Insegnare religione islamica a scuola

Frattini: serve un concordato con l’islam Prima l’intesa tra Stato e Islam, poi l’ora di Corano nelle scuole».
A una settimana dalla proposta con cui la fondazione «FareFuturo» ha spaccato tra «pro» e «contro» il mondo politico e la Chiesa, il ministro degli Esteri, Franco Frattini fissa le condizioni per arrivare alle lezioni di religione musulmana negli istituti pubblici.
Qual è la sua proposta per l’ora d’Islam? «L’integrazione degli immigrati richiede solidarietà e legalità, senza prescindere dalla nostra identità e storia.
Servono regole e principi per diventare un buon italiano, prima che un buon musulmano.
E’ fondamentale che si costituisca un Islam italiano prima di portare il Corano nell’istruzione pubblica, altrimenti l’ora d’Islam diventa davvero una corsia privilegiata, una scorciatoia come dice Bagnasco.
E’ funzione della scuola dare un inquadramento ai figli di immigrati nati in Italia, fare di loro buoni cittadini nel corso degli studi.
A questo punto i ragazzi hanno diritto ad approfondire le radici musulmane della loro famiglia.
Quindi è la formazione scolastica nel suo insieme ad essere un antidoto alla radicalizzazione dell’Islam.
Ma prima di dire sì al Corano in classe serve capire chi lo insegnerà».
Prevede un albo dei docenti di Corano? «Con la Chiesa l’ordinamento lo prevede già.
In base al concordato il sacerdote che insegna religione a scuola deve essere autorizzato dall’autorità ecclesiastica.
Solo così siamo garantiti che vengono rispettate le regole, cioè che agli studenti arrivino messaggi accettati dall’accordo con la Chiesa.
Per introdurre l’ora di religione islamica, abbiamo bisogno della stessa garanzia dall’Islam, perciò prima serve un accordo con la confessione islamica analogo a quello che lo Stato ha con il Vaticano.
Senza ciò non possiamo distinguere tra i predicatori di una dottrina ortodossa rigida e i fautori di un Islam dialogante, favorevole all’integrazione, all’uguaglianza di diritti e alla moderazione.
Perciò partiamo dall’educazione italiana per arrivare a quella musulmana».
In una cornice giuridica certa, l’ora d’Islam può servire all’integrazione? «In Italia la Costituzione assicura libertà di religione.
Il punto qui è la cittadinanza, Se un figlio di extracomunitari nato in Italia è maturo per essere un buon cittadino italiano, non gli si può precludere di voler approfondire la propria fede islamica.
L’educazione alla cittadinanza italiana precede quella alla religione musulmana.
L’ora d’Islam proposta da Fini, Urso e altri va accolta come un’accelerazione all’intesa con l’Islam che è ferma da vent’anni.
A Palazzo Chigi ci sta provando la commissione per i culti acattolici.
Per essere riconosciuti in Italia come portatori di un messaggio che può essere insegnato i musulmani devono sottostare ai principi generali del nostro ordinamento che, per esempio, vieta la dottrina wahaabita sulla sottomissione della donna e la possibilità per l’uomo di avere quattro mogli.
Ma le organizzazioni islamiche presenti in Italia non si riconoscono a vicenda la legittimazione a rappresentare il senso giusto, corretto della religione musulmana».
Perché con la Chiesa c’è un’intesa e con l’Islam no? «I cattolici hanno un Papa e una gerarchia che stabilisce l’esatta interpretazione della dottrina, nell’Islam ogni predicatore può stabilire quale sia l’autentico modo di applicare il Corano senza che nessuno abbia la forza gerarchica per smentirlo.
Oggi lo Stato non ha il potere di attribuire una legittimazione esclusiva per differenziare gli estremisti della moschea di viale Jenner a Milano dal riformismo europeo e tollerante dell’imam di Roma.
Non è solo un ostacolo burocratico e istituzionale ma politico.
A causa della struttura della predicazione islamica manca ancora l’intesa con lo Stato.
Quando ci sarà, sarà fissata la linea».
E nel frattempo? «Il modello da seguire è il Concordato firmato da Craxi con la Santa Sede un quarto di secolo fa.
Formare un buon musulmano è una questione religiosa, noi vogliamo arrivare alla cittadinanza.
Il governo è contrario a visioni esagerate che negano questa possibilità.
Un buon italiano può essere cristiano, ebreo o musulmano, però deve condividere i valori e i principi dell’ordinamento nazionale.
L’istruzione è la chiave per centrare questo obiettivo.
