Il regista israeliano ha descritto con assoluta precisione l’orrore della guerra, raffigurando in modo sconvolgente la paura., facendo emergere sentimenti, angosce, amarezze, tensioni di quattro giovani attori in uno spazio ristrettissimo, quello di un carro armato Lebanon è un’opera estremamente dolorosa, densa di una devastante inquietudine, come raramente si può vedere nel cinema contemporaneo.
Le vicende narrate da Maoz evocano palesemente le disavventure militari vissute dallo stesso regista durante la prima Guerra del Libano nel 1982.
Egli era un carrista israeliano e a 20 anni si trovò al centro di una battaglia sanguinosa durante la quale gli capitò anche di uccidere.
Questo evento ha segnato la sua vita e solo dopo due decenni dai fatti ha trovato la forza di scrivere la sceneggiatura e di girare il film.
Ma a parte le questioni contenutistiche, l’elemento che fornisce grande forza a questo lungometraggio è il concept registico/espressivo che si trova alla base della sua realizzazione.
Maoz ha infatti ricostruito in studio l’abitacolo di un carro armato.
I quattro interpreti si muovo sempre in questo spazio microscopico, buio e sporco.
Olio che cola dalle pareti, acqua per terra, sangue sulle mani e sugli strumenti, rumori fortissimi, vibrazioni terribili, fumo.
Questo luogo minuscolo comprime e fa scontrare le psicologie dei personaggi, i quali esplodono in crisi di rabbia, di pianto, di angoscia.
L’unico contatto con l’esterno è rappresentato da un “mirino” che permette di rimanere in relazione con la realtà, una realtà fatta di devastazione e morte.
Il regista si concentra soprattutto sull’uso del primo e del primissimo piano e insiste per gran parte del film nell’utilizzazione di, un occhio impazzito che scruta il mondo alla ricerca della salvezza.
L’autore elabora una struttura visiva claustrofobica, opprimente e tragicamente intollerabile.
La macchina da presa isola gli occhi spiritati dei soldati israeliani, i quali non vengono dipinti come mostri cattivi ma come ragazzi giovanissimi impauriti, gettati in maniera irresponsabile nella mischia agghiacciante della guerra.
Lebanon è allo stesso tempo un film catartico, una seduta di psicoanalisi pubblica/privata e un’opera di denuncia.
Il regista si è liberato evidentemente dai suoi personali ed opprimenti ricordi e ha raccontato al mondo le atrocità della guerra da un punto di vista che pochi erano stati in grado di mostrare in precedenza.
Il film non risparmia accuse al sistema militare israeliano, mostrando addirittura l’uso di armi illegali.
C’è da dire che tra gli enti promotori del film c’è l’Israel Film Fund, cioè l’istituzione che gestisce i soldi pubblici destinati al sostegno del cinema israeliano che non ha rifiutato i fondi ad un’opera che non mette di certo in buona luce Israele e questo è una seria lezione di democrazia impartita a quei paesi occidentali/europei che spesso sentenziano sul conflitto israelo/palestinese senza conoscere nulla né della società israeliana né di quella palestinese.
DOMANDE & RISPOSTE Affiancato dal produttore David Silber e dall’attore protagonista Michael Moshonov, il regista Maoz Shmulik ha presentato alla stampa “Lebanon”, suo primo film di finzione, realizzato a nove anni dal documentario “Total eclipse”.
Questo film è nato dal suo ricordo del primo giorno di guerra in Libano? Mi sono reso conto del fatto che, per raccontare una storia attraverso una struttura cinematografica classica, occorreva dare al pubblico una sensazione di sperimentazione, in modo che potesse capire nella maniera migliore cosa intendevo dire.
Che fase sta attraversando oggi il cinema israeliano? Israele è un paese democratico e non crea alcun problema ai suoi cineasti.
Quindi, come un po’ in tutti i paesi, dal punto di vista finanziario è difficile fare un film, ma non dal punto di vista della censura.
