XXXIII Domenica del tempo ordinario (Anno B).

Lectio – Anno B   Prima lettura: Daniele 12,1-3          In quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo.
Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro.
Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna.
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre.
          La struttura dei 14 capitoli del libro di Daniele, a cui appartiene il brano della prima lettura, è molto semplice.
Si tratta infatti di un libro nel quale prevale l’elemento narrativo, composto dal racconto delle vicende di Daniele alla corte del re Nabucodonosor (cap.
1-6), dalla descrizione delle sue visioni (capp.
7-12) e da tre episodi molto noti (il caso di Susanna, la confutazione dei sacerdoti del Dio Bel e l’uccisione del Drago-idolo: capp.
13-14).
Più complesso è invece il modo con cui questo libro biblico trasmette il suo messaggio.
Gli esegeti infatti collocano il libro di Daniele al culmine di quella produzione letteraria che nel Giudaismo è conosciuta come letteratura apocalittica.
Questo genere letterario è stato molto utilizzato dagli autori dei testi apocrifici (quelli non accettati nel canone biblico): le loro immagini, le loro speculazioni sui numeri, le descrizioni di grandi bestie e di angeli, i segni premonitori della fine del mondo sono stati utilizzati (ma molto più sobriamente) anche dagli autori di alcuni libri biblici o di parti di essi (Daniele, parti di Is, Ez, Zc, Apocalisse).
     Il contenuto dell’apocalittica è racchiuso nel significato stesso di questo termine, che in greco significa «rivelazione».
Al popolo biblico (e nel NT alla comunità cristiana) che si sente sfiduciato e che sta per cedere alla tentazione di sentirsi definitivamente abbandonato dal suo Dio, l’autore sacro assicura la «rivelazione» di Dio attraverso visioni, sogni, immagini e simboli che il destinatario sa comprendere e interpretare (a differenza della difficoltà che incontriamo noi oggi).
L’angoscia dei tempi di persecuzione (sia per il popolo biblico che per i cristiani) favoriva l’utilizzazione del genere letterario dell’apocalittica; esso solo permetteva di proiettare l’attuale situazione di sofferenza nella vittoria definitiva che Dio avrebbe saputo riportare sul male e sui persecutori del suo popolo.
Il momento dell’angoscia e della persecuzione veniva così considerato come via alla definitiva vittoria di Dio e dei buoni.
     In questo contesto va letto anche il brano della prima lettura.
«Il tempo di angoscia» va compreso alla luce della riflessione che l’apocalittica fa sul momento presente della persecuzione: esso è preludio alla vittoria di Dio e del bene, non alla sconfitta e all’annullamento del suo popolo.
«Si troverà scritto nel libro» è l’immagine biblica che rasserena l’uomo: egli fa parte del progetto di Dio («il libro»), un progetto buono e destinato a realizzarsi nel bene; perciò l’uomo non deve temere né il fallimento né l’abbandono.
«Michele» è uno degli angeli che l’apocalittica colloca a protezione delle nazioni.
Secondo l’angelologia giudaica ogni nazione ha un angelo protettore, descritto spesso come «capo» o «principe» o «comandante» di eserciti celesti (cf.
Dan 10,13).
     «Vita eterna e l’infamia eterna» esplicitano la condizione dell’uomo davanti a Dio, dopo la risurrezione, a seconda del ruolo che ciascuno ha rivestito nella vita presente.
Il momento della persecuzione sembra dar ragione ai più forti e alle potenze del male e sembra porre fine a tutto ciò in cui il popolo biblico ha sempre creduto.
La «rivoluzione» che Dio fa al suo popolo è che la vera sorte e il vero destino dell’uomo sono definiti da Lui nell’aldilà e non nell’alternarsi continuo delle vicende di questo mondo.
  Seconda lettura: Ebrei 10,11-14.18          Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati.
Cristo, invece, avendo offerto un solo sacrificio per i peccati, si è assiso per sempre alla destra di Dio, aspettando ormai che i suoi nemici vengano posti a sgabello dei suoi piedi.
Infatti, con un’unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati.
Ora, dove c’è il perdono di queste cose, non c’è più offerta per il peccato.
       La lettera agli Ebrei propone il tema del sacerdozio di Cristo, un tema che non viene trattato esplicitamente nei Vangeli.
