Così non posso non chiedermi, quali sono le cose che concorrono davvero, nell’educazione, a fare di un bambino un essere capace del vivere civile? Sono forse la grande quantità di corsi e discorsi che invadono da anni la scuola italiana — sulla tolleranza, sul multiculturalismo, su un generico irenismo, ed ora anche sulla Costituzione? Lo dubito, anzi ho la sensazione che tutta questa marea di ossessivo buonismo rischi di produrre effetti opposti.
Per quale ragione si deve rispettare il diverso, si deve preferire sempre la pace, si deve essere buoni quando è piuttosto evidente che il mondo è dei violenti e che la corruzione paga molto più dell’onestà? Ci salverà forse la conoscenza degli articoli della Costituzione da questo degrado? Credo che tutti questi corsi non siano molto diversi delle guarnizioni di una torta di gesso esposta nella vetrina di una pasticceria.
Ci sono ciliegine, canditi, panna montata, tutto sembra molto appetitoso ma in realtà, sotto quella torta, c’è solo una vuota anima di cartone.
Forse bisogna tornare a considerare il fatto che l’educazione ha bisogno soprattutto di due qualità: di semplicità e di coerenza.
La semplicità è la Cenerentola di tutte le teorie educative partorite negli ultimi decenni dai pedagoghi; come le sorelle della fiaba, l’hanno rinchiusa in un sottoscala e da lì si guardando bene di farla uscire.
La semplicità è guardare in faccia la natura dell’uomo e capire di cosa ha bisogno, questa natura, per crescere il più possibile armoniosamente.
La semplicità è fare capire che la vita è, prima di tutto, politically incorrect e che essere uomini vuol dire sapersi rapportare con la conflittualità e la contraddittorietà dei nostri giorni nei quali non sempre sventola l’iridata bandiera della pace.
In qualsiasi campo si operi, la via semplice è sempre la più difficile perché ci lascia inermi, sforbiciando via tutto ciò che non è essenziale, tutto ciò che allontana dal cuore del problema.
La patina di buonismo, del politically correct, evita di mettere a fuoco ciò che è più importante, e cioè che il male è dentro di noi, è una della nostre possibilità e che, per crescere, dobbiamo decidere in che modo rapportarci ad esso.
Si tratta di una scelta individuale che è in stretta relazione con l’idea di coscienza.
E la coscienza conduce a quel nucleo misterioso dell’uomo che lo rende essere capace di libertà.
È questo che ci differenzia dalle scimmie antropomorfe, con le quali pur condividiamo una gran quantità di codici etologici.
Entrambi abbiamo impressi nei nostri geni i comportamenti che ci consentono di creare una comunità stabile e di mutua assistenza, con la differenza che, da loro, comanda il maschio adulto e più abile nel tenere insieme il gruppo mentre da noi, purtroppo, anzianità di anni e saggezza di governo non vanno sempre di pari passo.
Crescere vuol dire saper scegliere e sapere che, scegliendo, si rinuncia a qualcosa.
Ma sono proprio quelle rinunce a costruire l’impalcatura solida della vita.
In un mondo bulimico che sempre più prospetta l’esistere come una corsa convulsa in cui afferrare più cose e più occasioni possibili, in cui ci viene proposto di essere tutto e il contrario di tutto, e che questo sia conciliabile, il discorso della scelta diventa quanto mai necessario.
La scelta, naturalmente, richiede l’entrata in campo di un’altra grande derelitta di questi tempi, la volontà.
È la volontà che ci permette di scegliere, che ci permette di costruire e di dare un senso preciso ai nostri giorni.
Senza esercizio della volontà, la nostra vita diventa qualcosa di non molto diverso da quella degli oggetti di plastica che cadono nei fiumi e vengono trascinati dalla corrente fino ad arenarsi in un’ansa.
È vero, viviamo in tempi complessi, tempi in cui avvengono mutazioni di portata straordinaria e queste mutazioni ci intimoriscono, ci fanno temere che le vie usuali dell’educazione non siano più in grado di creare gli uomini di domani.
Ed è forse proprio questo timore a far proliferare sistemi educativi sempre più farraginosi e astrusi, sempre più omologanti, volti a inseguire il nuovo, qualunque esso sia.
Quest’ansia, però, ci fa dimenticare che la natura profonda dell’uomo è sempre la stessa e che costruire senza aver prima fissato le fondamenta dell’etica vuol dire innalzare possenti edifici sulla sabbia.
Ricordo una serata trascorsa con un bambino di sette anni.
Tra un discorso sui Gormiti e uno sugli Invincibili, non ricordo come, ci siamo trovati a parlare del bene e del male e del senso che essi avevano nelle nostre vite.
Scegliere il bene vuol dire scegliere la vita, gli ho detto, costruire un mondo in cui le persone imparano, anche sbagliando, a volersi bene, scegliere il male vuol dire invece scegliere la morte, scegliere la menzogna che si insinua nei giorni, falsificando i rapporti e trasformando l’amore nel ghigno di una maschera.
«Io voglio essere buono.
Che cosa devo fare?» mi ha chiesto a un certo punto.
Ci siamo seduti allora sul divano e abbiamo ragionato a lungo su tutto ciò che, nella sua vita di bambino, portava al male o al bene.
«C’è una voce dentro di te», gli ho detto.
«E questa voce ti dice quello che è giusto e quello che è sbagliato.
Tu devi imparare solo ad ascoltarla».
A quel punto lui, altrimenti iperattivo, si è sdraiato, ha chiuso gli occhi e, con un sorriso beato, ha detto: «Questo per me è un momento bellissimo» e si è addormentato.
Sì, è davvero un momento bellissimo per i bambini capire che il bene e il male sono in noi e che, in noi, c’è sempre la voce della coscienza ed è questa voce che ci spinge a scegliere.
in “Corriere della Sera” del 18 novembre 2009 Leggendo, nei giorni scorsi, la notizia e i commenti sull’inserimento » del nuovo corso di «Cittadinanza e Costituzione» nelle scuole di ogni ordine e grado, mi sono trovata a fare alcune riflessioni.
Nei miei anni di scuola si studiava educazione civica, materia in realtà alquanto negletta anche dagli insegnanti che il più delle volte preferivano assorbirla nelle materie più importanti — italiano, storia, latino — sempre in affanno sui tempi nel programma.
Non conosco dunque la Costituzione, e confesso di non averla mai letta neppure in seguito, malgrado ciò mi considero una persona che continua, nonostante le vicende pietose che ci circondano e ci avviliscono, a rispettare le leggi dello Stato, a credere nell’importanza del bene comune e ad amare il mio Paese, pur rattristata dalla vergogna a cui tutti i cittadini per bene — che sono, per fortuna, la maggioranza — vengono sottoposti da una classe politica il cui primo tratto, al di là delle parti, sembra essere quello dell’immaturità.
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