in questi ultimi anni abbiamo riflettuto su alcuni orientamenti culturali significativi per l’educazione religiosa, analizzando in particolare l’apprendimento, l’ermeneutica, il linguaggio religioso … Quest’anno vorremmo verificarne l’elaborazione attorno ad un tema fondamentale: Dire Dio in contesto multiculturale e plurireligioso.
Vorremmo raccogliere le indicazioni più significative, a partire dalle molteplici competenze dei partecipanti.
Definiamo quindi in termini orientativi le dimensioni che vorremmo esplorare, lasciando a ciascuno la scelta della propria collocazione, con uno specifico contributo, che ci vorrà far pervenire per tempo.
I nuclei di riflessione potrebbero essere i seguenti: 1. Riferimenti da privilegiare nelle fonti bibliche; 2. Dire Dio secondo l’approccio psicologico e psicanalitico; 3. Dire Dio secondo le narrazioni più largamente divulgate; 4. Dire Dio nell’orizzonte ermeneutico; 5. Dire Dio secondo le Grandi Religioni; Lo svolgimento quindi della giornata: 1.
Ciascuno, nel limite del possibile, è invitato ad esporre l’argomento sulla base di un breve contributo (15-20 minuti con 5-6 cartelle al massimo); 2.
L’ordine dell’esposizione segue la successione dei nuclei sopra elencati; 3.
Una breve presentazione iniziale e una essenziale sintesi conclusiva fanno da cornice al dialogo, che vede l’apporto di tutti i partecipanti.
L’incontro è previsto per il 21 novembre p.v.
presso l’Università Salesiana.
Ci auguriamo che l’argomento Ti interessi vivamente e contiamo sulla Tua preziosa presenza e partecipazione.
Ti preghiamo di farci pervenire per tempo il tuo intervento scritto (non oltre il 15 novembre p.v.) in modo da consentirci una organizzazione di massima della giornata.
Un cordialissimo arrivederci.
E un fervido augurio per l’anno scolastico che riprende! Ubaldo Montisci (Direttore dell’Istituto di Catechetica) Introduzione 1.
Dire Dio: Legittimo? Giobbe finalmente si arrende a Dio: “ Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi Ti vedono.” (Giobbe, 42, 59) Non c’è uomo che non lo conosca, almeno per sentito dire; perché se ne parla: non c’è lingua che non lo nomini.
(Spaemann, 2008).
Legittimamente? Per garantirsi, la ragione ha percorso piste rigorose ed ha tentato di vegliarne la fidabilità.
Con esito incerto: una tradizione secolare e autorevole lo ha riconosciuto all’origine della realtà, causa e fondamento del mondo.
Ma la stessa tradizione trova resistenze tenaci, magari proprio sul versante di chi fa del riferimento a Dio l’orizzonte di significato definitivo per la propria esistenza.
Pascal e Kierkegaard rappresentano solo gli esponenti più illustri fra i credenti che hanno avanzato dubbi e perplessità sulla dimostrazione razionale, sulla via rationis.
In epoca moderna scuole filosofiche di impatto straordinariamente vasto e accreditato hanno negato alla ragione umana il diritto di parlare di Dio (Kant); hanno screditato l’intera compagine tradizionale che ne esigeva la presenza (Nietzsche); hanno denunciato il riferimento a Dio come evasivo di un impegno umano responsabile (Feuerbach, Marx, Bloch).
Insomma la compagine della credibilità appare scossa.
E tuttavia il tema di Dio non è di quelli che si possano sottacere; ha tutta la provocazione di un confronto che mette in gioco o addirittura a repentaglio l’esistenza.
Vale la pena ascoltare e decifrare il contributo che la riflessione è oggi in grado di offrire, portando liberamente il confronto sui diversi versanti della ricerca religiosa, soprattutto dove è in grado di esplorare istanze da cui l’esistenza è attanagliata.
2.
Dire Dio: ha senso? Dove la trascendenza è pensata rigorosamente, dire-Dio, chiamarlo per nome, sembra presunzione.
Una presunzione che attraversa comunque l’intera ricerca umana: i primi inni – i reg-veda – che conosciamo s’interrogano su Dio, su chi sia, con quale nome lo si debba invocare…[1] Soprattutto una provocazione che attanaglia il cuore dell’uomo.
Il nostro cuore è senza pace fino a che non riposa in Te, avverte un genio che ha segnato il nostro modo di capirci.