Nell’esporre la sua riflessione, l’autore di questa lunga «omelia» (come viene definita la Lettera agli Ebrei) si sofferma ora sul confronto tra il sacerdozio dell’AT e quello di Gesù, evidenziandone le differenze.
Il primo era ereditario nell’ebraismo, infatti, la carica di sommo sacerdote (almeno fino ai tempi di Erode il Grande) era a vita e veniva trasmessa ai discendenti.
Inoltre ad esso poteva accedere solo chi apparteneva alla tribù sacerdotale di Levi.
Nel NT, invece, il sacerdozio costituisce uno speciale rapporto tra il credente e Gesù, una particolare chiamata, una risposta radicale alla sua sequela, cioè una vocazione.
     I sacerdoti dell’AT ripetevano ogni giorno e ogni anno gli stessi sacrifici e le stesse feste, senza tuttavia ottenere la salvezza e il perdono definitivo («Ogni sacerdote si presenta giorno per giorno a celebrare il culto e a offrire molte volte gli stessi sacrifici, che non possono mai eliminare i peccati»).
Il sacrificio di Gesù, invece, è definitivo ed esaustivo: con l’offerta di se stesso al Padre sulla croce ha ottenuto «una volta per sempre» la salvezza per tutta l’umanità.
     L’espressione «si è assiso per sempre alla destra di Dio» (che ricalca il Salmo 110 messianico-sacerdotale) sottolinea l’unicità («una volta per sempre») e la definitività del sacerdozio di Cristo; l’intronizzazione di Cristo alla destra di Dio dice eloquentemente che la sua opera «sacerdotale» è stata perfetta e non ha bisogno di essere ulteriormente completata con ripetizioni di riti e sacrifici, come invece avveniva nel sacerdozio levitico.
     Fondamentalmente il sacerdozio di Cristo consiste nell’aver egli sempre compiuto la volontà del Padre e nell’essersi offerto a lui nella totale disponibilità del suo essere (come le vittime sacrificate), fino ad accogliere docilmente la croce per la salvezza definitiva dell’umanità.
  Vangelo: Marco 13,24-32          In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.
Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
     Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina.
Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.  In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga.
Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
    Esegesi      Il brano evangelico contiene la conclusione del «discorso escatologico» di Gesù.
In questo discorso sugli «ultimi avvenimenti» (come significa in greco il termine éscathon) si intrecciano e si sovrappongono vari elementi: la descrizione della distruzione del tempio di Gerusalemme la descrizione della fine del mondo, l’esortazione alla vigilanza e il ricorso ad alcuni temi cari al genere letterario dell’apocalittica.
Gli studiosi hanno cercato di collocare in un certo ordine tutto questo complesso materiale e di interpretarlo per una migliore comprensione del messaggio che l’evangelista vuole comunicare al lettore (cf.
J.
Dupont, La distruzione del tempio e la fine del mondo.
Studi sul discorso di Mc 13, Ed.
Paoline, Roma 1979, pp.
44-54).
     Questo messaggio è profondamente radicato nella Bibbia e nella persona di Gesù.
La Bibbia annuncia in ogni sua pagina l’avvento del Regno di Dio e Gesù realizza nella sua persona e nella sua vita questa promessa.
Il nostro brano utilizza le immagini del genere letterario dell’apocalittica («in quel giorno», «quella tribolazione», «il Figlio dell’uomo venire sulle nubi», «il sole si oscurerà»), ma il contenuto e totalmente aperto alla salvezza portata da Gesù e alla sua presenza nel mondo, da Lui amato e salvato (a differenza delle immagini apocalittiche che lo vedono destinato alla catastrofe).                                 Questa salvezza è stata possibile grazie all’incarnazione di Gesù e alla sua obbedienza al Padre, accettata fino alle estreme conseguenze, compresa l’esclusione dalla sua rivelazione di quanto in essa non rientrava (la conoscenza e la divulgazione del momento preciso della fine del mondo).
Anche il cristiano deve rinunciare a calcoli cronologici, ma deve spendere ogni giorno della sua vita aderendo alle parole e al vangelo di Gesù, che realizzano la promessa biblica del Regno di Dio, «vicino» ad ogni generazione che si succede.
