Due giorni fa Benedetto XVI ha ricevuto le presidenti dell’Argentina, Cristina Fernández de Kirchner, e del Cile, Michelle Bachelet, arrivate con le rispettive delegazioni a ringraziare la Santa Sede per la soluzione pacifica data venticinque anni fa dalla diplomazia vaticana alla controversia territoriale tra i due paesi circa la sovranità sulle isole a sud del canale di Beagle.
L’Argentina e il Cile, assieme alla Colombia, sono le nazioni dell’America meridionale in cui la Chiesa cattolica è più saldamente impiantata.
Ma sono anche quelle in cui è più incalzante la sfida della secolarizzazione: nella mentalità, nel costume e nelle norme giuridiche.
Il 13 novembre un giudice di Buenos Aires ha autorizzato un “matrimonio” tra persone dello stesso sesso, dichiarando incostituzionali gli articoli del codice civile che lo vietano.
Il capo del governo di Buenos Aires ha preso le parti del giudice.
E ciò ha provocato la vigorosa reazione dell’arcivescovo della città, il cardinale Jorge Bergoglio, che è anche presidente della conferenza episcopale argentina, persona molto amata e stimata.
La risposta della Chiesa alla sfida della secolarizzazione è un test decisivo per verificare la riuscita o meno delle indicazioni pastorali elaborate per il subcontinente dalla conferenza degli episcopati latinoamericani tenuta nel 2007 ad Aparecida.
La secolarizzazione, infatti, erode quello che è un carattere tipico della Chiesa cattolica in questi paesi: quello di essere Chiesa di popolo, con la famiglia come struttura portante e con il battesimo dei bambini come pratica generale.
In alcune regioni d’Europa battezzare un bambino è già divenuto un atto di minoranza, che per essere compiuto esige una decisione controcorrente.
Ma ora anche in Argentina cresce il numero di bambini, ragazzi, giovani, adulti che non sono battezzati.
Questo calo della pratica del battesimo consegue a un indebolimento dei legami familiari e a un allontanamento dalla Chiesa.
Tra il clero c’è chi ne ha tratto questa conseguenza: là dove vede spegnersi i segni della fede, ritiene giusto neppure amministrare i sacramenti.
In Argentina, oggi le autorità della Chiesa si muovono invece in direzione opposta.
Già nel 2002 l’arcidiocesi di Buenos Aires e le diocesi del circondario avevano pubblicato un’istruzione che raccomandava vivamente di battezzare sia i bambini che gli adulti e spiegava come superare le resistenze alla celebrazione del rito.
Ma ora i vescovi della regione sono tornati alla carica con un libretto dal titolo “El bautismo en clave misionera”, che riproduce l’istruzione del 2002 e la integra con altre indicazioni orientative per i parroci.
Così da quest’anno i parroci più solerti indicono periodicamente delle “giornate del battesimo”, nelle quali amministrano il sacramento a bambini e ad adulti in situazioni di povertà o con famiglie divise, aiutati a superare le diffidenze proprie e del vicinato.
Il senso di tutto ciò il cardinale Bergoglio l’ha spiegato in una intervista alla rivista internazionale “30 Giorni”: “Il bambino non ha alcuna responsabilità dello stato del matrimonio dei suoi genitori.
Il battesimo dei bambini può anzi diventare per i genitori un nuovo inizio.
Io stesso qualche tempo fa ho battezzato sette figli di una donna sola, una povera vedova, che fa la donna di servizio e li aveva avuti da due uomini differenti.
L’avevo incontrata alla festa di San Cayetano.
Mi aveva detto: padre, sono in peccato mortale, ho sette figli e non li ho mai fatti battezzare, non ho i soldi per i padrini e per la festa…
Ci siamo rivisti e dopo una piccola catechesi li ho battezzati nella cappella dell’arcivescovado.
La donna mi ha detto: padre, non posso crederci, lei mi fa sentire importante.
Le ho risposto: ma signora, che c’entro io?, è Gesù che la fa importante”.
A Bergoglio preme non far spegnere una tradizione tipica delle aree più remote dell’Argentina, in quei paesi e villaggi dove il prete arriva solo poche volte all’anno: “Lì la pietà popolare sente che i bambini devono essere battezzati il prima possibile, e allora c’è un uomo o una donna conosciuti da tutti come ‘bautizadores’ che battezzano i bambini quando nascono, in attesa che giunga il prete.
E quando questo arriva, gli portano i bambini perché lui li segni con l’olio santo, terminando il rito.
Quando ci penso, mi viene in mente la storia di quelle comunità cristiane del Giappone che erano rimaste senza sacerdoti per più di duecento anni.
Quando i missionari tornarono, li trovarono tutti battezzati e tutti sacramentalmente sposati”.
Dice ancora il cardinale: “La conferenza di Aparecida ci ha incitati ad annunciare il Vangelo andando a trovare la gente, non rimanendo ad aspettare che la gente venga da noi.
Il fervore missionario non richiede eventi straordinari.
È nella vita ordinaria che si fa missione.
E il battesimo, in questo, è paradigmatico.
I sacramenti sono per la vita degli uomini e delle donne così come sono.
I quali magari non fanno tanti discorsi, eppure il loro ‘sensus fidei’ coglie la realtà dei sacramenti con più chiarezza di quanto succede a tanti specialisti”.
Riaffiora qui l’antica e mai risolta disputa tra Chiesa di élite e Chiesa di popolo, tra Chiesa pura, di minoranza, e Chiesa di massa, popolata quest’ultima anche da quell’immensa marea umana per la quale il cristianesimo è fatto di poche cose elementari.
