XXXIII Domenica del tempo ordinario (Anno B).

Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica – oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.
– COMUNITÀ MONASTICA SS.
TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le stra-de.
Tempo ordinario – Parte prima, Milano, Vita e Pensiero, 2009, pp.
60.
– COMUNITÀ DI BOSE, Eucaristia e Parola.
Testi per le celebrazioni eucaristiche.
Anno B, a cu-ra di Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Lisa Cremaschi e Luciano Manicardi, Milano, Vita e Pensiero, 2008.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
LECTIO – ANNO B Prima lettura: Daniele 7,13-14 Guardando nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui.
Gli furono dati potere, glo-ria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.
La visione del Figlio dell’uomo in Dn 7,13ss chiude la prima visione apocalittica del no-stro libro.
La si trova al centro del c.
7 e poi alla fine della spiegazione dei simboli (7,26s).
Nella prima parte, sotto lo sguardo profetico del veggente, si svolge la paurosa attività del-le 4 bestie simboliche, che salgono dalle acque del mare mosse dai 4 venti.
Esse rappresen-tano 4 famosi re, che dalle descrizioni sembrano identificarsi con l’impero babilonese («ter-ribile leone dal cuore d’oro»), con l’impero medo («orso che divora Babilonia»), con il per-siano («leopardo» dalle 4 teste di reganti), con il greco («mostro dai denti di ferro, che tutto stritola» assieme al tiranno che combatte contro i Santi di Dio, probabilmente l’empio An-tioco IV del 168 a.C.
persecutore dei pii Giudei).
Si trattava di eventi del passato collegati alla situazione contemporanea, visti secondo la nota concezione apocalittica: l’agitarsi delle acque primordiali, da cui provengono le forze del male, sotto il vigile controllo della ruah, lo spirito di JHWH, come in Genesi 1,1-2; go-vernanti e imperi si muovono quali strumenti dell’onnipotente Dio d’Israele.
Lo dimostra l’improvvisa apparizione di un Vegliardo che, circondato da miriadi di es-seri celesti, siede sul trono a giudicare le 4 bestie, togliendo loro ogni potere e condannan-dole alla morte.
A questo punto irrompe la scena del nuovo sovrano dei popoli.
v.
13: «ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo».
Il personaggio viene dall’alto, e non più dagli abissi dell’oceano; è un essere dalle sembianze umane, non ben definite, superiori a quelle di un semplice mortale; non più sotto il simbolo di bestie mo-struose e feroci…
Egli è come l’angelo-principe di una grande nazione (10,13).
v.
14: «Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano».
A lui sono affidati i poteri regali su tutte le nazioni della terra: un regno che non vedrà mai il tramonto.
Nella prospettiva del messianismo escatologico reale rappresenta l’intervento definitivo del Dio d’Israele sulle vicende della storia, proiettato in un futuro indeterminato (l’escaton), l’’ahar, il seguito degli anni nella forma di un governo collettivo, consegnato al «resto santo» del popolo prediletto, i Santi dell’Altissimo.
Non si esplicita se esso sarà di tipo terreno o spirituale.
Si dichiara però che sia il rappresentante ideale (il figlio dell’uo-mo), sia la sua sovranità vengono dall’alto, proprio come la piccola pietra che si stacca dal monte e annienta le potenze del male (Dn 2,45).
Vi si intravede la figura personale di un Inviato dal Signore Onnipotente, già delineato negli scritti dell’epoca giudaico-maccabeica (Parabole di Enoc, del 95 circa a.C.): considera-to come «Re celeste, assise presso la gloria divina, che dovrà un giorno rendersi manifesto, quale giudice del cielo e della terra, dei vivi e dei morti».
È il Messia del giudizio universa-le, che in Mt 25,31 ss assegnerà a ogni uomo la sorte eterna in base al comandamento del sincero amore fraterno, e dirà l’ultima parola su tutta la storia dell’umanità: «gli rispose Gesù: Anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio e venire sulle nubi del cielo» (Mt 26,64).
Seconda lettura: Apocalisse 1,5-8 Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli.
Amen.
Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo trafissero, e per lui tutte le tribù della terra si batteranno il petto.
Sì, Amen! Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente! Siamo all’inizio della grande rivelazione profetico-apocalittica di Giovanni.