E suscita domande conturbanti su un’opzione che s’impone e appare obbligata:“Se l’uomo è fatto per Dio, perché così contrario a Dio; e se non è fatto per Dio perché così infelice senza Dio?” (Pascal, 367) si domanda uno dei credenti singolarmente lucido.
Domanda pertinente: vorremmo porla a filo conduttore della nostra riflessione.Tanto più che la ricerca religiosa recente ha concentrato sull’esperienza umana la propria attenzione.
Anche il discorso su Dio sembra dover attraversare obbligatoriamente il versante dell’esperienza.
Nel caso nostro dunque portarci sulla ricerca religiosa, con attenzione a quelle scienze che la esplorano.
Donde l’interesse anche di questa giornata, allargato ai diversi settori di ricerca.
3. In chi… crede colui che crede? Quasi un secolo fa un pensatore credente J.
Rivière, s’interrogava sulla resistenza dell’a-teo di fronte a tante verità di cui la fede è depositaria.
Mettendosi nei panni dell’interlocutore, ripeteva a se stesso: – com’è possibile che un uomo intelligente, di buona cultura ammetta… E faceva un elenco discreto di affermazioni cui il credente dà normalmente la sua adesione (Rivière, 1925, 32).
Per cui si era proposto un compito singolare: spiegargli il suo punto di vista, dipanargli la logica e la coerenza del proprio modo di pensare, con la… presunzione di metterlo a parte di un’esperienza singolarmente illuminante Qualche anno fa il cardinal Martini, allora arcivescovo di Milano, aveva avviato una interessante iniziativa: la cattedra dei non credenti.
In un dibattito assai vivace aveva chiamato in causa il non credente e l’aveva sollecitato a spiegare la propria posizione.
Uno di loro, che si riconosce in questa schiera, riprende oggi le fila (Savater, 85).
“In che cosa crede chi non crede?” era la domanda.
“Crediamo, risponde F.
Savater, nella constatazione dei fenomeni naturali stabiliti dalla scienza, in quel che è verificato da studi storici e sociali, nell’opportunità di alcuni valori morali, eccetera.” ( Savater, 2007, 85).
Considerazioni piuttosto evasiva.
E che? Forse che il credente non dà la sua adesione, piena e serena, a tutte queste cose e a tutte le altre che… l’illustre studioso va elencando.
Ma il credente sa che la fede è un’altra cosa.
Più incalzante è invece la domanda che a sua volta Savater propone: – In cosa credono coloro che credono… – Perché ci credono una volta che riescono a chiarire in cosa credono.
… – Non si tratta di pretendere da chi crede in ‘Dio’ che chiarisca il contenuto della sua fede e le ragioni che lo portano ad adottarla…” ( Savater, 2007, 86).
Invece noi pensiamo che proprio di questo si tratti: che chi crede in Dio sia in dovere di mettere a punto la risposta e dire con chiarezza in che cosa e in Chi crede e le ragioni per cui ci crede! Appunto perché vive in un contesto in cui ‘credere in Dio’ non è affatto ovvio.
Nel trecento l’amico di Dante, Guido Cavalcanti, è passato alla storia perché, secondo il suo biografo, ‘passò la vita a cercar se trovar si potesse che Dio non fusse…’ Savater sembra essersi proposto lo stesso compito; ma data la situazione culturale odierna non passerà alla storia per questo.
Fa parte di quella schiera piuttosto numerosa che Sartre ha già lucidamente identificata una cinquantina di anni fa.
Il nostro problema, scriveva Sartre, non è l’esistenza di Dio, ma che “l’uomo ritrovi se stesso e si persuada che nulla può salvarlo da se stesso, fosse pure una prova valida dell’esistenza di Dio.” (Sartre, 1968, 93).
Riferimenti bibliografici.
ACHARUPARAMBIL D., La spiritualità dell’ induismo, Roma, Studium, 1986.
MAINO G., “Vivere come se Dio ci fosse”, Padova, Messaggero, 2009 RIVIERE J, A’ la trace de Dieu, Paris, Gallimard, 1952.
SAVATER S., La vita eterna, Roma-Bari, Laterza, 2007.
SARTRE J.P., L’esistenzialismo è un umanesimo, Milano, Mursia, 1968 Trenti [1] “ Qual germe d’oro (…) sorse nel principio ; appena nato fu l’unico signore di ciò che esiste.Egli sostenne la terra e il cielo: a qual dio dobbiamo fare omaggio con l’oblazione? (Acharuparambil, 1986, 55).
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