(1) G.
P.
QUAGLINO, S.
CASAGRANDE, A.
CASTELLANO, Gruppi di lavoro.
Lavori di gruppo, Raffaello Cortina Editore, Milano 1992.
(2) G.
CURSIO, No stress.
Strumenti per la prevenzione del burnout degli Idr, SEI, Torino 2007.
(3) KLAUS W.
VOPEL, Manuale per animatori di gruppo , LDC, Leumann ( Torino) 1998.
(4) KLAUS W.
VOPEL, Op.
Cit., p.
162.
2.
I comportamenti di disturbo nei lavori di gruppo: risorsa e resistenza al cambiamento.
Docenti di religione cattolica di varie regioni italiane si incontrano per la prima volta, talvolta senza conoscersi, con bisogni di ordine socio-relazionale e bisogni di compito che spesso per tanti motivi di ordine organizzativo (tempi stretti, relazioni ecc.) non vengono presi in considerazione.
Talvolta gli strumenti di conoscenza di queste preziose informazioni sono poco conosciuti o svalutati in quanto nell’organizzazione dei corsi di formazione si è spesso preoccupati di far apprendere i contributi degli esperti, tenendo conto però solo dell’aspetto contenutistico.
C’è una preoccupazione di formare il docente dal punto di vista dei contenuti che deve insegnare, dimensione rilevante ma non sufficiente per attivare processi di apprendimento.
La programmazione dei tempi formativi è prevalentemente centrata sulle relazioni di contenuto degli esperti e meno sulle importanti dinamiche relazionali che potrebbero mettere i colleghi nella condizione di condividere bisogni socio-relazionali e bisogni di compito (progetti, ipotesi di lavoro ecc).
Che cosa ho potuto notare nella mia esperienza di facilitatore di gruppi di lavoro? Quando vengono poco ascoltati i bisogni socio-relazionali e vengono sopravvalutati i bisogni di compito (programmare, progettare, ipotizzare ecc.) nei gruppi si evidenziano i seguenti fatti: i partecipanti rispondono in maniera apatica impegnandosi al minimo, presentando ai colleghi l’eventuale relazione in maniera formale, con la preoccupazione di eseguire un compito non pensato, condiviso, lavorato insieme; il gruppo si divide in partecipanti che si aspettano qualcosa e da gregari che si sentono frustrati dalla situazione di gruppo; si creano lotte di potere tra partecipanti particolarmente ambiziosi; vengono prese decisioni senza la convinzione di tutti; i conflitti non agiti vengono proiettati sul compito da realizzare; i partecipanti non si sentono sufficientemente informati e tendono ad ottenere informazioni solo attraverso il pettegolezzo.
Questi segnali sono il risultato di uno squilibrio tra i bisogni di compito ed i bisogni psicosociali come fa rilevare l’autore Klaus W.
Vopel.
Secondo l’esperienza e gli studi dell’autore su citato (3) i partecipanti ad un lavoro di gruppo in particolare nella prima fase mettono in atto in forma inconsapevole i seguenti comportamenti: evitare lo svolgimento del compito di gruppo non far mettere in questione l’abituale concetto di sé respingono le richieste sociali proteggono la propria individualità evitano nuovi punti di vista o sentimenti spiacevoli manipolano altre persone portandole indirettamente a soddisfare desideri che non vengono espressi chiaramente.
Caro collega, ascoltare e accogliere sono i due atteggiamenti che a mio parere è importante avere nel primo periodo del lavoro di gruppo.
Non avere fretta di fare notare subito le resistenze che si mettono in atto per evitare il compito di gruppo.
E’ chiaro che questo risulta assai difficile se il gruppo in pochissimo tempo deve presentare dei lavori all’assemblea durante un convegno.
In questo caso ci sono i colleghi di buona volontà che fanno il lavoro di tutti ma non è un lavoro con tutti.
2.1 I segnali di disturbo dei singoli partecipanti quando iniziano a lavorare orientati verso un obiettivo.
Tacere.
I primi minuti sono quelli più complessi da gestire perchè come facilitatori non sappiamo come interpretare il silenzio.
Si tratta di una esperienza abbastanza frustrante che può essere percepita come una critica indiretta all’operato dello stesso facilitatore.
In brevi attimi possono venire proiettati e attivati tanti ricordi ed esperienze passate riattivate dalla figura stessa del facilitatore oppure di qualche partecipante.
Il silenzio dei singoli partecipanti può essere problematico e bloccante per tutte quelle persone che hanno una esperienza di partecipazione attiva nei lavori di gruppo.
Quando è l’intero gruppo che fa silenzio è probabile – e questo è successo in molte mie attività di lavoro – che gli obiettivi del lavoro da svolgere non sono chiari, e non sono chiare le motivazioni.
Talvolta capita che il lavoro che si fa in gruppo non risponde alle domande/aspettative dei partecipanti.
