora la sobrietà pare esigere una riduzione dei consumi e, se attuata, andrebbe contro lo sviluppo, divenendo fonte di gravi problemi a cominciare dalla disoccupazione.
Dunque la sobrietà potrebbe apparire un valore estraneo per Milano! Sobrietà, però, non significa non consumare e non produrre.
È piuttosto “utilizzare” non in un’ottica di spreco, bensì di saggio impiego, finalizzando così la produzione e i servizi ai veri bisogni dei singoli, per crescere nel benessere condiviso.
La sobrietà muove dalla consapevolezza che le risorse sono limitate e che vanno quindi ben utilizzate.
Essa stimola l’intelligenza e la capacità di ciascuno perché sappia usare al meglio le opportunità che vengono offerte per il singolo e per gli altri, per l’intera umanità.
La sobrietà non danneggia l’economia ma è a favore di una sua realizzazione sapiente perché mette al centro la persona e le sue esigenze più vere.
È questo l’insegnamento della Chiesa riproposto nell’enciclica sociale Caritas in veritate.
Il futuro della Città: Expo 2015 e vita quotidiana In questa prospettiva Milano deve considerare le opportunità legate a Expo 2015.
Lo stesso tema prescelto “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita” offre un ambito dove la sobrietà, rettamente intesa, può essere un fattore determinante.
La sfida di “nutrire il pianeta” – meglio dire, tutte le persone che vivono e vivranno sulla Terra – esige infatti un profondo ripensamento dell’uso delle risorse.
Richiede intelligenza per escogitare forme nuove di uso e valorizzazione dei beni; pretende un salto di qualità nell’intendere in modo nuovo e solidale i legami tra le nazioni e l’interconnessione tra i diversi attori pubblici e privati della produzione e del mercato; spinge a impiegare energie per la ricerca agro-alimentare; comporta impegno per cercare modalità di dialogo e di scambio, di conoscenza e di risorse, per una crescita equilibrata e solidale del pianeta.
Ovviamente la realtà di Milano non può esaurirsi nell’avventura dell’Expo.
La speranza è che questo evento possa far da traino per un ripensamento globale di Milano in termini innovativi, economicamente solidi e promettenti, aperti a una visione profondamente etica e responsabile.
Diventa inevitabile a questo punto interrogarci sulle concrete applicazioni quotidiane della sobrietà come via alla solidarietà nell’ambito della nostra Città, in riferimento, ad esempio, alle risorse pubbliche e al loro impiego.
Milano è spesso etichettata come città “del fare”.
La sobrietà può rinverdire questo nobile appellativo: un “fare” che non deve riguardare solo la dimensione produttiva ma che vuole mirare ai risultati concreti a beneficio di tutti gli abitanti; un risultato che si raggiungerà eliminando tutto ciò che è superficiale, vuota apparenza, perdita di tempo e spreco di risorse.
Non abbiamo forse la sensazione che si punti alla costruzione di campagne di comunicazione e di immagine, nascondendo la consistenza reale dei problemi, più che alla soluzione dei problemi stessi e all’offerta di servizi efficienti e per tutti? Sono convinto che chi per vocazione, per lavoro, per servizio, per mandato pubblico, per elezione è chiamato a operare per gli altri debba essere sobrio per incontrare realmente le donne e gli uomini nelle loro esigenze, per mettere al centro delle proprie attenzioni i problemi delle persone e delle famiglie e, quindi, per risolverli.
La festa di sant’Ambrogio può suonare come appello a un sussulto di moralità e spiritualità nei nostri stili di vita.
La nostra Città è interessata – e lo sarà sempre più – da progetti di realizzazione di grandi opere che esigono ingenti quantità di denaro e per le quali sono possibili interferenze e infiltrazioni di criminalità organizzata.
Divengono quindi ancora più urgenti da parte di tutti – e specialmente di chi ha maggiori responsabilità – il rispetto di norme semplici, chiare ed efficaci, il confronto con la coscienza morale, la rettitudine nell’agire, la gestione corretta del denaro pubblico.
In ambito ancor più personale, vivere secondo sobrietà aiuta a verificarsi su quale sia la vera sorgente della felicità.
Con uno stile di vita sobrio è facile smascherare l’illusione che la felicità provenga dal possesso delle cose, da un’esistenza condotta sempre “oltre il limite”.
