..
LECTIO – ANNO B Prima lettura: Sapienza 7,7-11 Pregai e mi fu elargita la prudenza, implorai e venne in me lo spirito di sapienza.
La preferii a scettri e a troni, stimai un nulla la ricchezza al suo confronto, non la paragonai neppure a una gemma inestimabile, perché tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento.
L’ho amata più della salute e della bellezza, ho preferito avere lei piuttosto che la luce, perché lo splendore che viene da lei non tramonta.
Insieme a lei mi sono venuti tutti i beni; nelle sue mani è una ricchezza incalcolabile.
Il brano appartiene alla seconda parte del libro della Sapienza, là dove viene presentato Salomone, il saggio per antonomasia e la sua ricerca per la sapienza.
Dopo una prima parte che metteva in luce la piccolezza di Salomone (cf.
7,1-6), il nostro brano mette in luce il valore della sapienza.
L’idea madre sta qui: la sapienza è superiore a tutte le ricchezze.
— Il v.
7 da l’intonazione perché qualifica la sapienza come dono di Dio, un bene che si chiede a Lui.
Si tratta quindi di una realtà qualitativamente diversa da tutte quelle che l’uomo può acquisire da sé.
— I vv.
8-10 fanno l’inventario dei beni solitamente ricercati: potere (v.
8), ricchezza (v.
9), salute e bellezza (v.
10).
Viene utilizzata la tecnica del contrasto e della sproporzione: non è neppure ipotizzabile un raffronto tra questi beni e la sapienza, tanto questa li supe-ra di gran lunga.
— Il v.
11 recupera tutti i beni, come corredo della sapienza.
Quindi, sembra suggerire l’autore, non viene snobbato nulla di quanto l’uomo incontra sulla terra.
L’implicita raccomandazione – sull’esempio di Salomone che sceglie e preferisce la sa-pienza – è di ricercare i beni del cielo (tale è appunto la sapienza), sapendo che «tutte que-ste cose vi saranno date in aggiunta» (Mt 7,33).
Seconda lettura: Ebrei 4,12-13 La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
Non vi è creatura che possa nascondersi davanti a Dio, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi di colui al quale noi dobbiamo rendere conto.
Tra le ricchezze che il cristiano deve ricercare e possedere, va senz’altro annoverata la Parola di Dio.
Il testo è un minuscolo ma prezioso trattato sul suo valore.
La Parola di Dio, presentata sotto la metafora della spada (cf.
Ef 6,17; Ap 1,16), è detta viva (in greco posto enfaticamente all’inizio), forse perché compie azioni importanti, vitali.
È attribuita alla Parola una specie di personificazione (cf.
Is 55,10ss.), che si manifesta anche nella caratteristica dell’essere efficace e tagliente.
Ad esso viene attribuito un potere di discernimento che spesso la coscienza non possiede, perché intrappolata nei meandri di false rappresentazioni.
La Parola di Dio svolge quindi la preziosa funzione di indagare, illuminare, orientare.
Una vera bussola che il Signore pone sul cammino del credente e della comunità, per rendere più sicuro il suo cammino.
Dono di Dio, è una ricchezza offerta agli uomini.
Vangelo: Marco 10,17-30 [In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?».
Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.
Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza».
Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!».
Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!».
I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?».
Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».] Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».
Esegesi La professione di fede di Pietro divide in due parti il Vangelo secondo Marco: se prima Gesù era impegnato ad annunciare la Buona Novella a tutti, ora, senza rinunciare ad istru-ire la folla, coagula il suo interesse sul gruppo dei Dodici che ha fatto l’opzione per Lui.
Troviamo materiale eterogeneo quanto a genere letterario, perché composto da un rac-conto di vocazione, da un ammonimento e da una risposta all’implicita richiesta di Pietro; però comune è la tematica, quella della ricchezza, una specie di filo conduttore che rinsal-da le diverse parti.
In dettaglio: — Gesù incontra un ricco e lo chiama alla sua sequela, vv.
17-22; il racconto è animato dal movimento iniziale di correre incontro a Gesù in contrasto con quello finale di allonta-namento; il primo movimento sottintende una gioia della ricerca, il secondo è accompa-gnato da tristezza.
— Colloquio di Gesù con i discepoli sulla ricchezza come ostacolo per l’ingresso nel re-gno dei cieli; la difficoltà viene superata dalla potenza divina, vv.
23-27.
— Problema di Pietro circa la ricompensa alla sequela e la conseguente risposta di Gesù; esiste una ricompensa immediata e una futura, vv.