Mi è capitato di lavorare con colleghi che erano stati “mandati” dai propri responsabili dell’ufficio scuola ritrovandosi completamente fuori luogo, disorientati.
Queste persone nel lavoro di gruppo per timore di sbagliare tendono a rimanere per tutto il tempo in silenzio, oppure se sono abituati a parlare tanto, parlano di tutto senza orientarsi con le riflessioni verso la soluzione del problema ed il raggiungimento degli obiettivi del gruppo.
Adesso tocca a te Il silenzio può dunque esprimere aspetti molto diversi della situazione del gruppo e quindi non c’è un “prontuario” che ci dice come gestirlo.
Il facilitatore rispetto a questi eventi, per poter comprendere, dovrà rintracciare le sue domande interne, ripensare ad una esperienza vissuta … Come facilitatore ero preoccupato del silenzio? Qual è stata la mia risposta emotiva? Il gruppo era preoccupato di questo silenzio? Se ci siamo accorti che il partecipante pensava ad altro che cosa abbiamo fatto? Qual è stato il messaggio specifico del silenzio? Quali segnali non verbali nel gruppo commentano il silenzio? Il lavoro che ti invito a fare è importante perché ti consente di prendere contatto con la tua esperienza interna e migliorare il nostro servizio al gruppo nel ruolo di facilitatore.
Dalla mia esperienza questo lavoro di autovalutazione va fatto subito dopo aver lavorato con il gruppo.
Può darsi che in questo momento tu ricordi poco di una esperienza di conduzione del passato.
Il poco che ricordi prova comunque a scriverlo… Parlare troppo “… i partecipanti a gruppi di lavoro e di apprendimento che prendono troppo spesso la parola, spesso non si accorgono che monopolizzano la discussione.
Spesso credono di sapere più degli altri e sopravvalutano le loro capacità.
Altri possono parlare troppo per difendersi e nascondere il loro senso di inferiorità.
Altri vogliono consolidare la loro influenza sul gruppo brillando intellettualmente…” (4) Adesso tocca a te Come ti sentivi di fronte ad un collega che durante un lavoro di gruppo tendeva a parlare troppo? Ritieni per la tua esperienza che “cambiare discorso” rispetto all’obiettivo del gruppo sia un fattore di disturbo? Generalizzare Ci possono essere partecipanti nel gruppo di lavoro che tendono a “generalizzare” invece di raccontare il qui e adesso, parlano in modo impersonale usando spesso il “noi”, si riferiscono a principi teorici generali, mentre parlano ci si rende conto che in realtà non sono in contatto con nessun partecipante… parlano a tutti e non comunicano con nessuno.
Preferiscono cioè parlare al gruppo intero anziché rivolgersi ad un singolo partecipante.
Domandare in continuazione Le domande fatte di continuo possono significare… Adesso tocca a te Come facilitatore quando ti sei trovato di fronte ad un collega che faceva domande di continuo, cosa hai provato? Come hai gestito la situazione? Frequente interpretare Siamo abituati a interpretare il nostro comportamento e quello degli altri, tendiamo a riflettere più che sentire, cerchiamo cause dei nostri comportamenti, talvolta con il troppo pensare aggrediamo il nostro mondo interno che ha bisogno di essere accolto, ascoltato.
Questo richiede attenzione e capacità di fermarsi.
Con il pensiero e un buon libro che abbiamo letto possiamo fare molte analisi, rischiamo in questo modo però di diventare saggi molto noiosi che hanno le risposte per tutti.
Facilitatori senza contratto Coloro che agiscono come se fossero il “secondo io” del facilitatore.
Questi partecipanti al gruppo di lavoro ripetono quello che il facilitatore dice e fa, sono una cassa di risonanza, tendono a dare ordini, delle volte si possono presentare come servitori diligenti che preparano la sala per l’incontro, vanno in giro a chiamare i ritardatari, escono perché hanno una telefonata urgente, vanno a recuperare carta e matita per il lavoro… tutto questo senza che nessuno del gruppo o il facilitatore stesso glielo abbia chiesto.
“Gli incendiari” Sono persone che possono essere dominate da un pensiero magico: per crescere bisogna svelare sempre il conflitto, pretendono che tutti i partecipanti del gruppo svelino subito i loro interessi e limiti, sono persone che spingono all’apertura e pensano che dopo una “urlata” di gruppo le cose andranno meglio.
Il contatto sereno talvolta può essere percepito come maschera, per queste persone la verità sta nel fare conflitto.
Adesso tocca a te… Come facilitatore di gruppo come vivi dentro un conflitto? Quali sono i motivi che di solito generano conflitti? Che cosa pensi dei conflitti? Bisogna evitarli? Clowns di gruppo Disturbano con scherzi fuori posto e di solito il messaggio che mandano è: “non sono convinto del mio valore, quando scherzo gli altri mi prestano attenzione”.
Mancare e tardare I motivi di questo comportamento possono essere molteplici, il facilitatore deve essere attento a formulare determinate ipotesi che poi dovrà verificare con la persona che fa ritardo o non partecipa al lavoro di gruppo.