Dopo il bre-ve prologo (1,1-3) in cui si presenta il tema di tutta l’opera: — esposizione dei mirabili e-venti prossimi ad accadere, così come l’autore li ha appresi da Cristo, a utilità di chi legge e ascolta —, si entra immediatamente in dialogo con le 7 chiese della cristianità d’Asia, a cui saranno indirizzate le 7 epistole (cc.
2-3), dettate dal Figlio dell’uomo, il Vivente in eterno, apparso a Giovanni in estasi (1,9-17).
Il veggente si introduce con un saluto ai destinatari e con l’augurio di «grazia e pace» da parte di Colui che è, era e viene (il Padre divino), dei 7 Spiriti che stanno davanti al suo trono (Lo Spirito, cioè, con i suoi 7 doni, che da Lui proviene), e di Cristo Gesù.
Di questi in particolare vengono esaltate le eccelse prerogative in 3a persona (vv.
6-7) e più diretta-mente in 1a persona (v.
8).
v.
5a: «Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra».
Son i titoli della grandezza di Gesù, visto nel suo ruolo di rivelatore supremo delle realtà divine («testimone fedele»), protagonista della storia salvifica (il «primo» a risorgere), do-minatore delle vicende umane (signore dei signori).
vv.
5b-6: «A Colui che ci ama e ci ha liberati…
a lui la gloria e la potenza».
Al richiamo di quei titoli sgorga dal cuore del profeta una elevata dossologia: — egli è colui che per amore ci ha lavati nel suo sangue, purificandoci dai nostri peccati e facendo di noi (ormai uniti vi-talmente a Lui) una comunità sacerdotale di fronte al resto dell’umanità, per la lode di Dio suo Padre; a Lui si renda ogni onore e gloria per sempre…
v.
7: «Ecco, viene con le nubi e ogni occhio lo vedrà».
Egli è il maestoso Personaggio, già contemplato da Daniele e annunziato dallo stesso Maestro divino nel processo di Caifa (MC 14,62), a cui è conferito ogni potere in cielo e in terra, dinanzi al quale compariranno un giorno tutte le genti, anche coloro che lo hanno trafitto, perché ne siano giudicati (Zc 12,9).
v.
8: «Io sono l’Alga e l’Omega…
Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!».
Ora parla lo stesso Gesù: — Egli non è il trasumanato eroe esaltato dalle mitologie orientali, ma Colui che è Principio e Fine di tutte le cose, Alfa e Omega cioè Colui che comprende e supera tutto ciò che esiste o è pensabile, che è (JHWH), che era ab aeterno, che viene in ogni epoca e si presenta sempre a nuovo nelle sue manifestazioni e nelle sue gesta, mai pienamente definibile dalla mente umana; centro e ragione d’essere di tutti gli avvenimenti che segui-ranno, meta gloriosa dell’umanità e dell’universo! —.
Vangelo: Giovanni 18,33b-37 In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?».
Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?».
Pilato disse: «Sono forse io Giu-deo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me.
Che cosa hai fat-to?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?».
Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re.
Per questo io sono nato e per questo sono ve-nuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità.
Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Esegesi Il tratto di Gv 18,33-38a è la parte centrale del processo di Gesù dinanzi a Pilato (18,28-19,16).
I capi dei Giudei che hanno deciso per conto loro di mandare a morte Gesù lo han-no condotto presso il tribunale del procuratore romano, perché sia lui a pronunziare la sentenza definitiva, quale detentore supremo del jus gladii (il diritto di vita e di morte sui sudditi di Roma).
Dopo aver essi dichiarato che il Rabbì di Galilea, secondo il loro giudi-zio, era un trasgressore della legge e reo di morte.
Pilato rientra nel pretorio per interroga-re Gesù e rendersi personalmente conto della colpevolezza di Gesù (18,28-33): era nel suo diritto.
Qui l’evangelista Giovanni riporta il luminoso dialogo tra il Maestro divino e il rappre-sentante della potenza pagana.
Il discepolo vi ha impresso qualche barlume della sua in-tima comprensione del Cristo: ne ha fatto l’epifania della sua Regalità divina.
v.
33: «Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?» L’interrogatorio comincia con la chiara accusa dei capi giudei: Gesù avrebbe preteso di essere uno dei seducenti Messia, preten-dente alla guida del suo popolo (Lc 23,3).