28-31.
L’insegnamento rimbalza dai discepoli a tutti gli uomini che vogliono mettersi alla se-quela di Cristo; esso porta luce e orientamento e, per il cristiano, diventa norma di vita.
Notiamo un inizio elettrizzante di uno che corre incontro a Gesù: si presagisce qualcosa di interessante.
Al movimento spaziale l’evangelista Matteo aggiunge anche un movimen-to temporale: secondo lui si tratta di un giovane: per Marco è chiaramente un adulto per-ché dirà «fin dalla mia giovinezza».
Oltre alla corsa, il mettersi in ginocchio davanti a Gesù, denota la stima verso il maestro di Nazaret.
C’è grande aspettativa.
— «Maestro buono…
Nessuno è buono, se non Dio solo».
L’appellativo, di uso raro e insolito, sembra rifiutato da Gesù.
In realtà, egli aiuta a capire dove sta la vera e unica sorgente della bontà, alla quale tutti devono attingere: il Padre; ce lo rammenta sempre la liturgia: «Padre santo, fonte di ogni santità…» (Prece eucaristica II).
Chi ricerca la vita eterna, deve orientarsi verso quel Dio che ha espresso la sua volontà di santità nel decalogo.
— «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare…».
Gesù cita la quintessenza dell’al-leanza al Sinai: si allinea con la migliore tradizione biblica di cui afferma l’autenticità e di cui conferma la continuità.
La proposta della ‘seconda tavola’, quella che contiene i doveri verso il prossimo, dimostra che qui si gioca la veridicità dell’amore a Dio.
— La risposta piace ma non propone nulla di nuovo: «Maestro, tutte queste cose le ho os-servate fin dalla mia giovinezza».
L’uomo che sta davanti a Gesù sente il bisogno di qualcosa che vada oltre; a lui il merito di aver intuito che Gesù può indicare quel qualcosa.
— Il salto di qualità arriva negli atteggiamenti e nei sentimenti prima ancora che nelle parole.
L’evangelista Marco ha regalato all’umanità il particolare stupendo dello sguardo e dei sentimenti di Gesù: «fissò lo sguardo su di lui, lo amò».
È un dettaglio di toccante tenerez-za, esclusivo del secondo vangelo.
La forza di quello sguardo e la carica di quell’amore spingono ad accogliere il novum che l’uomo aveva vagamente percepito in Gesù e che ora si sente proporre: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un te-soro in cielo; e vieni! Seguimi!».
— Tutto gravita attorno a due poli che bilanciano la risposta: «Va’, vendi» e «Vieni! Se-guimi!».
Sono due coppie di imperativi che vivono un drammatico contrasto: movimento di allontanamento il primo, di avvicinamento il secondo.
L’originalità sta nel prospettare la povertà evangelica e la sequela di Cristo, l’una come condizione dell’altra: «Il vero modo di tesorizzare presso Dio è quello di dare.
Uno non ha quanto ha accumulato, bensì quanto ha donato» (S.
Fausti).
In ogni caso ci si deve allontanare da qualcosa per incamminarsi dietro a Qualcuno.
Idee e progetti che prima si realizzavano in proprio, ora si realizzano in società, meglio, in comunione.
— Gesù chiama quell’uomo a diventare suo discepolo; gli propone l’ideale suggestivo e arduo della sequela.
Scrive Kirkegaard: «Diventare discepolo consiste nell’essere intima-mente coinvolto in un drammatico e salutare confronto di contemporaneità con Cristo, in-vece di mantenersi nello stato di ammiratore disimpegnato».
La vocazione a seguire Gesù esige un legame con la sua persona, perché Gesù non promette altro che se stesso e una rottura con il presente.
Al di fuori di questa comunione saranno solo idee e progetti avventizi e sterili, destinati a vita breve e senza seguito.
Il Cristo non chiede di essere sradicati o isolati, propone invece il legame e la comunione con Lui.
Praticamente Gesù dice al ricco: «Seguimi!».
Lui e Lui solo è la meta dei comandamenti, la loro pienezza Gesù riprende la domanda del suo interlocutore che voleva qualcosa di più.
La risposta è Gesù stesso: è Lui che fa la differenza con la risposta tradizionale, pur valida, ma insufficiente.
— Quell’uomo ha paura dell’ignoto e preferisce l’ancoraggio al presente; perde il suo entusiasmo iniziale, smorzandosi in una tristezza che lo incupisce e lo allontana.
La con-clusione dell’episodio è quanto mai laconica: «Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni».