Queste persone possono esprimere la loro opposizione all’attività di gruppo o nei confronti del facilitatore oppure può essere che l’attività stessa procura paura.
Colloqui “fuori la porta” E’ tipico di quelle persone che mentre un componente del gruppo parla o parla il facilitatore bisbigliano tra di loro, capita di solito che avviene tra due persone ma può avvenire anche con un numero maggiore.
Sono quelle persone che dicono il loro parere sul lavoro fatto o da fare dopo che l’incontro è finito, al momento dei saluti.
Sono i parlatori del retroscena che decidono come comportarsi per il prossimo incontro mentre escono, oppure al bar, oppure aspettando l’autobus oppure in macchina… Per concludere Il clima comunicativo del gruppo comprende anche i momenti di noia e di disturbo, sono tutti stimoli che se adeguatamente rilevati possono consentire al gruppo di evolvere verso il compito.
Fare del disturbo un motivo di apprendimento, utilizzare il segnale della noia per riorientare i lavori, ecco perché è necessario fare una riflessione clinica sul proprio vissuto di facilitatore per ricercare tutte quelle strategie ed errori che abbiamo individuato nel percorso di gruppo.
Riflettere costantemente sulla propria pratica, fare della propria esperienza una buona pratica.
Termino questi appunti di viaggio dicendoti che la prossima volta presenterò alcune delle strategie per gestire i comportamenti di disturbo di cui abbiamo parlato in questo testo.
Sarei felice se tu inviassi alla redazione di questa rivista le tue esperienze circa l’essere facilitatore in gruppo in particolare come tu hai gestito o gestisci i disturbi nella tua esperienza formativa.
Condividere è l’espressione più piena ed umana del nostro essere professionisti dell’educazione.
1.
Appunti per condividere.
Il metodo.
Caro collega, cara collega, come te anche io insegno, meglio cerco di insegnare religione cattolica nelle scuole superiori di secondo grado e nella della mia esperienza di formazione professionale mi sono talvolta trovato in difficoltà quando si trattava di fare i “lavori di gruppo” nei corsi di formazione.
I convegni che ho frequentato prevedevano i cosiddetti laboratori didattici.
Spesso durante questi “lavori di gruppo” intuivo alcuni nodi problematici che segnalavano una difficoltà a lavorare insieme, forse talvolta condizionati da una idea quasi magica e cioè che tutti riteniamo di sapere lavorare in gruppo mentre in realtà creare – costruire un gruppo di lavoro richiede conoscenza di modelli, procedure ben precise e tanta voglia di mettersi in discussione in prima persona.(1) Da vari anni ricerco e sono curioso per trovare modalità di collaborazione e costruire gruppi di lavoro facendo anche esperienza con colleghi che insegnano religione cattolica.
Ritengo che la pratica della collaborazione sia una via che permette di prevenire quel complesso fenomeno dello stress professionale chiamato burnout.(2) Scopo di questi appunti è quello di condividere con te, i miei interrogativi, le mie curiosità, le strade possibili che possono aprirsi per costruire realmente tra noi una comunità di apprendimento.
Tutto quello che succede in un lavoro di gruppo a livello di dinamiche interne è assai difficile conoscerlo; io condividerò con te la mia esperienza di facilitatore dei lavori di gruppo, cercando di documentare quello che vedo, mi affido alla mia sensibilità, alla mia esperienza ai miei studi per condividere con te un possibile punto di vista che, ripeto, è il mio punto di vista.
Che contributo dà la lettura di questi appunti di viaggio al tuo sviluppo professionale? Imparerai a riconoscere il tuo stile naturale di condurre un gruppo.
Conoscerai alcuni dei principali comportamenti di disturbo da parte dei singoli partecipanti al gruppo di lavoro.
Adesso tocca a te.
La parte più importante di questi appunti ritengo sia proprio questa: a te il compito di esplorare la tua esperienza interna rispetto alla conduzione dei gruppi e provare a renderla esplicita, a darle un nome.
È la dimensione più importante.
Se vuoi diventare facilitatore dovrai costantemente esplorare la tua dimensione interna, fare costante autoanalisi rispetto al tuo modo di lavorare in gruppo.
Di pubblicazioni “fai da te” su come si deve gestire un gruppo ne esistono tantissime e sono importanti, ma quello che è più importante per un formatore è ascoltare la propria dimensione interiore rispetto all’esperienza che sta mettendo in atto.
Diventiamo esperti nella misura in cui ascoltiamo quello che succede dentro di noi.
Dovrai avere con te il taccuino di viaggio e provare a rispondere a queste domande, prima di leggere gli appunti che seguono.
Per la tua esperienza quali sono i principali disturbi che ostacolano un gruppo di lavoro, formato da insegnanti di religione, a raggiungere gli obiettivi stabiliti? Quali sono le qualità che ti riconosci in merito alla conduzione dei gruppi?
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