Troppe persone – e non solo i giovani – sembrano alla ricerca di uno “stato di ebbrezza permanente” da perseguire con eccessi (di sostanze stupefacenti, di alcool, di sensazioni ed emozioni forti) quasi per dimenticare quanto sia seria e impegnativa la vita, quasi per sfuggire alle proprie responsabilità, quasi per volersi sottrarre al compito di ricercare quella felicità duratura e profonda che deriva dalla piena e autentica realizzazione di sé.
Questi stili di vita esaltano l’individualismo, corrono il rischio di distruggere i soggetti, allentano i legami sociali, indeboliscono la Città.
Persone autenticamente felici, invece, portano un grande contributo alla costruzione di una Città migliore: la vera gioia, infatti, non presenta mai i tratti dell’egoismo bensì del dono di sé, scaturisce dalla ricerca del bene dell’altro.
Se anzitutto i fedeli di questa Città – ed è il pastore, il Vescovo ad esprimersi così – vivranno con sempre maggiore coerenza il loro essere cristiani, la ricerca del bene dell’altro genererà un intreccio virtuoso che renderà Milano coesa, capace di curare e guarire le ferite dei suoi abitanti.
Stili di vita personali virtuosi sprigionano la forza per rinnovare la Città.
Una conversione è possibile? In questo senso ripropongo la chiamata alla conversione, esattamente nella linea proposta da Benedetto XVI il 1° gennaio 2009 e – in termini ampi e dal valore profetico – nell’enciclica Caritas in veritate.
Il Papa invita a vedere la crisi “come un banco di prova”, ponendo questi interrogativi: «Siamo pronti a leggerla, nella sua complessità, quale sfida per il futuro e non solo come un’emergenza a cui dare risposte di corto respiro? Siamo disposti a fare insieme una revisione profonda del modello di sviluppo dominante, per correggerlo in modo concertato e lungimirante?».
Si esige un cambiamento radicale, lungimirante e teso al bene comune globale.
Si esige una progettazione di ampio respiro, capace di andare oltre le risposte immediate ed effimere, capace di dare un volto nuovo alla nostra Città.
Una progettazione che riguardi tutti i grandi capitoli della vita sociale.
La direzione tracciata è precisa: si tratta di favorire, diffondere e condividere modelli e stili di vita insieme profetici e praticabili, capaci di far crescere le virtù e le opere della sobrietà e della solidarietà: nell’ambito personale e interpersonale, in quello comunitario e istituzionale.
Guardiamo a Cristo È richiesto un grande investimento educativo da parte di tutti.
All’Angelus del 1° gennaio di quest’anno il Papa conclude con un’annotazione di particolare importanza: «Gesù Cristo non ha organizzato campagne contro la povertà, ma ha annunciato ai poveri il Vangelo, per un riscatto integrale dalla miseria morale e materiale.
Lo stesso fa la Chiesa, con la sua opera incessante di evangelizzazione e promozione umana…».
È dunque a Cristo che dobbiamo guardare, come singole persone, come città di Milano, a lui che è il “buon samaritano” e che vuole continuare a essere presente e operante nella storia dell’umanità ferita e bisognosa di “cura” tramite la nostra mediazione.
Quella di Cristo è una presenza che ha i segni del Crocifisso, che sa attraversare le situazioni umane di fatica e di sofferenza assumendole, facendosene carico.
Conserviamo la presenza del crocifisso, simbolo cristiano ma anche simbolo profondamente umano.
Di fronte ad esso siamo tutti richiamati a interrogarci sul significato che hanno il soffrire e il morire, così come possiamo ritrovare la speranza per superare le situazioni di dolore e di morte.
Ma il Crocifisso è risorto! Non limitiamoci a considerare il crocifisso come segno di un’identità.
Dobbiamo passare dal simbolo alla realtà, alla realtà di Gesù Cristo morto e risorto e veniente, persona viva, concreta, incontrabile, sperimentabile.
Conserviamolo questo simbolo, ma soprattutto viviamolo con umile, forte e gioiosa coerenza.
Concludiamo con una riflessione che sant’Ambrogio pone al termine del suo commento alla parabola del buon samaritano.
«Siccome nessuno è maggiormente prossimo di Colui che guarì le nostre ferite, amiamolo come Signore, ma amiamolo anche come prossimo; nulla è tanto prossimo quanto il Capo alle membra.
Amiamo anche chi è imitatore di Cristo, amiamo chi ha compassione dell’altrui indigenza secondo l’unità che vige nel corpo.
Non è la parentela che fa il prossimo, ma la misericordia» (Esposizione del Vangelo secondo Luca, VII,84).
+ Dionigi card.
Tettamanzi

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