Con il «se ne andò rattristato» si registra prima la tristezza che si e dipinta sul volto, all’esterno, seguita dalla motivazione «a queste parole»; si dà poi l’analisi psicologica dello stato d’animo con quel «scuro in volto» seguito dalla seconda motivazione «possedeva infatti molti beni».
La tristezza esteriore è più immediata ed è causata dalle parole di Gesù ha valore più transitorio.
L’afflizione invece pesca nel profondo, intacca tutta l’esistenza e proviene dalla ricchezza alla quale l’uomo è schiavisticamente legato.
Dalla corsa iniziale all’allontanamento finale: qui sta la miserevole vicenda di chi si ar-ricchisce davanti agli uomini e non davanti a Dio.
— Sussiste per tutti il pericolo della ricchezza (vv.
23-27).
L’accaduto diventa occasione per un salutare monito a tutta la comunità ecclesiale.
Le parole di Gesù «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!» ghiacciano l’uditorio e gettano nella costernazione i discepoli.
Va ricordato che i discepoli erano cresciuti alla teologia dell’Antico Testamento che considerava la prosperità materiale come il sacramento della benedizione divina.
Non si sa fin dove la predicazione profetica e la teologia dei salmi fossero riuscite a intaccare lo zoccolo duro dell’opinione popolare, del resto ampiamente accolta e propagandata dalla classe dei sadducei.
Di fatto coesistevano l’ideale dei poveri di JHWH che ponevano la loro fiducia esclusivamente in Dio e la prassi dei ricchi che si ritenevano depositari della benevolenza divina perché potevano disporre di beni materiali.
A Gesù spetta il non facile compito di ribaltare un pensiero comune e di profilarne un altro.
Quasi incurante dello shock provocato, rincara la dose: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!».
Gesù non fa sconti.
Secondo lo stile orientale, l’idea viene sostenuta da un paragone: « È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio».
È una iperbole cioè una voluta esagerazione per far capire il messaggio (fallaci i tentativi di trasformare kamelos ‘cammello’ in kamilos ‘gomena corda di nave’, oppure di pensare ad una porticina delle mura di Gerusalemme denominata ‘cruna dell’ago’).
Davanti ad una reale e consistente difficoltà, la soluzione viene dal Signore: «tutto è possibile presso Dio»; la frase, presa da Gn 18,14 (Sara e Abramo) ricorda il potere di Dio.
— Se quell’uomo ha fallito, i discepoli hanno lasciato tutto e seguito il Maestro, implicitamente viene chiesto che cosa toccherà loro (cf vv.
28-31).
La risposta di Gesù è inaspettata e, come sempre, profonda: viene promessa una ricompensa futura, definitiva e una immediata, provvisoria.
La prima è la «vita eterna», quella vita che il ricco aveva ricercato ma pure rifiutato, quella nella quale è impossibile entrare se si è ricchi.
Quella provvisoria sta nel fatto che i discepoli di Cristo, rinunciando alla casa, alla famiglia e alla proprietà, ritrovano una nuova famiglia ed una casa nella comunità cristiana.
Il pensiero è ben illustrato da Mc 3,34-35 dove Gesù aiuta a superare i legami familiari giuridici per ritrovare i legami della fede.
Meditazione La sezione centrale del vangelo di Marco (i capitoli 8-10) presenta un tema dominante, quello della sequela, plasticamente raffigurato dalla via che sale a Gerusalemme percorsa da Gesù con i suoi discepoli.
Su questa strada avviene un incontro: un uomo ricco si avvi-cina a Gesù e lo interroga.
E proprio attraverso il dialogo che si intesse tra quest’uomo e Gesù, attraverso la desolante conclusione a cui giunge il cammino di ricerca di quel ricco, attraverso le reazioni dei discepoli, spettatori attoniti di questo episodio, Marco ci offre alcune sfumature che caratterizzano le esigenze della sequela: le condizioni per «avere in eredità la vita eterna» (10,17); la scoperta di quel ‘Maestro buono’ che può insegnare e fare dono della vita; la scelta di seguire questo maestro e le condizioni per essere suo discepolo; il discernimento sui beni terreni e il rapporto tra ricchezza e sequela.
E certamente quest’ultimo aspetto sembra catturare l’attenzione di quell’uomo ricco che, con tanto entusiasmo, era corso da Gesù ponendogli quell’interrogativo esistenziale, l’interrogativo sulla vita vera, la vita ‘senza fine’.
A partire da questa domanda rivolta a quel ‘Maestro buono’ (cfr.
