La Chiesa cattolica nella Germania comunista

La divisione della Germania in seguito alla seconda guerra mondiale ha determinato profondi cambiamenti nello scenario ecclesiastico.
Parti delle diocesi di Paderborn, Würzburg, Fulda e Osnabrück sono state separate di colpo dalle loro sedi vescovili – dato che erano situate sul territorio della zona un tempo di occupazione sovietica, in seguito passata alla Deutsche Demokratische Republik (Ddr), la Repubblica democratica tedesca.
In particolare, è apparso eclatante il caso della diocesi di Berlino.
Solo la diocesi di DresdenMeissen era situata interamente nel territorio della Ddr, come pure residui dell’arcidiocesi di Breslavia, da cui in seguito è sorta la diocesi di Görlitz.
Solo a fatica i vescovi con sedi nella Repubblica federale tedesca hanno potuto mantenere rapporti con i loro fedeli nella Ddr.
Come soluzioni d’emergenza era previsto che i vescovi, per le loro comunità situate nella Ddr, nominassero dei rappresentanti dotati di pieni poteri straordinari.
In tal modo era possibile salvaguardare l’azione pastorale e l’unità ecclesiastica, laddove la costituzione di una conferenza di ordinari tedesco-orientale da parte di Pio xii teneva conto delle esigenze pratiche.
Ma lo scioglimento delle strutture ecclesiastiche dal loro vincolo con le diocesi tedesco-occidentali avite, allo scopo di conseguire un’identica copertura di territorio statale e struttura gerarchica, corrispondeva anch’esso alle aspirazioni d’autonomia statale e di riconoscimento internazionale da parte della dirigenza della Ddr.
Mentre le analoghe intenzioni della dirigenza della Ddr nei confronti delle comunità locali protestanti furono coronate da successo e queste si separarono dalla Evangelische Kirche in Deutschland (Ekd), si opposero energicamente la Conferenza dei vescovi tedeschi e il Governo della Repubblica federale.
A entrambi premeva sottolineare l’unità della Germania, anche sotto l’aspetto ecclesiastico, insistendo sullo status quo.
La Santa Sede venne incontro alle concrete esigenze pastorali, creando nel 1973 per le parti delle diocesi tedesco-occidentali situate nella Ddr i cosiddetti Uffici diocesani di Erfurt-Meiningen, Magdeburgo e Schwerin, e nominando per ciascuno d’essi un amministratore apostolico, mentre la giurisdizione del vescovo occidentale restava sospesa, ma non veniva soppressa.
Nel 1976 fu costituita la “Conferenza dei vescovi di Berlino”, che divenne un necessario forum di comunicazione per gli amministratori apostolici, come pure per i vescovi di Berlino e Dresden-Meissen.
Un’ulteriore iniziativa auspicata dalla diplomazia della Ddr e progettata dall’arcivescovo Casaroli, segretario del Consiglio per gli Affari pubblici della Chiesa, ossia quella di innalzare gli Uffici vescovili al rango di Amministrazioni apostoliche, non fu più messa in atto, poiché Paolo VI morì il 6 agosto 1978 e Giovanni Paolo II inaugurò un nuovo corso.
Se Paolo VI era partito dal presupposto d’una durata imprevedibile del sistema sovietico e quindi s’era adoperato per trovare un modus vivendi – o meglio, non moriendi – con Mosca, al fine di garantire la sopravvivenza della Chiesa nel blocco orientale, Giovanni Paolo II s’impegnò invece in un confronto risoluto.
Quindi tramontarono anche le aspirazioni dirette alla costruzione di una struttura gerarchica circoscritta al territorio della Ddr.
Solo dopo la caduta del Muro ha potuto configurarsi un nuovo ordinamento ecclesiastico, senza che fosse connesso a implicazioni politiche.
Nel 1994 furono erette le diocesi di Magdeburgo ed Erfurt, per cui si pose fine all’ordinamento provvisorio in vigore fino a quel momento.
Per quanto riguarda l’organizzazione ecclesiastica, la situazione pastorale, religiosa nella Ddr era determinata dalla circostanza che con la Riforma del XVI secolo erano stati soppressi una quindicina di diocesi e numerosi conventi.
A eccezione di pochi territori – pensiamo all’Eichsfeld, a Oberlausitz, come pure a singoli conventi – fin dalla guerra dei Trent’anni la vita ecclesiastica cattolica nel territorio di quella che sarebbe diventata la Ddr si era estinta.
Una situazione completamente nuova si è profilata solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, a causa della quale circa un milione e mezzo di fuggiaschi o profughi cattolici affluirono nel territorio della futura Ddr.
Alcuni hanno ipotizzato che le potenze vincitrici avessero in programma una mescolanza confessionale connessa a questo processo.