Chi nasce in Italia da genitori marocchini o filippini diventa italiano attraverso il percorso di educazione negli istituti italiani, studiando la lingua, l’educazione civica».
intervista a Franco Frattini, a cura di Giacomo Galeazzi in “La Stampa” del 26 ottobre 2009  Ad una settimana dalla proposta dell’ora di religione islamica fatta dal viceministro di An Adolfo Urso e appoggiata dal presidente della Camera Gianfranco Fini, il ministro degli Esteri Franco Frattini, in un’intervista a ”La Stampa”, rilancia, spiegando così la propria proposta: in base al concordato con la Chiesa, spiega, il sacerdote che insegna religione ”deve essere autorizzato dall’autorità ecclesiastica.
Solo così siamo garantiti che si rispettino le regole”.
Per introdurre l’ora di religione islamica, il titolare degli esteri dichiara che occorre la “garanzia dall’Islam” e “perciò prima serve un accordo con la confessione islamica analogo a quello che lo stato ha con il Vaticano”.
La proposta di Fini e Urso, per Frattini, va dunque accolta come ”un’accelerazione all’intesa con l’Islam che è ferma da vent’anni.
A palazzo Chigi ci sta provando la commissione per i culti acattolici”.
Ma non è semplice: ”Per essere riconosciuti in Italia come portatori di un messaggio che può essere insegnato – spiega il ministro – i musulmani devono sottostare ai principi generali del nostro ordinamento” che vieta, per esempio, la sottomissione della donna e la possibilità per l’uomo di avere quattro mogli.
Ma le organizzazioni islamiche in Italia ”non si riconoscono a vicenda la legittimazione a rappresentare il senso giusto” e nell’Islam ”ogni predicatore può’stabilire quale sia l’autentico modo di applicare il corano”, a differenza dei cattolici che ”hanno un papa e una gerarchia che stabilisce l’esatta interpretazione della dottrina”.
Il modello più adatto, per Frattini, sarebbe ”il concordato firmato da Craxi con la santa sede un quarto di secolo fa”, ma “a causa della struttura della predicazione islamica, manca ancora l’intesa con lo stato”.
Andrebbe inoltre osservato, a giudizio di Tuttoscuola, che i costi di un’operazione di questo genere sarebbero assai elevati, così come le difficoltà organizzative: gli studenti di religione musulmana nelle nostre scuole sono relativamente pochi (il 2,5%), ma se tutti chiedessero di avvalersi dell’ora di religione islamica…
 L’Ucoii, Unione delle Comunità islamiche in Italia, concorda con la proposta del ministro Frattini di pervenire ad una intesa tra Stato italiano ed Islam per poi considerare l’ora di religione coranica  nelle scuole italiane.
Il portavoce dell’Unione delle Comunità islamiche in Italia, Ezzedin Elzir, ha dichiarato che l’Ucoii è pronta a stipulare anche da sola un’intesa con lo Stato italiano.
“Credo che l’intesa si debba fare – osserva Elzir – con la parte della comunità che la chiede.
Noi cerchiamo con tutta le forze di avere una rappresentanza unica, ma se ciò non avviene non possiamo lasciare la nostra comunità ad aspettare”.
Il portavoce dell’Ucoii si è detto d’accordo con il ministro Frattini anche sulla necessità che la scuola insegni in primo luogo ad essere dei buoni cittadini italiani, e che vi sia un albo di insegnanti concordato con lo Stato.
Quanto alla distinzione fatta dal ministro, tra “gli estremisti della moschea di viale Jenner a Milano” e “il riformismo europeo e tollerante dell’imam di Roma” il portavoce dell’Ucooi, che è anche imam a Firenze, ha precisato che, da parte sua,  il compito è “portare un messaggio e non giudicare”.
 Per il mondo musulmano l’appartenenza religiosa viene prima dell’appartenenza nazionale.
Naturalmente, bisogna dire che vi sono più modi di praticare l’islam, si può essere più liberali e tolleranti  come può succedere in Italia.
Ma costoro sono al corrente della diversità delle norme e delle usanze del nostro  Paese, rispetto a quelle islamiche? Non credo proprio.
Difatti, non è stato ancora stilata alcuna Intesa tra lo Stato italiano e le comunità islamiche circa il rispetto delle nostre leggi e della nostra Costituzione.
Un esempio: quante coppie musulmane si sono sposate civilmente e- di conseguenza- si impegnano a rispettare il dettato costituzionale? Benché costituiscano il secondo gruppo religioso in Italia per numero, le comunità islamiche non dispongono ancora di un accordo giuridico con lo Stato.
In assenza di tale accordo, l’esercizio dei loro diritti religiosi é di fatto limitato.