«Gesù il nazareno, il re dei Giudei»: sarà il titolo posto sulla croce per ordine dello stesso Pilato (19,19).
v.
34: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?» Gesù, prima di rispondere, vuole chiarificare in che senso il governante di Roma intendeva quel titolo: nel senso del popolo giudaico che aspettava la venuta di un Messia, leader religioso inviato dall’alto, ovvero nel senso di un condottiero politico liberatore dal giogo straniero, come poteva immaginarlo un romano? Pilato parlava secondo la concezione degli ebrei, o secondo la propria mentalità?…
Il procuratore respinge quasi con sdegno la prima ipotesi.
Non gli in-teressava proprio nulla delle credenze di quella gente: «Sono forse io Giudeo?».
A lui preme sapere se davvero quell’imputato ha commesso le gravi trasgressioni per cui i suoi conna-zionali lo hanno sottoposto al suo giudizio! E conclude: «che cosa hai fatto»? (v.
35).
v.
36: «Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo».
Il divin Maestro ora può parlare liberamente e illustrare la sua reale posizione di fronte al tribunale di Roma.
Egli poteva rassicurare il rappresentante dell’impero, dicendo di non aver fatto nulla, né contro l’ordi-ne sociale, né contro l’autorità dei Cesari accettata dal suo popolo (Lc 20,20-26), ma ha pre-ferito attirare l’attenzione di quell’uomo a qualcosa di più profondo e convincente: la carat-teristica incontrovertibile della sua Persona, quella che Giovanni ha già molte volte sotto-lineato nel suo racconto: la trascendenza del messaggio di Cristo.
Egli promuove un regno che non appartiene all’ordinamento di questo mondo visibile (8,23), poggiato sulla forza delle armi e del consenso popolare.
Il governatore lo può ben constatare: non c’è alcun suo fautore che lo difenda contro le ingiuste accuse dei suoi av-versari (18,8.11).
v.
37: «Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?».
Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re».
Al-l’insinuazione, sembra un po’ ironica di Pilato: «e allora saresti Re, tu?» «tu così solo e im-provviso?» (trad.
ad litt.
dal greco), il divino accusato prosegue: — Io sono realmente Re, nel senso che ti ho indicato, e sono venuto al mondo per testimoniare quel che ho visto e conosco (3,13; 8,23; 19,35): la realtà di un altro mondo, una realtà soprasensibile, che supe-ra tutte le cose e le concezioni di quaggiù; realtà percepibile da chi è pronto ad accettare la Verità.
Chi infatti è aperto alla verità riconosce la mia voce (10,3) e mi segue (3,31-36; 1 Gv 19,18-20).
Il mio sarà così un regno nuovo, senza violenza e soprusi di alcun genere, basato solo sulla libera accoglienza del Trascendente, che è presso di ognuno e si rivela attraverso la mia parola (8,26).
Siamo al centro di tutta la Rivelazione del Verbo divino fattosi uomo, così come si pre-senta nel quarto Vangelo: il Verbo che risplende tra le tenebre e manifesta a tutti la verità dell’Amore infinito del Creatore, e aggrega, chiunque vi aderisce, alla sua stessa vitalità e-terna e consostanziale col Padre; si rimane nel mondo, ma non si è più di questo mondo (17,11.16).
Pilato, tuttavia, è ancora lontano da quella verità, e se ne esce con una battuta: «ma co-s’è la verità?» (18,38a).
Meditazione L’anno liturgico si conclude ponendo davanti ai nostri occhi la visione di Gesù Cristo nelle vesti di un re.
Un re certamente singolare: che possiede sì un regno, ma tanto disso-migliante dai regni di questo mondo (vangelo) ; che esercita la sua regalità su tutti i popoli (prima lettura), ma nella forma di un «Agnello immolato» (Ap 5,12: antifona d’ingresso) che dall’alto del suo trono regale (la croce!) attira misteriosamente a sé ogni uomo, «anche quelli che lo trafissero» (Ap 1,7: seconda lettura).
Forse la festa di Cristo Re rischia oggi di venire mal compresa e mal interpretata: è facile infatti immaginare la regalità di Cristo alla stregua di quella che esibiscono i potenti del mondo.
Ma se ci atteniamo a ciò che i testi biblici ci dicono, ecco allora che essa assume tutta un’altra luce e un altro colore.