     Meditazione      La liturgia della Parola di questa penultima domenica del tempo ordinario ci pone di fronte ad alcuni interrogativi essenziali che orientano ad una interpretazione del tempo e della storia in rapporto con Dio.
Il frammento tratto dal libro di Daniele e la pericope del racconto di Marco, che fa parte del più lungo discorso di Gesù riportato in questo vangelo, aprono il nostro sguardo sugli eventi riguardanti gli ultimi tempi (ta eschata, le ‘cose ultime’): hanno come orizzonte il limite estremo del tempo storico, cioè il momento in cui quest’ultimo cadrà per fare posto al mondo futuro.
Questi testi sono accomunati dall’uso dello stesso linguaggio apocalittico, ricco di simboli e immagini, che si presentano non tanto come una descrizione anticipata, puntuale e cronologica di eventi futuri, quanto piuttosto come un simbolo (che deve perciò essere decifrato) di una realtà di giudizio (salvezza o condanna) che riguarda un compimento il cui risultato non dipende da una iniziativa umana, ma è puro dono di Dio.
Se il mezzo espressivo di questo genere letterario utilizza immagini che richiamano tempi di guerre e di divisioni, di catastrofi cosmiche, sotto il segno di una grande subitaneità che crea angoscia e smarrimento, il messaggio da ricercare dietro questi simboli riguarda realtà esistenziali che mettono in relazione la nostra storia con il disegno esso di Dio su di essa.
Dunque, come collocarsi di fronte a questi testi? Che cosa è impor-tante in questa visione della storia e del suo fine? Quale è il punto focale di questa Parola? Certamente, ad una prima lettura di questi testi, viene spontaneo un paragone tra le immagini utilizzate da Mc 13,24-25 e dal profeta Daniele (Dn 12,1: «Sarà un tempo di angoscia come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni…») e gli eventi che viviamo.
E, inevitabilmente, rimaniamo inquietati da un confronto tra queste parole piene di morte e di devastazione e ciò che oggi vediamo nel mondo.
«In quei giorni…
le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte» (Mc 13,25).
Non è quello che scorre sotto i nostri occhi? Una creazione che sembra ripiombare nel caos iniziale, che si rifiuta di obbedire all’uomo, e una umanità disorientata e lacerata da tante divisioni, incapace di guardare con speranza la storia.
Si percepisce un senso di fine e, sicuramente, un mondo sta per terminare.
Ma è veramente questa la prospettiva di Dio? È questo ciò che, in particolare, Gesù vuole comunicarci?      Un primo messaggio che possiamo cogliere, soprattutto a partire dalle parole di Gesù riportate dall’evangelista Marco, riguarda il senso della storia, il suo orientamento.
Al di là degli eventi tragici che costellano il tempo dell’uomo, la creazione stessa, la nostra storia cammina verso una pienezza, verso un fine (e non verso la fine) che è l’incontro definitivo con Cristo, kyrios della storia; incontro che è nello stesso tempo salvezza e giudizio.
È Colui che viene (o erchomenos) il punto focale che deve catturare il nostro sguardo interiore: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria…» (Mc 13,26).
Gli eventi drammatici non sono altro che una sorta di chiaroscuro che annuncia questa luce sfolgorante, questo evangelo di salvezza; c’è come un passaggio da una creazione privata della sua potenza, ridotta al nulla, ad una nuova potenza che rinnova tutto, la potenza del Kyrios, del Veniente, colui che «viene sulle nubi con grande potenza e gloria».
È questo l’evangelo che illumina tutta la storia e la orienta al compimento.
Ecco il primo messaggio pieno di speranza che ci comunica questa parola di Gesù, così difficile e carica di angoscia: in un mondo che finisce (o meglio, che giorno dopo giorno si incammina alla fine), si avvicina sempre di più il momento in cui l’umanità è chiamata a vedere in volto Colui che dà il senso a tutta la storia, Colui che la guida in ogni suo passo, Colui che la riempie di bellezza e di pace.
La speranza matura proprio nel momento in cui le possibilità umane sembrano essere giunte ad un vicolo cieco, sembrano esaurirsi; proprio lì, inaspettatamente, ma in una fedeltà mai venuta meno, si apre un orizzonte infinito e si comprende che c’è qualcuno al di là degli avvenimenti, anche quando questi sono segnati dal male e dalla morte.
