Testimoni del nostro tempo: John Henry Newman

Quando Newman fu elevato alla dignità cardinalizia (1879), scelse come motto le parole cor ad cor loquitur, il cuore parla al cuore.
Tale motto ci presenta la figura di Newman come uomo di dialogo.
In questo contesto può essere opportuno ricordare tre caratteristiche che hanno contraddistinto l’impegno dialogico di Newman.
 La prima caratteristica è la passione per la verità.
Sin dalla sua “prima conversione” (1816) Newman cercò la luce della verità e seguì questa “luce benevola” con grande fedeltà.
Promosse il Movimento di Oxford (1833) per riportare la Chiesa d’Inghilterra alla libertà e alla verità delle origini.
Si convertì al cattolicesimo proprio perché trovò in esso la pienezza della verità (1845).
Nel suo lavoro su Lo sviluppo della dottrina cristiana scrisse:  “Vi è una verità; vi è una sola verità; l’errore religioso è per sua natura immorale; i seguaci dell’errore, a meno che non ne siano consapevoli, sono colpevoli di esserne sostenitori; si deve temere l’errore; la ricerca della verità non deve essere appagamento di curiosità; l’acquisizione della verità non assomiglia in nulla all’eccitazione per una scoperta; il nostro spirito è sottomesso alla verità, non le è, quindi, superiore ed è tenuto non tanto a dissertare su di essa, ma a venerarla (…) Questo è il principio dogmatico, che è principio di forza”.
Newman fu un appassionato ricercatore e veneratore della verità:  nell’impegno personale, nei rapporti con gli altri, nel confronto con le scienze, nella lotta contro la faziosità delle ideologie del suo tempo.
In modo lungimirante presentì il sorgere e il diffondersi di teorie relativistiche, secondo le quali si danno soltanto opinioni diverse, non verità che richiedono un assenso incondizionato.
Newman fu dominato dalla persuasione che la verità esiste, che solo dalla ricerca della verità fluisce il vero dialogo, che solo la verità ci fa autentici e liberi e ci apre la strada verso la realizzazione di noi stessi.
Tale passione per la verità spinse Newman a un costante impegno per la formazione integrale dell’uomo.
Affermò in un sermone:  “Voglio che un intellettuale laico sia religioso e un devoto ecclesiastico sia intellettuale”.
Quando gli fu affidata la responsabilità pastorale per i fedeli di Littlemore, presso Oxford, fece costruire in quel villaggio sia una scuola sia una Chiesa – segno eloquente del suo impegno per la formazione integrale delle persone.
Nel suo saggio su L’idea di Università ribadì che le molteplici dimensioni del sapere formano un tutt’uno e non possono essere separate, frammentate.
L’università ha il compito di offrire una formazione universale, non escludendo dal confronto sereno e aperto nessuna dimensione del sapere.
Per Newman fu evidente che a detta formazione universale appartiene anche quella etico-religiosa, la quale possiede una sua propria razionalità, che va rispettata, difesa e promossa.
Quanto alla formazione dei fedeli laici, che gli stava molto a cuore, Newman scrisse:  “Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nel parlare, non litigioso, ma fatto di uomini che conoscono la loro religione, che vi entrano dentro, che sanno benissimo dove si trovano, che sanno quello che possiedono e quello che non possiedono, che conoscono la propria fede così bene che sono in grado di spiegarla, che ne conoscono la storia tanto a fondo da poterla difendere.
Voglio un laicato intelligente e ben istruito (…) Desidero che allarghiate le vostre conoscenze, coltiviate la ragione, siate in grado di percepire il rapporto fra verità e verità, che impariate a vedere le cose come stanno, come la fede e la ragione si relazionino fra di loro, quali siano i fondamenti e i principi del cattolicesimo (…) Sono sicuro che non diventerete meno cattolici familiarizzandovi con questi argomenti, purché manteniate viva la convinzione che lassù c’è Dio, e ricordiate che avete un’anima che sarà giudicata e dovrà essere salvata”.
Newman si distinse per uno straordinario impegno formativo, valorizzando pienamente lo sviluppo di tutte le scienze e ribadendo nel contempo il ruolo insostituibile che svolgono la fede e la morale per la crescita integrale della persona e per il bene della società.
L’impegno di Newman per la formazione trovò espressione in una terza caratteristica:  la sua premura di stabilire relazioni personali.
Guidando il Movimento di Oxford, ribadì l’importanza della testimonianza personale.
In tutta la sua vita accompagnò molti nel loro cammino umano e spirituale.
Scrisse più di ventimila lettere che costituiscono una prova impressionante del suo zelo per le anime, della sua capacità di dialogare e di relazionarsi con altri.
Uno dei suoi Sermoni all’Università di Oxford si intitola Il contagio personale della verità.
In tale sermone Newman parte dalla constatazione che nessuno può essere conquistato alla causa della verità con le sole argomentazioni razionali.