Non dimentichiamo poi che Gesù è apparso davanti agli uomini in vesti regali proprio alla vigilia della sua morte, appunto per togliere ogni fraintendimento sul modo in cui intendeva la sua regalità su questa terra.
L’ampio spazio dato al racconto del processo di Gesù davanti a Pilato nel quarto evan-gelo (da solo occupa più di un terzo dell’intera narrazione della passione) e la cura, lettera-ria e teologica, con cui è costruito, sono già un segno evidente dell’importanza che l’evan-gelista vi attribuisce.
Sette piccole scene compongono il racconto, che si snoda in un’alter-nanza continua tra spazi interni (pretorio) e spazi esterni (cortile), con Pilato che entra ed esce senza posa per parlare rispettivamente con Gesù e con i Giudei.
Tra Gesù e i Giudei c’è ormai una separazione definitiva, non c’è più comunicazione, non c’è più dialogo, il si-lenzio si fa totale.
Sembra quasi che Gesù non abbia più nulla da dire al suo popolo (e so-prattutto ai suoi capi religiosi): ha già detto tutto quello che doveva.
Ora non gli resta che presentarsi davanti a loro nelle vesti di un «re da burla» (B.
Maggioni), deriso, oltraggiato, umiliato e – apparentemente – sconfitto (cfr.
19,1-3: la scena degli oltraggi).
Ma proprio in questa umiliazione e in questa sconfitta risplende ancor più luminosa quella verità che non ha bisogno di ragioni per farsi valere: chiede solo di essere riconosciuta e accolta da un cuore libero da ogni falsità e ipocrisia…
Il testo di Gv 18,33-37 costituisce la seconda delle sette scene che scandiscono il processo romano nella visione giovannea.
Abbiamo qui il primo colloquio tra Pilato e Gesù.
Dopo essere stato fuori a discutere con i Giudei, Pilato rientra nel pretorio, chiama Gesù e, senza troppi preamboli, comincia l’interrogatorio: «Sei tu il re dei Giudei?» (v.
33).
La tematica della regalità è così posta subito al centro del dialogo e tutto si gioca sulla comprensione della vera natura della regalità rivendicata da Gesù.
Pilato formula la sua prima domanda in un tono di ironia mista a disprezzo e incredulità (come se dicesse: «E questo qui sarebbe un re?!»).
Ma Gesù, con una controdomanda, obbliga in qualche modo Pilato a uscire allo scoperto, a non nascondersi dietro opinioni altrui, a rivelare le sue vere intenzioni: «Dici questo da te…» (v.
34).
Pilato rifiuta di prendere posizione nei riguardi di Gesù, non vuole lasciarsi coinvolgere personalmente in una questione che ritiene non rilevante per lui,e cerca di venire subito al sodo: «Che cosa hai fatto?» (v.
35).
Poco prima i Giudei, conse-gnando Gesù, avevano riferito a Pilato che era un «malfattore» (v.
30), cioè «uno che fa il male».
Dovremmo lasciarci interrogare a lungo intorno a questa semplice – ma fondamen-tale – domanda: cosa mai ha fatto Gesù durante la sua breve esistenza terrena? La legge giudica i ‘fatti’, ma i fatti sono passibili di travisamenti o, se non altro, possono essere letti almeno secondo due prospettive: secondo le apparenze o secondo la fede.
Se letta dal punto di vista di Dio, la storia di Gesù rivela significati inediti e abissali che l’uomo non è in grado di comprendere se non accetta di «rinascere dall’alto» (Gv 3,3).
Che cosa «ha fatto» preci-samente, Gesù lo confessa poco più avanti, sul finire del colloquio: egli è venuto nel mon-do «per dare testimonianza alla verità» (v.
37).
Tutta la sua missione è riassunta in questa testimonianza data alla verità.
Gesù è re (lui stesso lo dichiara al v.
37: «Io sono re») in quanto testimone e servitore della verità.
La sua regalità è completamente a servizio della verità, di quella verità di Dio che viene prima di ogni altra cosa, anche prima della propria perso-na.
Tutto il contrario di ciò che fanno i sovrani del mondo, che non esitano a fare della re-galità un baluardo a difesa del proprio potere, dei propri interessi, a fare della menzogna uno strumento ordinario del proprio governo, sottomettendo spesso la verità (che è il bene supremo) alle esigenze della cosiddetta ‘ragion di stato’.