     L’arrivo e l’incontro con il Veniente ha come frutto, nella storia, il compimento di essa.
È questo il secondo messaggio offerto dal testo di Marco.
E la parola compimento è una parola che apre al futuro, che lascia intravedere un nuovo inizio, che è carica di novità, di bellezza, di perfezione.
Ciò che all’uomo appare come conclusione e dunque morte definitiva di un mondo, di una storia, di una umanità, nello sguardo di Dio diventa occasione di creazione rinnovata, di amore ridonato, di novità di vita.
Anche se a noi pare strana, la logica di Dio è però la logica pasquale: dalla morte alla vita, e non viceversa.
E il testo di Marco descrive questo compimento non come giudizio sull’umanità (anche se questo è un tema fondamentale nei discorsi escatologici), ma come comunione e unità: «Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti…» (13,27.
Cfr.
anche Dn 12,2-3).
Il movimento è, dunque, dalla dispersione del popolo di Dio su tutta la terra, alla riunione nel regno alla fine dei tempi; il punto di arrivo è così la comunione in un incontro.
Ciò che segna la fine di questo mondo non è la distruzione, la morte, il caos: questi sono solamente una sorta di dolori del parto che preannunciano qualcosa di nuovo.
La novità sta nella nascita di una umanità che entra definitivamente nell’incontro con il suo Signore, quell’umanità che ha saputo attendere con pazienza «quei giorni» e che nel momento scelto da Dio «vedrà il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con gloria e potenza grande» e che «riunirà i suoi eletti» da tutti i luoghi in cui erano dispersi.
     Ma nel ‘frat-tempo’ il discepolo come deve comportarsi? Rimandato alla storia, che è attesa di questo incontro, che cosa deve fare il credente? Nella risposta a questi interrogativi sta un terzo messaggio che questa parola di Gesù ci offre.
Il discepolo deve imparare a discernere, a guardare per comprendere e per conoscere ciò che avviene.
Il discepolo deve abituare lo sguardo a cogliere i segni di questo incontro sempre rinnovato.
Bisogna saper leggere tutti quei segni, piccoli o grandi, di cui è disseminata la nostra storia e che ci aprono alla speranza.
E una umile pianta, il fico, ci ricorda Gesù, può aiutarci a comprendere questo: «Dalla pianta del fico imparate la parabola» (13,28).
Quando il fico incomincia a produrre le gemme e sui suoi rami crescono le prime foglie, ecco che si avvicina il tempo del raccolto, il tempo della gioia.
La nostra storia è paragonabile a quella pianta di fico: in essa, per chi sa guardare con occhi di novità, sono disseminate tante gemme, piccoli annunci di vita.
Essi ci dicono che il tempo della salvezza è già operante in mezzo a noi, che questo mondo è stato salvato dall’amore di Dio e che tocca a ciascuno di noi essere attenti per cogliere quella parola di salvezza che il Signore stesso vuole donarci.
     E infine Gesù ci dona anche un punto di appoggio saldo per poter discernere: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (13,31).
La parola di Gesù è, in fondo, ciò che ci permette di camminare in questa storia, attendendo l’incontro con Lui, senza perdere il cammino, ma imparando a leggere ogni segno che incontriamo su di esso.
Anche se la strada a volte è buia, anche se la nostra storia non sembra andare verso una meta, ma verso una fine, anche se spesso i cammini che incontriamo ci disorientano, abbiamo ricevuto dal Signore un appoggio sicuro: la sua parola che non passa, che non perde la sua forza, che contiene tutto il suo amore fedele, che è speranza.
Nella sua parola la vita continua, anche quando attorno a noi sembra finire (il cielo e la terra passeranno).
In questo tempo di attesa, veramente il Signore ci chiede una sola cosa: appoggiare tutta la nostra vita sulla sua parola e con pazienza, come la sentinella nella notte, attendere l’albeggiare della sua venuta.
    Preghiere e Racconti Cambiare la storia Chi spera cammina, non fugge! Si incarna nella storia! Costruisce il futuro, non lo attende soltanto! Ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma! Ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare.