In Italia, ad esempio, la disputa si è riproposta in occasione dell’ultimo grande convegno nazionale della Chiesa, tenuto a Verona nell’ottobre del 2006.
In quell’occasione, una tesi sostenuta dai “rigoristi” era proprio quella di rifiutare il battesimo e altri sacramenti ai richiedenti ritenuti non idonei perché non praticanti.
È un dilemma che lo stesso Joseph Ratzinger visse da giovane in prima persona, e infine risolse nella stessa direzione indicata dal cardinale Bergoglio.
Questo è ciò che, da papa, lo stesso Ratzinger ha detto rispondendo alla domanda di un sacerdote di Bressanone, in un pubblico botta e risposta con il clero di quella diocesi, il 6 agosto del 2008.
Il sacerdote, di nome Paolo Rizzi, parroco e docente di teologia, chiese in quell’occasione a Benedetto XVI, a proposito di battesimi, cresime e prime comunioni: “Santo Padre, trenta-trentacinque anni fa io pensavo che ci stessimo avviando ad essere un piccolo gregge, una comunità di minoranza più o meno in tutta l’Europa.
Che si dovesse quindi donare i sacramenti solo a chi si impegna veramente nella vita cristiana.
Poi, anche per lo stile del pontificato di Giovanni Paolo II, ho riconsiderato le cose.
Se è possibile fare previsioni per il futuro, lei cosa pensa? Quali atteggiamenti pastorali ci può indicare?”.
Rispose papa Ratzinger: “Devo dire che io ho percorso una strada simile alla sua.
Quando ero più giovane ero piuttosto severo.
Dicevo: i sacramenti sono i sacramenti della fede, e quindi dove la fede non c’è, dove non c’è prassi di fede, anche il sacramento non può essere conferito.
E poi ho sempre discusso quando ero arcivescovo di Monaco con i miei parroci: anche qui vi erano due fazioni, una severa e una larga.
E anch’io nel corso dei tempi ho capito che dobbiamo seguire piuttosto l’esempio del Signore, che era molto aperto anche con le persone ai margini dell’Israele di quel tempo, era un Signore della misericordia, troppo aperto – secondo molte autorità ufficiali – con i peccatori, accogliendoli o lasciandosi accogliere da loro nelle loro cene, attraendoli a sé nella sua comunione.
“Quindi io direi sostanzialmente che i sacramenti sono naturalmente sacramenti della fede: dove non ci fosse nessun elemento di fede, dove la prima comunione fosse soltanto una festa con un grande pranzo, bei vestiti, bei doni, allora non sarebbe più un sacramento della fede.
Ma, dall’altra parte, se possiamo vedere ancora una piccola fiamma di desiderio della comunione nella Chiesa, un desiderio anche di questi bambini che vogliono entrare in comunione con Gesù, mi sembra che sia giusto essere piuttosto larghi.
“Naturalmente, certo, deve essere un aspetto della nostra catechesi far capire che la comunione, la prima comunione, non è un fatto ‘puntuale’, ma esige una continuità di amicizia con Gesù, un cammino con Gesù.
Io so che i bambini spesso avrebbero intenzione e desiderio di andare la domenica a Messa, ma i genitori non rendono possibile questo desiderio.
Se vediamo che i bambini lo vogliono, che hanno il desiderio di andare, mi sembra sia quasi un sacramento di desiderio, il ‘voto’ di una partecipazione alla messa domenicale.
In questo senso dovremmo naturalmente fare il possibile nel contesto della preparazione ai sacramenti, per arrivare anche ai genitori e – diciamo – così svegliare anche in loro la sensibilità per il cammino che fanno i bambini.
Dovrebbero aiutare i loro bambini a seguire il proprio desiderio di entrare in amicizia con Gesù, che è forma della vita, del futuro.
Se i genitori hanno il desiderio che i loro bambini possano fare la prima comunione, questo loro desiderio piuttosto sociale dovrebbe allargarsi in un desiderio religioso, per rendere possibile un cammino con Gesù.
“Direi quindi che, nel contesto della catechesi dei bambini, sempre il lavoro con i genitori è molto importante.
E proprio questa è una delle occasioni di incontrarsi con i genitori, rendendo presente la vita della fede anche agli adulti, perché dai bambini – mi sembra – possono reimparare loro stessi la fede e capire che questa grande solennità ha senso soltanto, ed è vera ed autentica soltanto, se si realizza nel contesto di un cammino con Gesù, nel contesto di una vita di fede.
Quindi convincere un po’, tramite i bambini, i genitori della necessità di un cammino preparatorio, che si mostra nella partecipazione ai misteri e comincia a far amare questi misteri.
“Direi che questa è certamente una risposta abbastanza insufficiente, ma la pedagogia della fede è sempre un cammino e noi dobbiamo accettare le situazioni di oggi, ma anche aprirle a un di più, perché non rimanga alla fine solo qualche ricordo esteriore di cose, ma sia veramente toccato il cuore.
Nel momento nel quale veniamo convinti, nel quale il cuore è toccato, ha sentito un po’ l’amore di Gesù, ha provato un po’ il desiderio di muoversi in questa linea e in questa direzione, in quel momento, mi sembra, possiamo dire di aver fatto una vera catechesi.
Il senso proprio della catechesi, infatti, dovrebbe essere questo: portare la fiamma dell’amore di Gesù, anche se piccola, ai cuori dei bambini e tramite i bambini ai loro genitori, aprendo così di nuovo i luoghi della fede nel nostro tempo”.
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