10,17-18) e dalle successive risposte, l’uomo ricco è posto di fronte ad alcune scelte: dove sta la vera vita? I beni terreni possono assicurare la vita? Scegliere la vita o scegliere i beni? Possedere ricchezze o lasciarle per seguire quel ‘Maestro buono’? È dunque necessario un discernimento e questo deve illuminare il rapporto con le ricchezze materiali e la loro relazione con ciò che veramente può dare valore a una esistenza.
In sé la ricchezza non è un male; anzi, nel linguaggio biblico, è segno di benedizione di Dio.
Ma resta pur sempre una realtà ambigua, soprattutto quando cattura il cuore dell’uomo, rendendolo estraneo a Dio, in quanto crea una sorta di dimenticanza nei suoi riguardi e provoca attorno a sé ingiustizia sociale e avidità (si pensi alle parabole del ricco stolto e del ricco gaudente in Lc 12,13.21 e 16,19-31).
Soprattutto di fronte alla vita elargita da Dio, ogni ricchezza materiale assume un valore diverso.
Come suggerisce il testo del libro della Sapienza (prima lettura), una vita illuminata dalla saggezza che viene da Dio non può essere paragonata con nessun bene materiale: «tutto l’oro al suo confronto è come un po’ di sabbia e come fango sarà valutato di fronte a lei l’argento» (Sap 7,9).
Il discernimento per giungere a una scelta ‘sapienziale’ della vita può esser illuminato solo dall’incontro con la parola di Dio, quella parola che – come dice la lettera agli Ebrei (seconda lettura) – «è viva, efficace, più tagliente di ogni spada a doppio taglio» e «che discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Eb 4,12).
E proprio sulla strada che conduce a Gerusalemme, quell’uomo ricco è chiamato a fare questa scelta, in un confronto con la parola di Dio, con quel maestro buono che dona la vita.
Soffermiamoci su alcuni elementi che caratterizzano la dinamica di questo incontro.
Notiamo anzitutto come all’incontro con Gesù, quell’uomo è condotto a partire da una ricerca personale, una ricerca sincera e motivata: «gli corse incontro…e gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità al vita eterna?”» (Mc 10,17).
La risposta di Gesù rimanda il ricco semplicemente alla parola di Dio, alla via dei comandamenti (e in particolare quelli che evidenziano le relazioni con il prossimo).
Ed è appunto il cammino a cui quest’uomo ha cercato di essere fedele «fin dalla giovinezza» (10,20).
Ma attraverso la risposta di Gesù, la ricerca di quest’uomo deve aprirsi a un salto di qualità, a un incontro.
Si è rivolto a Gesù, l’ha chiamato ‘Maestro buono’ e ora deve prendere coscienza di ciò che cerca veramente e chi è colui al quale ha rivolto la sua domanda: «perché mi chiami buono?» (10,18).
Per avere «in eredità la vita eterna» (10,17, questo è ciò che aveva chiesto l’uomo ricco a Gesù), è necessario compiere una scelta.
E la scelta per quell’uomo è essere discepolo del ‘Maestro buono’, seguire colui che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6).
«Una cosa sola ti manca…» (10,21): a quell’uomo non basta essere un giusto (osservare i comandamenti) per avere la vita; deve diventare un discepolo di colui che dona la vita.
Questa è la radicalità della chiamata che Gesù rivolge a quel ricco.
E la radicalità dell’appello è caratterizzata anzitutto dallo sguardo che Gesù rivolge a quell’uomo: «Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò…» (10,21).
Prima di chiamare alla sequela, Gesù ama colui che invita ad essere suo discepolo.
E per quell’uomo, desideroso di fare qualcosa per possedere la vita, anzitutto è richiesto di accogliere un amore gratuito.
Sta qui la radicalità: nella sequela non si è protagonisti, ma si accoglie la gratuità di un dono, l’amore di Cristo.
Ma la scelta di seguire Gesù è radicale anche perché richiede un abbandono di ciò che fino a quel momento ha catturato la vita di quell’uomo, le ricchezze: «Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (10,21).
Per seguire Gesù è ri-chiesta una libertà da ciò che ostacola questo cammino; è necessario fare un vuoto, ma che deve esser però riempito da un tesoro vero, l’amore di Cristo e l’amore per Cristo.
A questo punto per quell’uomo si pone il discernimento: che cosa è più importante? Che cosa o chi preferire? E la risposta data dall’uomo ricco è purtroppo un fallimento.
L’incontro si conclude con una scelta mancata, una ricerca e un desiderio di vita frustrati.