In tal modo ha avuto origine una diaspora cattolica negli odierni nuovi Länder federali.
La situazione dei cattolici era quindi molto difficile, perché questi territori già all’epoca della Repubblica di Weimar, anzi già verso la fine del xix secolo, a causa della propaganda ateistica dei socialisti, erano stati largamente scristianizzati.
Durante gli anni del nazismo l’ideologia del sangue e del suolo, cioè della razza, contribuì alla diffusione della religione neopagana della razza germanica, che accentuò ulteriormente la scristianizzazione.
Quindi l’ateismo connesso al regime della Sed (il partito socialista unitario tedesco) ha avuto gioco facile.
Di conseguenza la fede dei cattolici che vivevano in quest’ambiente è stata sottoposta alle prove più ardue.
La Chiesa cattolica, nella Ddr, si trovava in una duplice situazione di diaspora.
Sul piano confessionale, rispetto alla popolazione di religione evangelica, rappresentava una quantité négligeable.
Protestanti e cattolici, però, cominciarono a considerarsi sempre più, in un certo senso, come piccole oasi in un deserto di ateismo.
Un’esperienza che ha portato a una forma di solidarietà e a una vicinanza ecumenica.
Nelle questioni di attualità, soprattutto quelle legate alla politica ecclesiastica, si trovava un accordo – il rapporto con gli organi dello Stato e del partito era molto diverso.
Un parallelo cattolico rispetto al modello protestante di una “Chiesa nel socialismo” non è esistito in nessuna fase.
Piuttosto il contrasto con l’ideologia dominante era univoco.
La resistenza cattolica si è diretta non tanto contro lo Stato di per sé, ma contro l’ideologia che ne era alla base.
Questa differenza affonda le sue radici fin nell’epoca della Riforma.
Soprattutto nei territori di Prussia-Brandeburgo, in conseguenza della Riforma la sovranità sulla Chiesa era stata rivendicata dai principi dei singoli territori, che si sentivano summi episcopi delle loro Chiese territoriali.
Questo sistema di governo ecclesiastico su base territoriale da parte dei signori ebbe naturalmente come conseguenza una particolare prossimità o dipendenza della Chiesa dallo Stato.
Nel mio luogo d’origine, Ansbach – un principato del Brandeburgo – ancora alla fine del XVIII secolo il ii Senato della Camera della guerra e del demanio svolgeva le funzioni di suprema autorità ecclesiastica.
Questa dipendenza s’è mantenuta oltre la fine della monarchia.
Ben diversa si presentava la situazione dei cattolici, che in particolare in seguito alle leggi bismarckiane connesse al Kulturkampf (dopo il 1870) erano stati sottoposti a una persecuzione più grave che sotto il regime nazista.
Durante questa fase furono scacciati o incarcerati nove dei dodici vescovi prussiani.
Un destino che fu condiviso da centinaia di sacerdoti.
Queste esperienze vissute nel passato hanno segnato in modo duraturo l’atteggiamento dei cattolici nei confronti del potere statale.
A ciò s’è aggiunta l’esperienza del periodo nazista, che “fa capire la strategia difensiva adottata dai vertici della Chiesa cattolica nella Ddr fino agli anni Ottanta, orientata a compartimentare la limitata sfera ecclesiastica interna” (H.
Heineke).
Quindi, da parte cattolica, s’è mantenuta una distanza nei confronti degli organi statali e partitici, senza tuttavia provocarli con una resistenza aperta.
I contatti comunque necessari con queste istanze furono affidati dai vescovi a singoli sacerdoti, che dovevano agire su loro incarico e secondo le loro direttive.
A questo punto è naturale chiedersi se dalle cerchie del clero siano usciti collaboratori o fiancheggiatori della Stasi, i servizi segreti della Ddr.
Per quanto è consentito dire allo stato attuale della ricerca, la rigida regolamentazione di questi contatti era in grado d’impedire una simile collaborazione a livello diffuso.
Se il ministero per la Sicurezza dello Stato ha perseguito l’obiettivo d’esercitare pressioni sulla Chiesa cattolica per pilotarla, attraverso informazioni informali nel senso della politica ecclesiastica condotta dallo Stato-Sed, si è trattato di un tentativo fallito.
Di 183 dirigenti che tra il 1950 e il 1989 hanno lavorato per la Caritas, solo tre hanno avuto contatti cospirativi con la Stasi.
Quattro sacerdoti agivano su disposizioni dei vescovi.
L’altro risvolto di questo modello pastorale della distanza nei confronti dello Stato e di una società plasmata dal materialismo comunista, consisteva nel percepire e criticare la vita ecclesiastica concentrata “intorno al campanile” come un cristianesimo da sacrestia angusto e segregato.
Per un altro verso, per la piccola Chiesa cattolica della diaspora il legame con Roma era stato importante da sempre.