Ma il regno di Gesù ‘funziona’ secondo altri criteri, secondo criteri che vengono da al-trove, da un mondo ‘altro’, non da questo (cfr.
v.
36).
La verità che questo regno vuol cu-stodire e servire non ha bisogno di essere difesa con la forza: essa sa ‘difendersi’ da sola con la forza stessa della sua luce che illumina tutti, sia coloro che da essa si lasciano rag-giungere che coloro che da essa rifuggono.
Certamente, quello di Gesù è un regno sconcer-tante, che non ha bisogno di guardie che combattono per il suo re ma solo di due braccia che sanno distendersi sulla croce, in un vulnerabile abbraccio che mostra la verità di un amore che accoglie tutti.
La parola conclusiva del dialogo («chiunque è dalla verità ascolta la mia voce»), oltre che sottolineare la condizione necessaria per entrare nella logica di questa originale regali-tà (stare dalla parte della verità), getta una luce anche sul modo concreto con cui Gesù eser-cita il suo potere regale.
Il Signore infatti regna su di noi unicamente attraverso l’ascolto della sua voce: nessun altro strumento di ‘potere’ egli vuole utilizzare se non quello della sua parola.
Nel rispetto pieno della nostra libertà, perché una «voce» non si impone e vive in ogni istante la fragilità e il rischio di essere accolta o rifiutata…
La Verità e le verità «Credo che la nostra maturità umana dipende dalla capacità di unificare noi stessi e il nostro sguardo sulla realtà.
Altrimenti rischiamo di rimanere preda di un molteplice illu-sorio, di verità, libertà, parole…» Esercizio non facile in una società multiculturale come quella in cui viviamo, dove si incrociano esperienze, tradizioni e religioni diverse e dove chi parla di una sola verità ri-schia di essere o di apparire un integralista.
«Senza dubbio questo rischio c’è – ammette don Ignazio -, ma la verità di cui parlo io è la verità dell’indicibile.
Quando la verità è dici-bile c’è molta difficoltà a definirla come l’unica verità.
La verità unica è quella che parla a tutti e quando non riesce a farlo bisogna essere prudenti a definirla l’unica vera verità.
Quando diciamo che la parola è una noi siamo convinti di appartenere a questa verità, ma questa verità non ci appartiene, perché è molto più grande di noi e non possiamo gestirla né possiamo avere con essa un rapporto ideologico.
Noi apparteniamo alla verità e all’infinito, ma l’infinito non ci appartiene».
(Dal libro di Enzo Romeo, I solitari di Dio.
Separati da tutto, uniti a tutti, Catanzaro/Roma, Rubbettino/Rai-Eri, 2005, 10).
Dio-verità Chi ha superato la paura della morte, non ha ancora vinto tutti gli altri timori.
Alcuni non temono la morte, ma hanno paura dei piccoli mali della vita.
Alcuni non temono la morte, ma temono la morte delle persone care.
Chi cerca la Verità, deve vincere tutti questi timori e altri ancora: bisogna essere pronti a sacrificare tutto per la Verità.
La verità non si può sacrificare per nessuna ragione.
La verità è come un grande albero, che più lo si colti-va, più da frutti.
Colui che cerca la verità dovrebbe essere più umile della polvere.
Se conoscessimo la verità intera, che bisogno ci sarebbe di cercarla? Possedere la cono-scenza perfetta della verità è possedere Dio.
Poiché la verità è Dio.
Dal momento che non conosciamo la verità totale, dobbiamo sentirci impegnati in una ricerca incessante, e que-sto è il più grande privilegio e il più grande dovere dell’uomo.
Dio-verità va incontro a quelli che lo cercano.
Sono un umile cercatore della verità, e in questa ricerca ripongo la massima fiducia nei miei compagni per poter conoscere i miei er-rori.
Sono fedele soltanto alla verità e non devo ubbidienza a nessuno salvo che alla verità.
Tutta la verità, non semplicemente le idee vere, ma i visi autentici, i dipinti o le canzoni autentiche sono sommamente belli.
Volete sapere quali siano le caratteristiche di un uomo che desideri realizzare la Verità che è Dio? Deve essere completamente libero dall’ira e dalla lussuria, dall’avidità e dall’attaccamento, dall’orgoglio e dal timore.
Voi ed io siamo una cosa sola.