Dalla gioia iniziale che aveva portato quell’uomo a correre incontro a Gesù, alla tristezza finale di un cuore incapace di scegliere tra la Vita e le cose che compongono la vita, ma che di fatto non la contengono.
E Marco sembra insistere su questa tristezza: «A queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato…» (10,22).
È la tristezza di un cuore che non riesce a liberarsi e che la parola di Gesù ha fatto emergere (cfr.
Eb 4,12-13); è la tristezza di una ricerca fallita.
«Se ne andò»: è proprio il contrario della sequela.
Ma lo sguardo e la parola che Gesù rivolge ai discepoli sconcertati da ciò che avevano visto, è come un’ultima apertura per comprendere cosa significa seguire Gesù.
In fondo, ricorda Gesù ai discepoli, un ricco non può entrare nel regno di Dio: «Quanto è difficile entrare nel regno di Dio!» (10,24).
E subito aggiunge: è «impossibile agli uomini» (10,27).
Nella prospettiva umana, seguire Gesù, accettare le condizioni di questa sequela, lasciare ciò che ostacola la sequela, è assurdo e impossibile (l’immagine della cruna dell’ago e del cammello).
A meno che l’uomo si affidi radicalmente alla potenza dell’amore di Dio, si af-fidi, in qualche modo, allo sguardo di amore di Gesù.
Allora essere discepolo è possibile per ogni uomo, anche per un ricco (come è capitato a Zaccheo: cfr.
Lc 19,1-10), perché «tut-to è possibile a Dio» (10,27).
Diventare discepoli o entrare nel Regno, non è frutto dell’abilità e degli sforzi umani: è un dono della potenza salvifica di Dio.
A Lui è necessario affidarsi ed accogliere quella parola e quello sguardo di amore (cfr.
10,21) che rendono libero l’uomo e lo cambiano.
Ti mancava una cosa sola Non sappiamo il tuo nome, ma meglio così, sei tutti noi.
Eri ancor giovane, dice qual-cuno, ma avevi già un passato da raccontare e una posizione ce l’avevi, economica e non solo.
Eri anche una persona perbene, un bravo ragazzo, come si dice.
Vorremmo tornare a quel tuo incontro straordinario con Gesù, il giorno che passò dal tuo paese.
Chissà anche tu quante volte ci sarai ritornato su, col pensiero, nella tua vita di poi, nelle notti insonni o nelle pause del giorno.
Dovevi esserne rimasto affascinato.
Dovevi aver detto anche tu: “Nessuno parla come costui!”.
Quel giorno, mentre stava andandosene, non hai voluto perdere l’occasione di incontrarlo.
Ti sei slanciato verso di lui senza ch’egli ti cercasse (o non era forse lui quella nostalgia d’infinito che già bruciava in te?), gli sei caduto alle ginocchia, come i tuoi servi davanti a te, gli ha posto la domanda cui solo lui, ne eri certo, poteva rispondere: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”.
Forse ne avevi sentito parlare da lui, fatto sta che tu ci credevi, che la tua storia non sarebbe finita su questa terra.
Il Maestro t’aveva rimesso, al di là di ogni infatuazione, davanti all’Unico buono.
Lui dunque da amare anzitutto.
E t’aveva snocciolato i comandamenti delle relazioni umane secondo Dio.
Non era facile per te esservi fedele, ma ce l’avevi fatta.
Non avevi ammazza-to nessuno, lasciavi ad ognuno la sua donna e i suoi beni, e mai nessuno avevi danneggia-to con la menzogna e l’inganno.
Tuo padre e tua madre li avevi rispettati, ci mancherebbe altro.
Con che gioia hai detto a Gesù: “Ho sempre obbedito a questi comandamenti”.
Gesù non ti ha guardato, semplicemente, come si guarda uno che parla; ti fissò, dice Marco, che, benché di poche parole, precisa: ti amò.
Era come se volesse per primo offrirti quel più d’amore che stava per chiederti.
“Una sola cosa ti manca: va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”.
Non avresti mai pensato che ti chiedesse tanto.
Forse un’elemosina più consistente, pensavi, una preghiera più lunga, una penitenza.
Ti è mancato il fiato.
In un istante hai ri-visto tutto quello che avevi e quello che speravi di avere.
Il frutto delle fatiche dei tuoi pa-dri e tue a chi non ne aveva diritto? e poi… seguire Gesù: dove? con che prospettive? Inutile chiederti com’è stato che hai scelto liberamente eppure sei rimasto triste.