La verità, così scrive, “è rimasta salda nel mondo non per virtù di un sistema, non grazie a libri o argomentazioni, non per merito del potere temporale, ma grazie all’influenza personale di uomini (…) che ne sono in pari tempo i maestri e i modelli”.
Newman invita tutti a occuparsi della verità sul piano della ricerca intellettuale, ma al tempo stesso sottolinea che influisce di più – sul permanere, sullo svilupparsi e sul comunicarsi della verità – colui che vive la verità e ne diventa un testimone.
Scrisse circa la forza persuasiva di un tale testimone:  “Mentre egli è sconosciuto al mondo, nell’ambito di quanti lo conoscono egli ispirerà ben altri sentimenti che non sia solita destare la mera superiorità intellettuale.
Gli uomini illustri agli occhi del mondo sono molto grandi alla distanza.
Avvicinati, rimpiccioliscono.
Ma l’attrattiva che si sprigiona da una santità ignara di essere tale è di una forza irresistibile; persuade i deboli, i timidi, gli incerti, chi è alla ricerca della verità”.
Non deve meravigliarci, pertanto, che, quando fu onorato con la porpora, Newman scelse, come motto, le parole cor ad cor loquitur.
Secondo lui, la verità viene trasmessa soprattutto cor ad cor:  in modo personale, tramite l’esempio, la fedeltà e l’amore di testimoni convinti e credibili.
Il processo di beatificazione di Newman, iniziato già nel 1958, era ormai prossimo a concludersi nel momento in cui si è celebrato il nostro convegno; a pochi mesi di distanza, in data 3 luglio 2009, Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione delle Cause dei Santi a promulgare il decreto riguardante un miracolo, attribuito proprio all’intercessione del venerabile servo di Dio John Henry Newman.
Fra qualche mese, quindi, verrà proclamato beato.
L’avvenimento conferma e propone alla venerazione di tutta la Chiesa ciò di cui sono da sempre ben consapevoli studiosi e amici di Newman, e quanti si accostano senza pregiudizi alla sua figura e ai suoi scritti:  il noto convertito inglese non fu soltanto un pensatore con doti eccezionali, ma un uomo nel quale la genialità del pensiero faceva tutt’uno con la santità della vita quotidiana.
 Quando egli in tarda età sentì dire che l’avrebbero chiamato santo, scrisse:  “Non sono portato a fare il santo, è brutto dirlo.
I santi non sono letterati, non amano i classici, non scrivono romanzi.
Sono forse, alla mia maniera, abbastanza buono, ma questo non è alto profilo (…) Mi basta lucidare le scarpe ai santi, se san Filippo in cielo avesse bisogno di lucido da scarpe”.
Lungo tutta la sua vita Newman pensò di essere ben lontano dalla perfezione cristiana.
Ma dalla sua “prima conversione” la sua aspirazione fu tutta rivolta a Dio, che aveva riconosciuto come il fulcro della sua vita.
Da allora in poi seguì due principi:  “La crescita è la sola dimostrazione della vita” e “la santità piuttosto che la pace”.
Il genio di Newman, sebbene sempre ammirato e venerato, fu riscoperto dal concilio Vaticano II, di cui è stato un precursore profetico.
Jean Guitton scrisse in proposito nel 1964:  “I grandi geni sono dei profeti sempre pronti a rischiarare i grandi avvenimenti, i quali, a loro volta, gettano sui grandi geni una luce retrospettiva che dona loro un carattere profetico.
E come il rapporto che intercorre tra Isaia e la passione di Cristo, reciprocamente illuminati.
Così Newman rischiara con la sua presenza il Concilio e il Concilio giustifica Newman”.
Il Vaticano II ha recepito e consacrato tante intuizioni di Newman, ad esempio sul rapporto tra fede e ragione, sul significato della coscienza, sull’educazione universitaria, sul valore dei Padri e della storia in generale, sul mistero della Chiesa, sulla missione dei laici, sull’ecumenismo, sul dialogo con il mondo contemporaneo – grandi tematiche che vengono ampiamente trattate nel presente volume.
Nei pronunciamenti del Magistero postconciliare la dottrina di Newman viene continuamente valorizzata.
Basta menzionare alcuni documenti di particolare rilevanza dottrinale in cui si trovano riferimenti espliciti al pensiero di Newman:  le Lettere encicliche Veritatis splendor e Fides et ratio come anche il Catechismo della Chiesa Cattolica, che contiene non meno di quattro testi di Newman (cfr.
nn.
157, 1723, 1778, 2144) – un fatto notevole, perché di solito il Catechismo cita solo autori già canonizzati.
Accanto al suo pensiero forte, gli ultimi Pontefici presentano come esemplare anche la vita di Newman.
Limitiamoci a citare tre testi significativi.