La creazione di nuove moschee e istituzioni scolastiche e l’osservanza di feste religiose e altri riti si scontrano con notevoli difficoltà.
Inoltre, la stragrande maggioranza dei musulmani che vive in Italia non ha la cittadinanza e, quindi, non partecipa alla vita politica del paese.
Così i rapporti con l’Islam da un punto di vista giuridico è operazione non agevole, data la diversità dei sistemi giuridici, tra di loro difficilmente comparabili, e perché il mondo arabo prescinde da qualsiasi riferimento al diritto romano o ai diritti confessionali come quello canonico.
Inoltre, l’Italia da sempre persegue la strada dell’interculturalità, che prevede la contaminazione delle diverse culture, tenendo come punto fermo la Costituzione.
Il  fatto che il nostro stato ha subìto negli ultimi anni un possente flusso migratorio proveniente da paesi a prevalenza islamica, tanto che la comunità musulmana è diventata la seconda comunità religiosa, dopo quella cattolica, presente nel nostro Paese, induce alcuni politici a proporre un’ ora di religione islamica a scuola di ogni ordine e grado.
Ma secondo  chi?.
La maggioranza di questa comunità si riconosce in tre associazioni islamiche: l’Associazione Musulmani Italiani (A.M.I.), la Comunità Religiosa Islamica (CO.RE.IS.) e l’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche Italiane (U.C.O.I.I.).
Ciascuna di queste ha, separatamente, presentato al Governo italiano una propria bozza d’intesa, allo scopo di ottenere il riconoscimento dell’esistenza della comunità islamica nel nostro Paese e quindi di regolare alcuni aspetti della vita che sono strettamente collegati alla religione.
Le richieste delle tre Associazioni, si concentrano particolarmente sul tema della famiglia, del lavoro e dell’istruzione.
Da tenere ben presente che i musulmani provengono da una moltitudine di paesi diversi, e quindi ciascun gruppo nazionale riproduce le divisioni esistenti in patria intersecandole con quelle degli altri gruppi.
Il panorama risulta quindi molto variegato, e nessuna istituzione islamica o federazione associativa può presentarsi per ora come rappresentante dei musulmani all’interno di uno stato, perché non è in grado di raccogliere i consensi di tutti i gruppi, e in mancanza di questo la sua rappresentatività è sempre contestabile da altri.
L’immigrazione in Italia è infatti ancora troppo recente, e la maggior parte degli immigrati è alle prese con problemi più concreti di natura economica e familiare.
D’altra parte la maggior parte dei musulmani non conosce il contesto italiano, quale rapporto intende stabilire con esso, le modalità con cui sintetizzare la propria appartenenza all’islam con l’adesione ai valori fondamentali della società italiana.
La stessa scarsa frequenza alle moschee dimostra che gli stessi organismi islamici esistenti non rappresentano la maggioranza della popolazione.
La distanza che si manifesta tra gli enti dell’associazionismo islamico e la maggioranza della popolazione musulmana residente in Italia, è un dato di fatto da considerare, nella prospettiva d’iniziative sul piano politico.
Probabilmente la via migliore da seguire non è quella di legittimare istituzionalmente organismi la cui rappresentatività reale è dubbia – magari stipulando un’intesa prematura tra lo Stato italiano e una “confessione musulmana” rappresentata da enti scarsamente rappresentativi – , ma lasciare spazio e tempo al confronto e al dibattito all’interno delle varie correnti e organismi musulmani e nel più vasto ambito della popolazione musulmana di origine immigrata, perché possa emergere gradualmente una rappresentanza reale, che esprima realisticamente le esigenze dei musulmani nel contesto italiano.
Prima di giungere a un’Intesa, di per sé difficilmente modificabile una volta stipulata, sembra indispensabile un maggiore radicamento dei musulmani in Italia, tenendo conto che il diritto comune italiano garantisce già, indipendentemente da qualsiasi Intesa, la libertà di religione, di espressione, di associazione per i musulmani come per gli altri residenti e cittadini.
Precorrere i tempi significherebbe non consentire che emergano tutti gli interlocutori musulmani con i loro tratti specifici e che neppure vengano espresse in modo compiuto le esigenze religiose sentite dalla base.
D’altra parte sarebbe come minimo imprudente non valutare i rischi di interlocutori legittimi per lo stato italiano che potrebbero favorire un’evoluzione dell’islam italiano in senso conflittuale rispetto ai valori fondamentali della società e della cultura italiana ed europea.
I nostri politici in cerca di sensazionalismo, si informassero meglio su che cosa è “islam” e si occupassero più seriamente dei veri problemi della scuola.
Di: Maria de falco Marotta

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