La co-nosciamo questa tristezza, questa falsa libertà.
Il dramma di non volare alto per godere a bassa quota eppure rimanere infelici.
L’impotenza di vedere il bene, di volerlo anche, sen-za riuscire a sceglierlo.
Eccome, se ti capiamo.
Vorremmo però capire che cosa non ha funzionato nella tua storia, cioè nella nostra.
Anche Simone e Andrea non avevano ancora capito niente di Gesù, anzi, non gli avevano neppure fatto la tua bella domanda, e forse non erano neppure osservanti come te.
Eppu-re, subito, l’hanno seguito.
Perché loro sì e tu no? “Perché aveva molti beni”, sembra aiutarci Marco.
Il mistero della ricchezza! S’attacca al cuore, alla mente, alla volontà come una zavorra.
Uno apre le ali e non sa più volare.
Uno prova ad amare e non dà che qualche battito.
Uno prova a camminare, ma non ce la fa a trascinare tutto.
Ad ascoltare, ma le orecchie sono tappate.
A vedere, ma è come se non vedesse.
Esigenze, esigenze, esigenze.
Guai se manca una cosa, guai se non c’è l’altra.
A differenza di te che almeno te ne sei andato triste e hai misurato l’enorme nostalgia che, chissà, forse un giorno avrebbe potuto spingerti a tornare, noi invece crediamo che si può mettere insieme l’avere molto e la vita eterna, l’accumulo dei beni e la fede in Gesù Cristo.
Credici, amico lontano, siamo ben più disgraziati noi.
Fa’ una cosa, regalaci un po’ della tua tristezza, anzi tutta.
La conoscenza di sé e conoscenza di Dio La tradizione islamica ha conservato un hadît secondo il quale chi conosce se stesso co-nosce il suo Signore.
Un passo neotestamentario è significativo di questa ricerca concomi-tante di sé e di Dio.
In Mc 10,17-22, «un tale», un personaggio anonimo, dunque in cerca della propria identità, corre da Gesù e si getta ai suoi piedi interrogandolo su come ottenere la vita eterna (v.
17).
In questa persona (che non è «un giovane» come in Mt 19,20 e neppure «un capo» come in Lc 18,18, ma appunto solo «un tale») si coniugano dunque ricerca di Dio e ricerca di identità personale.
E questa ricerca si esprime in una domanda: «Che cosa devo fare?» (v.
17).
La risposta di Gesù non è estrinseca, non è rivolta verso l’esterno, non è sbilanciata sul piano del «fare», ma propone un itinerario interiore.
Gesù pone una contro-domanda che conduce il suo interlocutore a interrogarsi sul movente profondo, sul perché di quella ricerca.
Gesù lo fa andare al fondo di se stesso.
L’itinerario che Gesù propone comprende infatti, anzitutto, la conoscenza di sé, l’ordinamento delle relazioni umane con gli altri, con le realtà esterne, con la propria storia famigliare (i comandi etici del decalogo ricordati nel v.
19).
Quindi, la rivelazione della povertà profonda, della mancanza che abita il suo interlocutore («una cosa ti manca»: v.
21), non dopo però avergli apprestato lo spazio di amore al cui interno accogliere tale rivelazione e superarla grazie alla relazione con Gesù stesso (v.
21: «Gesù fissatelo lo amò e gli disse: “…
vieni e seguimi”»).
Conoscenza di Dio e conoscenza di sé, dice questo testo, passano attraverso l’adesione alla persona di Gesù Cristo.
L’anonimo interlocutore di Gesù però rifiuta il rischio del farsi amare e di ricevere la propria identità nella relazione con un altro, e così resta senza nome, senza volto, definito solamente da ciò che ha, da ciò che possiede: «Se ne andò afflitto perché aveva molti beni» (v.
22).
(Luciano MANICARDI, La vita interiore oggi.
Emergenza di un tema e sue ambiguità, Ma-gnano, Qiqajon, 1999, 12-13).
Quello che non abbiamo cercato “Michail […] non si vantò mai delle grandi ricchezze che aveva accumulato.
Diceva che nessuno merita di possedere un centesimo in più di quanto è disposto a cedere a chi ne ha più bisogno di lui.
La notte in cui conobbi Michail mi disse che, per qualche motivo, la vita è solita offrirci quello che non abbiamo cercato.
A lui aveva concesso ricchezza, fama e potere, mentre desiderava soltanto la pace dello spirito e di poter tacitare le ombre che gli tormentavano il cuore…”.