Non posso farvi del male senza ferirmi.
Io sono il servo di musulmani, cri-stiani, persi, ebrei, come lo sono degli indù.
E un servo non ha bisogno di prestigio, ma di amore.
L’amore è il rovescio della moneta, il cui diritto è la verità.
(Mahatma Gandhi).
Ho cercato la verità, amando Ho cercato la verità, con l’Innominato di Manzoni.
Ho cercato la verità tra le lettere di don Milani.
Ho cercato la verità, curiosando nella vita di Gandhi.
Ho cercato la verità, nelle Confessioni di sant’Agostino.
Ho cercato la verità nelle prediche di don Mazzolari.
Ho cercato la verità, piangendo con Giobbe sul letamaio.
Ho cercato la verità, fuggendo da casa, con la mia parte di eredità, come il Figliol Prodigo.
Ho cercato la verità, nelle poesie di Tagore.
Ho cercato la verità, nei pensieri di Pascal.
Ho cercato la verità, nei fioretti di san Francesco.
Ho cercato la verità, nell’Allegretto della settima di Beethoven.
Ho cercato la verità, vagando stralunato.
Ho cercato la verità, negli occhi incavati e ormai vitrei di Brambilla, morto di Aids tra le mie braccia.
Ho cercato la verità, nei rosari che la mia santa madre recitava per me, prete molto diverso dal prete che teneva nella sua testa.
Ho cercato la verità, nel Parco Lambro, negli anni ottanta, assistendo giovani in overdose.
Ho cercato la verità, nei commenti biblici, stupendi, del mio cardinale di Milano.
Ho cercato la verità, nei viaggi del pellegrino Wojtyla.
Ho cercato la verità, nella filosofia di Tommaso l’Aquinate.
Ho cercato la verità, nelle storie degli ultimi e dei diseredati.
Ho cercato… talvolta nell’affanno, tal’altra nella pazienza; talvolta nella confusione, tal’altra nel silenzio.
Una notte inginocchiato nella mia cameretta, recitavo Compieta.
Ho sentito battere al mio cuore.
Ho detto: avanti.
Ero assonnato e stanco.
Solo dopo qualche minuto mi sono accorto chi era.
«Sono la fede! So che mi hai cercato per tanto tempo…lo sai bene anche tu, che la fede non si cerca dove non è…perché la fede è LUI…e LUI è… l’irruzione, la gratuità, la meraviglia… Lui è quello che ha detto: «Cercate la verità, amando».
Smetti di cercare.
Aspetta perché arriverà.
Sono venuto a dirtelo.
Accendi la lampada e spegni i ragionamenti nella tua testa.
Perché LUI entra dal cuore.
È l’unica porta che può riceverlo».
(Don Antonio MAZZI, Preghiere di un prete di strada).
Imparare a riconoscere Gesù Qualche volta noi ci crogioliamo un po’, ci lamentiamo col Signore, che non si manife-sta in maniera chiara, che non ci dice come fare.
Adagio adagio, però, si capisce che il Si-gnore vuole che noi cerchiamo, che cresciamo in questa ricerca.
Noi diventiamo veri ricer-catori di Dio cercando la sua volontà, cercandola in questa Chiesa, in questo mondo, in questa società, in queste situazioni difficili, crescendo nel dialogo, nella pazienza, nella sopportazione, nell’ascolto.
Così cresciamo.
Se no saremmo degli automi; se ogni mattina ci risvegliassimo col pro-gramma già fatto da Dio, allora non ci sarebbe più problema.
Invece siamo degli operatori attivi e cresciamo responsabilmente nel Regno di Dio, ricercando umilmente la sua volontà e purificandoci in questa ricerca.
Ciò vale anche per la ricerca di Dio in se stesso, che è cre-scita purificante, faticosa, e se molti arrivano a non credere in Dio, non è perché abbiano più o meno argomenti di noi, ma perché si sono stancati di cercarlo, cioè hanno finito di fare il vero mestiere di uomo che è mettersi di fronte alla verità.
(Carlo Maria MARTINI, Incontro al Signore risorto, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2009, 57-58).
Il mio Regno non è di questo mondo Ascoltate, giudei e gentili; ascoltate circoncisi, ascoltate incirconcisi; ascoltate, regni tut-ti della terra: «Io non intralcio la vostra sovranità in questo mondo.