In un discorso del 7 aprile 1975, rivolto ai partecipanti di un simposio accademico Paolo VI disse:  Newman, “che era convinto di essere fedele tutta la sua vita e con tutto il suo cuore votato alla luce della verità, diventa oggi un faro sempre più luminoso per tutti quelli che sono alla ricerca di un preciso orientamento e di una direzione sicura attraverso le incertezze del mondo moderno – un mondo che egli stesso profeticamente aveva preveduto”.
In una lettera del 14 maggio 1979, indirizzata all’arcivescovo di Birmingham in occasione del centenario del cardinalato di Newman, Giovanni Paolo II scrisse:  “L’elevazione di Newman a cardinale, come la sua conversione alla Chiesa cattolica, è un avvenimento che trascende il semplice fatto storico e l’importanza che ciò ha avuto per il suo Paese.
I due eventi hanno inciso profondamente nella vita della Chiesa molto al di là dei confini dell’Inghilterra.
Il significato provvidenziale e l’importanza di questi eventi per la Chiesa in generale sono stati più chiaramente compresi nel corso di questo nostro secolo.
Lo stesso Newman, con visione quasi profetica, era convinto che egli stava lavorando e soffrendo per la difesa e la promozione della causa della religione e della Chiesa non solo nel periodo a lui contemporaneo ma anche per quello futuro.
La sua influenza ispiratrice di grande maestro della fede e di guida spirituale viene percepita sempre più chiaramente proprio nei nostri giorni”.
Il cardinale Joseph Ratzinger, ora Benedetto XVI, disse in una conferenza tenuta nel 1990, parlando del suo incontro con Newman nel seminario di Frisinga:  “La dottrina di Newman sulla coscienza divenne per noi il fondamento di quel personalismo teologico, che ci attrasse tutti con il suo fascino.
La nostra immagine dell’uomo, così come la nostra concezione della Chiesa, furono segnate da questo punto di partenza.
Avevamo sperimentato la pretesa di un partito totalitario, che si concepiva come la pienezza della storia e che negava la coscienza del singolo.
Goering aveva detto del suo capo:  “Io non ho nessuna coscienza.
La mia coscienza è Adolf Hitler”.
L’immensa rovina dell’uomo che ne derivò ci stava davanti agli occhi.
Perciò era un fatto per noi liberante ed essenziale da sapere, che il “noi” della Chiesa non si fondava sull’eliminazione della coscienza, ma poteva svilupparsi solo a partire dalla coscienza.
Tuttavia proprio perché Newman spiegava l’esistenza dell’uomo a partire dalla coscienza, ossia nella relazione tra Dio e l’anima, era anche chiaro che questo personalismo non rappresentava nessun cedimento all’individualismo, e che il legame alla coscienza non significava nessuna concessione all’arbitrarietà”.
Nel famoso Biglietto-Speech, pronunciato in occasione del ricevimento della bolla di nomina a cardinale, Newman, guardando alla sua vita passata, confessò:  “Nel corso di lunghi anni ho fatto molti sbagli.
Non ho nulla dell’alta perfezione che si riscontra negli scritti dei santi, nei quali non ci possono essere errori; ma credo di poter affermare che in tutto ciò che ho scritto ho sempre perseguito nobili intenti, non ho cercato fini personali, ho tenuto una condotta ubbidiente, mi sono dimostrato disponibile a essere corretto, ho temuto l’errore, ho desiderato servire la santa Chiesa e ciò che ho raggiunto lo devo alla misericordia di Dio”.
Queste parole mostrano l’umiltà propria soltanto di un vero uomo di Dio.
Tutta la vita di Newman fu dedicata al servizio della verità e alla lotta contro il liberalismo religioso e morale (da non confondersi con il liberalismo politico), che considerava il più subdolo nemico della fede.
Ebbe uno spiccato senso della vicinanza di Dio, valorizzò pienamente la ragione e le capacità naturali dell’uomo, compì il suo dovere con grande competenza e dedizione, amò la Chiesa e toccò la coscienza e il cuore di tantissime persone di ogni ceto sociale.
Nei suoi ultimi anni condusse una vita di preghiera e di raccoglimento ancora più intensa.
Per la fedeltà alla chiamata di Dio dovette sopportare innumerevoli sofferenze che resero più nobili e più carichi di attrattiva perfino i tratti del suo volto.
Il quotidiano londinese “The Times” pubblicò il giorno seguente la morte di Newman, avvenuta l’11 agosto 1890, un lungo elogio funebre che terminava con le seguenti parole:  “Di una cosa possiamo essere certi, cioè che il ricordo di questa pura e nobile vita durerà e che (…) egli sarà santificato nella memoria della gente pia di molte confessioni in Inghilterra (…) Il santo che è in lui sopravvivrà”.
(©L’Osservatore Romano – 29 ottobre 2009) Il libro Una ragionevole fede raccoglie gli atti del convegno internazionale su John Henry Newman che si è svolto a Milano presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore il 26 e il 27 marzo 2009 (Milano, Vita e Pensiero, 2009, pagine 252, euro 20).
Pubblichiamo quasi per intero la prefazione dei curatori.

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