Dopo l’ascesa al soglio pontificio di Giovanni Paolo II questo legame s’è rivelato decisivo per una riorganizzazione della vita ecclesiastica.
In questo contesto il Papa non solo ha offerto sostegno ai vescovi, ma li ha invitati ad avviare un rapporto con le cerchie evangeliche impegnate “per la giustizia, la pace e la preservazione della creazione”.
Ma con ciò siamo già alle soglie dell’anno 1989.
Ancora oggi sono vivide le immagini che si sono presentate allo sguardo dello spettatore nella tarda estate del 1989 a Lipsia: erano le famose dimostrazioni del lunedì, la prima delle quali ebbe luogo il 4 settembre.
Meta delle dimostrazioni era la chiesa di San Nicola, nella quale si concludevano con la preghiera della pace.
Lo stesso accadeva in numerose città della Ddr.
Era la comunità evangelica che aveva aperto le sue chiese a questo scopo e aveva appoggiato in vari modi le dimostrazioni.
A questo punto è legittimo interrogarsi sull’eventuale impegno cattolico nel processo di svolta.
In confronto al ruolo svolto dalle comunità evangeliche, esso appare più modesto.
Ma questa circostanza non deve meravigliare, dato che i cattolici rappresentavano solo una esigua minoranza.
La quota di protestanti sulla popolazione complessiva, che ammontava all’85 per cento nel 1950, si era ridotta al 25 per cento nel 1989, quella dei cattolici era passata dal 10 per cento al 5 per cento.
Naturalmente i cattolici non possedevano chiese che avrebbero potuto accogliere una moltitudine di persone per la preghiera della pace – a eccezione delle note enclavi cattoliche di Eichsfeld e Oberlausitz.
Tuttavia, non poche comunità cattoliche si sono impegnate in misura più modesta anche politicamente.
Così molti cattolici si comportavano da oppositori; insieme con i protestanti si impegnavano per l’ambiente e nei movimenti pacifisti e si schieravano nelle dimostrazioni del lunedì.
Il vescovo di Dresda, Reinelt, ha riferito, per esempio, di aver spesso accompagnato coloro che dimostravano contro il regime della Ddr insieme con il vescovo evangelico locale – quest’ultimo a Lipsia, Reinelt a Dresda.
Le singole parrocchie offrivano gli spazi dove i membri democratici della comunità, critici verso il regime, s’incontravano e si scambiavano le loro opinioni.
Inoltre, bisogna aggiungere che i cattolici della Germania Est guardavano indubbiamente con attenzione agli eventi in Polonia, dove dopo la quasi profetica omelia di Pentecoste pronunciata da Giovanni Paolo II a Varsavia, nel 1979, s’era messo in moto un movimento che alla fine avrebbe portato agli avvenimenti del 1989.
Il Papa allora aveva citato il versetto della liturgia di Pentecoste: “Emitte Spiritum tuum…
et renovabis faciem terrae.” Poi aveva battuto al suolo energicamente il suo bastone pastorale e aveva proseguito: “Questa terra qui”.
In polacco “terra” significa anche “Paese”! Consentitemi di citare, per ricapitolare, cosa scrive nel suo nuovo libro Urbi et Gorbi – Christen als Wegbereiter der Wende Joachim Jauer, che è stato per anni corrispondente della Zdf nella Ddr e in Europa orientale: “Sono senz’altro più numerosi i protagonisti evangelici rispetto a quelli cattolici, e questo non stupisce.
Ci troviamo qui, nel paese di Lutero, nell’ex Ddr.
Le piccole comunità cattoliche qui sono sorte solo dopo la seconda guerra mondiale, dagli insediamenti di profughi della Boemia o della Slesia.
Questa è la prima osservazione.
La seconda è che i vescovi cattolici volevano salvaguardare il loro piccolo gregge e hanno quasi innalzato un baluardo difensivo intorno a loro.
Questo ha fatto sì che la piccola Chiesa cattolica, sul territorio della Ddr, abbia potuto preservare i suoi fedeli dalla perdita della fede molto più della grande Chiesa evangelica, dalla quale i capi della Sed…
sono riusciti ad allontanare una quantità, addirittura milioni, di persone.
Questo tra i cattolici non è stato possibile…
Ma queste notizie non arrivavano all’opinione pubblica.
Anche per noi corrispondenti era quasi impossibile aver accesso a queste informazioni…
Non ho mai…
potuto fare un servizio in una chiesa cattolica…
Da questo emerge…
un’immagine distorta, come se i cattolici addirittura non fossero esistiti”.
Ma subito dopo la svolta si è visto che esistevano e non erano rimasti affatto inattivi.