Il mio Regno non è di questo mondo (Gv 18,36)».
Non lasciatevi prendere dal vano timore da cui fu colto Erode il Grande, quando gli fu annunciato che era nato Cristo e, nell’intento di far morire Gesù, uccise così tanti bambini (cfr.
Mt 2,3.16).
«Il mio Regno non è di questo mondo», dice Gesù.
Che volete di più? Venite nel Regno che non è di questo mondo; venite con fede e non vo-gliate diventare crudeli per la paura! È vero che in una profezia Cristo, parlando di Dio suo Padre, dice: «Da lui io sono stato costituito re sopra Sion, il suo monte santo» (Sal 2,6), ma quella Sion e quel monte non sono di questo mondo.
Che cos’è il Regno di Cristo? Sono quelli che credono in lui, a proposito dei quali egli dice: «Voi non siete del mondo, come io non sono del mondo» (Gv 17,16), anche se egli voleva che rimanessero nel mondo, e per questo prega il Padre per essi: «Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodi-sca dal male» (Gv 17,15).
Per questo anche qui non dice: «Il mio Regno non è in questo mondo», ma dice: «II mio Regno non è di questo mondo».
E dopo aver dimostrato questo dicendo: «Se il mio Regno fosse di questo mondo, i miei servi combatterebbero per me, af-finché non fossi consegnato ai giudei» (Gv 18,36), non dice: «Ora il mio Regno non si trova in questa terra», ma dice: «Il mio Regno non è di questa terra».
Il suo regno, infatti, è in questa terra fino alla fine dei secoli, e porta in sé la zizzania mescolata con il grano fino al momento della mietitura, che avverrà alla fine dei tempi, quando verranno i mietitori, cioè gli angeli, e toglieranno dal suo Regno tutti gli scandali (cfr.
Mt 13,38-41).
E questo non po-trebbe avvenire se il regno non fosse qui, sulla terra.
Tuttavia, non è di questa terra, poiché è in esilio in questo mondo.
A quelli che fanno parte del suo Regno egli dice: «Voi non sie-te del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo» (Gv 15,19).
(AGOSTINO DI IPPONA, Commento al vangelo di Giovanni 115,2,NBA XXIV, pp.
1520-1522).
La determinazione del tempo del Regno: una spiegazione Il Regno di Dio è come un seme posto nella terra, che raggiungerà certe fasi della cre-scita in modo graduale, giungendo a ciascuna fase solo al momento giusto e con il passare del tempo.
Letteralmente, sappiamo che i Regno di Dio è un invito da parte di Dio e un atto di ac-cettazione da parte del genere umano.
L’invito è esteso in una serie di richieste e di eventi, come quando, nella nostra cultura, un giovane invita una donna a condividere la sua vita.
C’è il primo appuntamento, l’invito ad un rapporto speciale ed esclusivo (“fare coppia fis-sa”), la proposta di matrimonio e il periodo di fidanzamento; infine ci sono i voti e il rito del matrimonio.
Similmente, attraverso Gesù Dio ha esteso a noi non uno bensì una serie di progressivi inviti, chiamandoci in modo sempre più profondo ad un’intimità con lui.
[…] Il Regno di Dio, dunque, è un invito divino che ci chiede di entrare, di dire “sì” e di partecipare al piano di condivisione di Dio.
(J.
POWELL, Perché ho paura di essere pienamente me stesso, Milano, Gribaudi, 2002, 165).
Preghiera Troppe volte, Signore Gesù, abbiamo rivolto il nostro cuore ad altri sovrani, ai vari dominatori del mondo.
Troppe volte, dominati dall’ansia del futuro e dall’angoscia del pericolo, ci rivolgiamo ad altri «re».
Solo l’amore e la fiducia che ne deriva liberano l’uomo dalla fobia e dalla tirannia della sua presunzione.
Oggi, Signore, ci inviti ad alzare il capo e a guardare nel tuo futuro.
Tu, Re di misericordia, ricordati di noi nel tuo Regno, facci percepire il palpito del tuo cuore.
Un mondo disgregato dalla diffidenza, dal dubbio e dallo scetticismo trova solo in te la salvezza.
Il tuo Regno non è fatto di splendido isolamento, ma di profonda solidarietà con l’umanità redenta.
Il tuo Regno non impone diffidenza, ma libera, salva, assicura speranza.

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