Cambia la storia, non la subisce! (don Tonino Bello) Dopo l’11 settembre Il paradosso del nostro tempo nella storia è che abbiamo edifici sempre più alti, ma moralità più basse, autostrade sempre più larghe, ma orizzonti più ristretti.
  Spendiamo di più, ma abbiamo meno, comperiamo di più, ma godiamo meno.
Abbiamo case più grandi e famiglie più piccole, più comodità, ma meno tempo.
  Più conoscenza, ma meno giudizio, più esperti, e ancor più problemi, più medicine, ma meno benessere.
  Beviamo troppo, fumiamo troppo, spendiamo senza ritegno, ridiamo troppo poco, guidiamo troppo veloci, ci arrabbiamo troppo, facciamo le ore piccole, ci alziamo stanchi, vediamo troppa TV, e preghiamo di rado.
  Abbiamo moltiplicato le nostre proprietà, ma ridotto i nostri valori.
Parliamo troppo, amiamo troppo poco e odiamo troppo spesso.
  Abbiamo imparato come guadagnarci da vivere, ma non come vivere.
Abbiamo aggiunto anni alla vita, ma non vita agli anni.
  Siamo andati e tornati dalla Luna, ma non riusciamo ad attraversare la strada per incontrare un nuovo vicino di casa.
Abbiamo conquistato lo spazio esterno, ma non lo spazio interno.
  Abbiamo creato cose più grandi, ma non migliori.
Abbiamo pulito l’aria, ma inquinato l’anima.
Abbiamo dominato l’atomo, ma non i pregiudizi.
Pianifichiamo di più, ma realizziamo meno.
Abbiamo imparato a sbrigarci, ma non ad aspettare.
  Costruiamo computers più grandi per contenere più informazioni, per produrre più copie che mai, ma comunichiamo sempre meno.
Questi sono i tempi del fast food e della digestione lenta, grandi uomini e piccoli caratteri, ricchi profitti e povere relazioni.
  Questi sono i tempi di due redditi e più divorzi, case più belle ma famiglie distrutte.
Questi sono i tempi dei viaggi veloci, dei pannolini usa e getta, della moralità a perdere, delle relazioni di una notte, dei corpi sovrappeso e delle pillole che possono farti fare di tutto, dal rallegrarti al calmarti, all’ucciderti.
  E’ un tempo in cui ci sono tante cose in vetrina e niente in magazzino.
Un tempo in cui la tecnologia può farti arrivare questa lettera, e in cui puoi scegliere di condividere queste considerazioni con altri, o di cancellarle.
  Ricordati di spendere del tempo con i tuoi cari ora, perché non saranno con te per sempre.
Ricordati di dire una parola gentile a qualcuno che ti guarda dal basso in soggezione, perché quella piccola persona presto crescerà e lascerà il tuo fianco.
  Ricordati di dare un caloroso abbraccio alla persona che ti sta a fianco, perché è l’unico tesoro che puoi dare con il cuore e non costa nulla.
  Ricordati di dire “vi amo” ai tuoi cari, ma soprattutto pensalo.
Un bacio e un abbraccio possono curare ferite che vengono dal profondo dell’anima.
Ricordati di tenerle le mani e godi di questi momenti, perché un giorno quella persona non sarà più lì.
  Dedica tempo all’amore, dedica tempo alla conversazione, e dedica tempo per condividerei pensieri preziosi della tua mente.
  E ricorda sempre: la vita non si misura da quanti respiri facciamo, ma dai momenti che ci tolgono il respiro.
(George Carlin).
Le due venute Noi annunciamo non solo una, ma due venute di Cristo, la seconda molto più risplendente della prima.
La prima si compì sotto il segno della pazienza, la seconda porta la corona del regno regale.
Per lo più, infatti, il Signore nostro Gesù Cristo si manifesta in duplice modo: in due nascite, una da Dio prima dei secoli e una dalla Vergine al compimento dei secoli; in due discese, una nel nascondimento come pioggia sul vello (cfr.
Sal 71 [72] ,6) e una che alla fine sarà manifesta; in due venute: nella prima, avvolto in fasce dentro la stalla e, nella seconda, avvolto da un manto di luce (cfr.
Lc 2,7; Sal 103 [104] ,2); nella prima, sottoposto all’umiliazione della croce che non giudicò vergognosa e, nella seconda, scortato da schiere angeliche nella gloria.