(Carlo Ruiz ZAFÓN, Marina, Mondadori, 2009, 248-249).
Incontrare Cristo «Incontrare Cristo significa mettervi sulla strada dell’esperienza dell’amore, della gioia, della bellezza, della verità.
Decidere di non custodire e di non approfondire il segreto dell’incontro con lui equivarrebbe a condannarsi a una vita senza senso e senza amore.
Vorrei soprattutto dirvi, non abbiate paura, non abbiate timore di aprirvi a Cristo, di entrare nel suo mistero».
(Card.
C.M.
Martini).
«Non potete servire a Dio e a mammona» Pensiamo all’episodio emblematico del giovane ricco che non riesce a staccarsi dal fasto del suo palazzo per seguire Cristo (Matteo 19,16-26).
La frase paradossale che suggella quell’evento è netta: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli».
Luca, che è l’evangelista dei poveri, offre un intero brano centrato sulla ricchezza «disonesta e iniqua» ( 16,1 -13).
In esso ricorre al termine mammona per definire quei tesori materiali che occupano cuore e vita dell’uomo.
Si tratta di un vocabolo aramaico che indica i beni concreti, ma che contiene al suo interno la stessa radice verbale della parola amen, che denota la fede.
La ricchezza diventa, quindi, un idolo che si oppone al Dio vivente e la scelta del discepolo dev’essere netta: «Non potete servire a Dio e a mammona».
Eppure questo non significa un masochismo pauperista.
Gesù si preoccupa dei miseri e invita a sostenerli coi propri mezzi come fa il Buon Samaritano nella celebre parabola.
La ricchezza può diventare una via di salvezza se è investita per i poveri: «Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma» (Lc 12,33).
(Gianfranco Ravasi, La “ricchezza” in «Famiglia cristiana» (2006) 40,131).
Quali sono i criteri per un giusto rapporto con il denaro? Il denaro serve in primo luogo a sostenere le spese necessarie per mantenersi.
Infatti, serve ad assicurarsi il sostentamento anche per il futuro.
È quindi sensato mettere da parte dei soldi e investirli bene, in modo da poter vivere nella vecchiaia senza paura della povertà e della miseria.
Ma nei confronti del denaro dobbiamo sempre essere consapevoli che è a servizio degli uomini e non viceversa.
Il denaro può dispiegare anche una dinamica propria.
Ci sono persone che non ne han-no mai abbastanza.
Vogliono averne sempre di più.
Ed eccedono nel preoccuparsi per la vecchiaia.
In ultima analisi diventano dipendenti dal denaro.
Nel rapporto con il denaro dobbiamo rimanere liberi interiormente e non lasciarci definire sulla base del denaro e nemmeno lasciarci dominare da esso.
Se giustamente si dice che il denaro è al servizio dell’uomo, allora non dovrebbe essere solo al mio servizio, ma anche a quello degli altri.
Con il mio denaro ho sempre una responsabilità nei confronti degli altri.
Le donazioni a favore di una causa buona sono solo una possibilità di concretizzare questa responsabilità.
Da dirigente d’azienda posso creare posti di lavoro sicuri mediante investimenti e, in questo modo, essere al servizio degli altri.
O sostengo progetti che aiutano a vivere in modo più umano.
Importante è l’aspetto del servizio agli altri e della solidarietà: soprattutto l’evangelista Luca ci ammonisce a tenere un atteggiamento di condivisione reciproca.
Ci sono risposte diverse relative al modo di investire bene denaro per il futuro.
Non da ultimo la decisione dipende dalla psiche del singolo.
Uno accetta più rischi, l’altro me-no, perché preferisce dormire sonni tranquilli.
Ma anche qui si tratta di utilizzare i soldi in modo intelligente.
Tuttavia, è necessaria sempre la giusta misura, che argina la nostra avi-dità.
E sono necessari criteri etici.
Non dovremmo depositare i soldi solo dove ottengono gli utili maggiori, ma piuttosto dove vengono tenuti in considerazione criteri etici.
Oramai molte banche offrono fondi etici, che investono solo in aziende che corrispondono alle norme della sostenibilità, del rispetto delle dignità umana e dell’ecologia.
Decisivo per il rapporto, con il denaro: non dobbiamo soccombere all’avidità.
È necessaria soprattutto la libertà interiore.
(Anselm GRÜN, Il libro delle risposte, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2008, 157-158).
Che cosa è tuo? «A chi faccio torto se mi tengo ciò che è mio?», dice l’avaro.