Il teologo evangelico Erhard Neubert, sbalordito ed evidentemente contrariato per il gran numero di cattolici che dopo il 1990 si sono assunti responsabilità politiche nei nuovi Länder federali, scrisse nel 1991: “Abbiamo esautorato la Sed, e ora il potere l’hanno preso i cattolici”.
La tesi della rivoluzione protestante è falsa quanto quella della presa del potere da parte dei cattolici dopo il 1990.
Che i cattolici, in rapporto alla loro quota nella popolazione complessiva, fossero rappresentati politicamente in modo sproporzionato, era dovuto al fatto di essere impegnati prevalentemente nella Christlich Demokratische Union (Cdu).
A questo si aggiungeva che il programma della Cdu si inseriva nella tradizione della dottrina sociale cattolica, che non era affatto ignota ai cattolici impegnati della Ddr.
Inoltre, si è potuto accertare che fin dagli anni Settanta si è verificata nella Ddr un'”ascesa silenziosa” dell’élite cattolica verso posizioni direttive non politiche in ambito accademico, nella sanità e nelle professioni tecniche.
A differenza dei laici attivi durante la svolta, i vescovi si sono espressi e comportati con discrezione in relazione alla politica.
Questo non esclude che, per esempio, il vescovo di Magdeburgo, Braun, già nel settembre 1989, abbia formulato apertamente delle critiche nei confronti del regime della Sed.
Il vescovo Reinelt di Dresda, all’inizio dell’ottobre 1989, ha cercato d’impedire personalmente violenti scontri fra dimostranti e servizi di sicurezza nella piazza della stazione di Dresda; e il 16 ottobre, due giorni dopo l’esautoramento del capo dello Stato della Ddr, Erich Honecker, ha chiamato i cattolici ad impegnarsi nella politica.
Questo appello è stato prontamente raccolto dalle comunità.
Potrebbero essere citati ancora altri esempi.
In ogni caso, si può parlare anche d’una partecipazione dei cattolici alla svolta.
Quando è caduto il Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, alcuni vescovi tedeschi – fra i quali quello di Berlino, Sterzinsky, che aveva assunto la sua carica solo in settembre – si trovavano a Roma per incontrare papa Giovanni Paolo II.
Quando i vescovi, sorpresi dagli eventi, si sono accomiatati dal Papa per affrettarsi a tornare in patria, Giovanni Paolo II li ha congedati con queste parole: “Fate di tutto, per unirvi anche voi, seppure come un piccolo gregge, a tutti gli uomini di buona volontà, in particolare ai cristiani evangelici, per rinnovare la faccia della terra nel vostro Paese nella forza dello Spirito divino”.
Un’eco significativa della famosa predica di Pentecoste pronunciata a Varsavia nel 1979.
A questo punto è opportuno chiedersi se questo è accaduto, se la faccia della terra sia stata effettivamente rinnovata nei nuovi Länder federali.
Ora, sul piano organizzativo la risposta può essere affermativa.
In questo arco di tempo nei nuovi Länder federali sono state create le strutture gerarchiche, e le relazioni fra Stato e Chiesa sono state regolate da concordati.
Dal 1989 sono stati fondati 26 conventi maschili, 24 conventi femminili e numerosi movimenti religiosi – come per esempio Comunione e liberazione, Cursillo de Cristiandad, Mariage Encounter, Emmanuel e altri – hanno intrapreso la loro attività apostolica.
A questo si aggiunge la fondazione di 58 nuove scuole cattoliche.
Tutto ciò conferma anche per la Chiesa nella ex Ddr la validità del motto di Montecassino: Succisa virescit.
Sono ormai trascorsi vent’anni dalla svolta, dalla liberazione della Chiesa nella Germania orientale.
A questo punto, si è tentati di chiedersi se a questo processo sia connessa anche una corrispondente influenza sulla società dei nuovi Länder.
Fino a oggi non è possibile dare una risposta positiva a tale proposito, se si considera l’alta percentuale di voti che ha ottenuto nelle elezioni degli ultimi due decenni il partito succeduto alla Sed, la Pds, legata come in precedenza all’ideologia marxista.
Anche lo schieramento estremista di destra ha un seguito tutt’altro che modesto.
Comunque, oggi, non è ancora il momento per interrogarsi su un’eventuale influenza cristiana sulla società della ex Ddr a seguito della svolta.
Circa cento anni di scristianizzazione di questi Länder – prima a causa del materialismo volgare del tardo Ottocento e poi delle ideologie irreligiose del Novecento – hanno contribuito al sorgere, in questi luoghi, di un clima spirituale e sociale che non è affatto favorevole al diffondersi del messaggio cristiano.
Ma questa situazione non deve assolutamente indurre alla rassegnazione, deve piuttosto essere riconosciuta e raccolta dalla Chiesa in Germania come una sfida.
(©L’Osservatore Romano – 11 novembre 2009)

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