Crediamo fermamente, dunque, non solo alla prima venuta, ma attendiamo anche la seconda.
Se nella prima abbiamo detto: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 21,9), nella seconda ripeteremo di nuovo le stesse parole e così correndo incontro al Signore insieme agli angeli, prostrandoci diremo: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore» (Mt 23,39).
Il Salvatore verrà di nuovo non per essere giudicato, ma per giudicare quelli che l’hanno giudicato.
[…] Viene il Signore nostro Gesù Cristo dai cieli, viene nella gloria nell’ultimo giorno; vi sarà infatti la fine di questo mondo e sarà creato un mondo nuovo.
Sarà rinnovata la terra sommersa da corru-zioni, furti, adulteri e ogni genere di peccati, il mondo bagnato di sangue misto a sangue (cfr.
Os 4,1), perché questa meravigliosa dimora dell’uomo non resti colma di iniquità.
Questo mondo possa perché ne appaia uno migliore.
[…] Passeranno le cose che ora vediamo e verranno quelle migliori che attendiamo, ma nessuno pretenda di sapere quando.
Sta scritto: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta» (At 1,7).
Non devi temerariamente pretendere di sapere che cosa accadrà dopo, né supinamente adagiarti nel sonno.
Sta scritto: «Vegliate perché nell’ora in cui non l’aspettate verrà il Figlio dell’uomo» (Mt 24,42.44).
(CIRILLO DI GERUSALEMME, Le catechesi 15,1.3-4, PG 33.869A-B; 872C-873; 876A).
La biblioteca di Dio Credo che in qualche punto dell’universo debba esserci un archivio in cui sono conservate tutte le sofferenze e gli atti di sacrificio dell’uomo.
Non esisterebbe giustizia divina se la storia di un misero non ornasse in eterno l’infinita biblioteca di Dio.
(Isaac Bashevis Singer).
Trova il tempo Trova il tempo di pensare; trova il tempo di pregare; trova il tempo di ridere.
  È la fonte del potere; è il più grande potere sulla terra; è la musica dell’anima.
  Trova il tempo per giocare; trova il tempo per amare ed essere amato; trova il tempo di dare.
  È il segreto dell’eterna giovinezza; è il privilegio dato da Dio; la giornata è troppo corta per essere egoisti.
  Trova il tempo di leggere; trova il tempo di essere amico; trova il tempo di lavorare.
  È la fonte della saggezza; è la strada della felicità; è il prezzo del successo.
  Trova il tempo di fare la carità; è la chiave del Paradiso.
(poesia scritta sul muro della Casa dei bambini di Calcutta).
  Insegnami ad usare bene il tempo Dio mio, insegnami ad usare bene il tempo che tu mi dai e ad impiegarlo bene, senza sciuparne.
Insegnami a prevedere senza tormentarmi, insegnami a trarre profitto dagli errori passati, senza lasciarmi prendere dagli scrupoli.
Insegnami ad immaginare l’avvenire senza disperarmi che non possa essere quale io l’immagino.
Insegnami a piangere sulle mie colpe senza cadere nell’inquietudine.
Insegnami ad agire senza fretta, e ad affrettarmi senza precipitazione.
Insegnami ad unire la fretta alla lentezza, la serenita’ al fervore, lo zelo alla pace.
Aiutami quando comincio, perche’ e’ proprio allora che io sono debole.
Veglia sulla mia attenzione quando lavoro, e soprattutto riempi Tu i vuoti delle mie opere.
Fa’ che io ami il tempo che tanto assomiglia alla Tua grazia perche’ esso porta tutte le opere alla loro fine e alla loro perfezione senza che noi abbiamo l’impressione di parteciparvi in qualche modo.
(Jean Guitton)      * Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.
– COMUNITÀ MONASTICA SS.
TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade.
Tempo ordinario – Parte prima, Milano, Vita e Pensiero, 2009, pp.
60.
– COMUNITÀ DI BOSE, Eucaristia e Parola.
Testi per le celebrazioni eucaristiche.
Anno B, a cura di Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Lisa Cremaschi e Luciano Manicardi, Milano, Vita e Pensiero, 2008.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
 

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