Dimmi: che cosa è tuo? Da dove l’hai preso per farlo entrare nella tua vita? I ricchi sono simili a uno che ha preso po-sto a teatro e vuole poi impedire l’accesso a quelli che vogliono entrare ritenendo riser-vato a sé e soltanto suo quello che è offerto a tutti.
Accaparrano i beni di tutti, se ne appropriano per il fatto di essere arrivati per primi.
Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno e lasciasse il superfluo al bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sareb-be bisognoso.
Non sei uscito ignudo dal seno di tua madre? E non farai ritorno nudo alla terra? Da dove ti vengono questi beni? Se dici «dal caso», sei privo di fede in Dio, non riconosci il Creatore e non hai riconoscenza per colui che te li ha donati; se invece riconosci che i tuoi beni ti vengono da Dio, spiegaci per quale motivo li hai ricevuti.
Forse l’ingiusto è Dio che ha distribuito in maniera disuguale i beni della vita? Per quale motivo tu sei ricco e l’altro invece è povero? Non è forse perché tu possa ricevere la ricompensa della tua bontà e della tua onesta amministrazione dei beni e lui invece sia onorato con i grandi premi meritati dalla sua pazienza? Ma tu, che tutto avvolgi nell’insaziabile seno della cupidigia, sottraendolo a tanti, credi di non commettere ingiustizie contro nessuno? Chi è l’avaro? Chi non si accontenta del sufficiente.
Chi è il ladro? Chi sottrae ciò che appartiene a ciascuno.
E tu non sei avaro? Non sei ladro? Ti sei appropriato di quello che hai ricevuto perché fosse distribuito.
Chi spoglia un uomo dei suoi vestiti è chiamato ladro, chi non veste l’ignudo pur po-tendolo fare, quale altro nome merita? Il pane che tieni per te è dell’affamato; dell’ignudo il mantello che conservi nell’armadio; dello scalzo i sandali che ammuffiscono in casa tua; del bisognoso il denaro che tieni nascosto sotto terra.
Così commetti ingiustizia contro al-trettante persone quante sono quelle che avresti potuto aiutare.
(BASILIO DI CESAREA, Omelia 6,7, PG 31,276B-277A).
Preghiera Sono io, Signore, Maestro buono, quel tale che tu guardi negli occhi con intensità di amore.
Sono io, lo so, quel tale che tu chiami a un distacco totale da se stesso.
È una sfida.
Ecco, anch’io ogni giorno mi trovo davanti a questo dramma: alla possibilità di rifiutare l’amore.
Se talvolta mi ritrovo stanco e solo, non è forse perché non ti so dare quanto tu mi chiedi? Se talvolta sono triste, non è forse perché tu non sei il tutto per me, non sei veramente il mio unico tesoro, il mio grande amore? Quali sono le ricchezze che mi impediscono di seguirti e di gustare con te e in te la vera sapienza che dona pace al cuore? Tu ogni giorno mi vieni incontro sulla strada per fissarmi negli occhi, per darmi un’al-tra possibilità di risponderti radicalmente e di entrare nella tua gioia.
Se a me questo passo da compiere sembra impossibile, donami l’umile certezza di credere che la tua mano sempre mi sorreggerà e mi guiderà là, oltre ogni confine, oltre ogni misura, dove tu mi attendi per donarmi null’altro che te stesso, unico sommo Bene.
Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica – oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di: – Temi di predicazione, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2002-2003; 2005-2006.
– COMUNITÀ MONASTICA SS.
TRINITÀ DI DUMENZA, La voce, il volto, la casa e le strade.
Tempo ordinario – Parte prima, Milano, Vita e Pensiero, 2009, pp.
60.
– COMUNITÀ DI BOSE, Eucaristia e Parola.
Testi per le celebrazioni eucaristiche.
Anno B, a cura di Enzo Bianchi, Goffredo Boselli, Lisa Cremaschi e Luciano Manicardi, Milano, Vita e Pensiero, 2008.
– La Bibbia per la famiglia, a cura di G.
Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
News
- GESU’ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
- Tomáš Halík, Il sogno di un nuovo mattino. Lettere al papa.
- XXXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
- padre Rinaldo Paganelli (1955-2024) Profilo bio-bibliografico
- Simposio Internazionale di Catechetica. La dimensione educativa della catechesi
- Global RE© September - October 2024
- Vademecum 2024-2025
- XXXII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
- XXXI DOMENICA TEMPO ORDINARIO
- 1° CORSO DI FORMAZIONE per Équipe, Operatori Pastorali ed Educatori