In questi ultimi giorni ha avuto ampio risalto la proposta estemporanea di alcuni politici di offrire nelle scuole l’insegnamento della religione islamica.
La proposta suscita interrogativi di carattere culturale e giuridico.
Sotto il primo profilo, c’è da chiedersi se l’apertura a un insegnamento dell’Islam debba considerarsi la premessa di ulteriori insegnamenti relativi ad altre religioni, una volta che queste abbiano un sufficiente numero di richiedenti.
Ma soprattutto c’è da chiedersi se sia la scuola la sede di un insegnamento che risponda specificamente a un’appartenenza di fede dell’alunno e della sua famiglia, o se la scuola non debba piuttosto curare la formazione globale dell’alunno a prescindere dalle sue personali scelte di fede e fornendogli strumenti utili per compiere o sostenere quelle libere scelte.
In altre parole, una lottizzazione dell’insegnamento religioso significherebbe che esso si andrebbe a configurare essenzialmente come catechesi, cioè una sorta di luogo franco assegnato alle diverse confessioni religiose per svolgervi proprie attività educative (ivi incluse, a questo punto, pratiche di culto).
La paradossalità di un simile esito condurrebbe logicamente e rapidamente all’estromissione di qualsiasi insegnamento del genere dalla scuola, rivelando così il vero scopo della proposta, cioè quello di espellere dalla scuola l’unico insegnamento religioso oggi presente, colpevole di operare in regime di monopolio e quindi in contrasto con il doveroso pluralismo di una scuola laica.
Ma così facendo si dimenticherebbero le motivazioni concordatarie che sono alla base dell’Irc e che ne fanno qualcosa di sostanzialmente diverso dalla catechesi (non è rivolto ai soli cattolici, né vuole essere una forma di proselitismo), caratterizzato da un’impostazione culturale che cerca soprattutto di fornire strumenti per la comprensione della storia e della realtà italiana, di fatto profondamente segnata dal confronto con il cattolicesimo.
Sotto il secondo profilo, quello giuridico, la proposta si presenta come ingiustificata, dato che un insegnamento della fede islamica è già possibile nella legislazione vigente, che comprende ancora il RD 28-2-1930, n.
289, attuativo della legge 24-6-1929, n.
1159, cosiddetta sui “culti ammessi”.
È una legge che da diverse legislature si cerca di sostituire con una più aggiornata normativa sulla libertà religiosa, ma finora non si è avuto alcun risultato.
Ovviamente, non c’entra nulla la legislazione concordataria, che regolamenta solo l’Irc, né le altre Intese con le confessioni non cattoliche, tra le quali non figura alcun accordo con rappresentanti della religione islamica.
Il RD 289/1930, nella parte tuttora vigente, testualmente recita: «Quando il numero degli scolari lo giustifichi e quando per fondati motivi non possa esservi adibito il tempio, i padri di famiglia professanti un culto diverso dalla religione dello Stato possono ottenere che sia messo a loro disposizione qualche locale scolastico per l’insegnamento religioso dei loro figli: la domanda è diretta al provveditore agli studi il quale, udito il consiglio scolastico, può provvedere direttamente in senso favorevole.
In caso diverso e sempre quando creda, ne riferisce al Ministero della Pubblica Istruzione, che decide di concerto con quello dell’Interno.
Nel provvedimento di concessione dei locali si devono determinare i giorni e le ore nei quali l’insegnamento deve essere impartito e le opportune cautele».
La norma deve essere necessariamente adeguata al quadro normativo attuale, ma conserva valore in relazione ai principi e alle azioni conseguenti.
In particolare, non essendo più in vigore il principio della religione di Stato, le disposizioni devono intendersi applicabili – alle condizioni ivi previste – nei confronti di qualsiasi culto.
In secondo luogo, la domanda non può più essere indirizzata al Provveditore agli Studi ma al Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale per il tramite del dirigente scolastico della scuola interessata (ma la presenza di un dirigente all’interno della singola istituzione scolastica potrebbe oggi far attribuire a lui stesso la responsabilità di decidere in merito, una volta ascoltato il Consiglio di Circolo o di Istituto e alle condizioni sopra elencate).
Il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale consulterà invece il Consiglio scolastico provinciale e quindi disporrà in merito, qualora la risposta sia favorevole.
Ove non ricorrano le condizioni per l’accoglimento della richiesta, può essere investito del problema il Ministero dell’Istruzione che deciderà di concerto con quello dell’Interno.
Pertanto, qualora un alunno (o un genitore) chieda di poter frequentare lezioni di Islam (o di qualsiasi altra religione), la procedura da seguire può essere la seguente: 1. l’istanza deve essere presentata in forma scritta al dirigente della scuola, non necessariamente all’inizio dell’anno scolastico ma anche nel momento in cui si venga a creare l’esigenza; 2. l’oggetto della richiesta riguarda esclusivamente la messa a disposizione di un locale scolastico per consentire l’insegnamento religioso agli alunni della medesima scuola; 3. la possibilità di avere a disposizione detto locale discende dalla condizione – che deve essere puntualmente accertata dal dirigente scolastico o comunque dall’autorità scolastica che formulerà la risposta definitiva – che l’esigenza di istruzione religiosa non possa essere soddisfatta, per fondati motivi, negli appositi luoghi destinati sul territorio al culto in questione; 4. l’istanza deve essere inoltrata per competenza dal dirigente scolastico al Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale; 5. il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale deve acquisire il parere del Consiglio scolastico provinciale e quindi provvedere in senso favorevole; 6. in caso contrario, il Direttore Generale dell’Ufficio scolastico regionale deve rinviare l’istanza al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (Dipartimento per l’Istruzione), che deciderà di concerto con quello dell’Interno (Direzione Generale degli affari di culto); 7. ove vengano concessi i locali richiesti, la scuola o l’Ufficio che autorizza la concessione, sentita la scuola stessa, deve fissare i giorni e le ore in cui può essere impartito l’insegnamento; 8. devono inoltre essere stabiliti i necessari contatti con l’autorità religiosa competente per ricevere notizia circa le persone che impartirebbero tale insegnamento; 9. stante la norma richiamata, che giustifica l’accoglimento della richiesta in relazione al «numero degli scolari», l’istanza può essere accolta solo qualora i fruitori dell’istruzione siano in numero tale – comunque superiore a uno – da giustificare l’impegno organizzativo della scuola; 10. è infine da ritenere che l’eventuale soddisfazione della richiesta non debba porre oneri a carico della scuola o dell’amministrazione pubblica, né in relazione al prolungamento dell’orario di apertura della scuola, né in relazione a ulteriori compensi da corrispondere per detta istruzione.
Alla luce di questa ricostruzione normativa, risulta perciò evidente la finalità eminentemente propagandistica della proposta di un’ora di Islam, volta più a mettere in discussione l’Irc che a risolvere concretamente un problema la cui soluzione sarebbe già a portata di mano.
Ovviamente, ci si augura che non si debba ancora far riferimento a leggi che affondano le proprie radici in un regime politico e istituzionale che non ci appartiene più, ma ciò accade anche per l’Irc (per esempio in tema di valutazione).
Sarebbe quindi il caso di affrontare l’eventuale problema tenendo presente l’intero quadro giuridico sussistente (dalla Costituzione al Concordato), cercando di conservare alla scuola le sue finalità culturali ed educative, senza attribuirgliene altre che potrebbero solo snaturarla.
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