Come mai ha impiegato così tanto tempo per realizzare il film? Perché avevo bisogno di prendere le distanze dagli eventi reali, di fare il film come regista, non come qualcuno che sapeva.
La visione dei soldati israeliani riportata dal film è quella di persone che sembrano pensare tutt’altro che alla guerra… Ho posto gli attori in un determinato stato mentale, in modo da rendere la realtà della situazione raccontata.
Gli attori si sono preparati moltissimo, in modo che formassero un insieme con i cameraman e la troupe.
Lei ha un ricordo spaventoso di quel conflitto, vero? Ho combattuto in quella guerra, ed ho ancora ricordi sensoriali, come l’odore di carne bruciata dalle bombe al fosforo, e dell’anima, come quello del 6 giugno alle 6.15 del mattino, quando allora 20enne uccisi un uomo, per la prima volta nella mia vita.
La realtà è che in ogni conflitto devi sopravvivere di fronte alla tua stessa morte: la tua anima è lacerata dal dissidio tra l’istinto di sopravvivenza e la morale.
Lei ha girato Lebanon dopo vent’anni, perché? Per prendere la giusta distanza dagli eventi.
La sequenza delle scene, l’abbinamento tra immagini iperrealistiche e scorci surreali sono stati frutto di un processo lungo e calcolato, per portare il pubblico ad un viaggio consapevole.
Chi venderà il suo film? La francese Celluloid Dreams venderà il film sul mercato internazionale.
L’inglese Metrodome in partenariato con Rialto Distribution ha già acquisito i diritti del film per il Regno Unito, Irlanda, Australia e Nuova Zelanda ed intende distribuirlo nella primavera 2010.
E per finire, desideriamo informare che fra le molte storie di confine che il cinema odierno ci narra, quella del film “Le cerf-volant” (L’aquilone) della libanese Randa Chahal Sabbag, ebbe Il Leone d’argento per il Gran Premio della Giuria a Venezia 60.
Alla regista chiedemmo: Crede nel processo di pace in Medio Oriente? Mi spiace dirlo, ma penso che non ci sia nessun processo di pace.
Gli animi di tutti sono sempre inquinati da un modo di comportarsi ideologico che vuole la guerra, la violenza, la separazione.
Israele rifiuta uno stato ai palestinesi e questi rispondono con i kamikaze.
Ma la cosa più preoccupante è che in questo momento tutto il mondo è posseduto da un’ideologia guerresca.
Mai parole furono più profetiche.
Trama: Prima guerra del Libano, giugno 1982.
Un carro armato e un plotone di paracadutisti vengono inviati a perlustrare una cittadina ostile bombardata dall’aviazione israeliana.
Ma i militari perdono il controllo della missione, che si trasforma in una trappola mortale.
Quando scende la notte i soldati feriti restano rinchiusi nel centro della città, senza poter comunicare con il comando centrale e circondati dalle truppe d’assalto siriane che avanzano da ogni lato.
Gli eroi del film sono una squadra di carristi – Shmulik, l’artigliere, Assi, il comandante, Herzl, l’addetto al caricamento dei fucili, e Yigal, l’autista – quattro ragazzi di vent’anni che azionano una macchina assassina.
Non sono coraggiosi eroi di guerra ansiosi di combattere e di sacrificarsi.
Il carro armato è una macchina di morte e di distruzione la cui natura corazzata protegge chi è all’interno dagli attacchi dal mondo esterno.
Questo mezzo potente è però dotato di un occhio non indifferente che scruta la realtà che lo circonda, uno sguardo che osserva, ma non a senso unico.
La guerra, con la sua crudeltà, scruta nel profondo dell’animo dei carristi, offrendo loro scenari di morte, violenza e desolazione.
Spesso le vittime del carro armato sembrano osservare direttamente i loro carnefici.
E’ un illusione naturalmente, eppure la forza di penetrazione di quello sguardo così lontano e così apparentemente innocuo ha effetti devastanti in cui si rifugia nella falsa protezione di quel ventre di metallo.
Grazie a un montaggio sonoro di rara potenza, che da allo spettatore la sensazione di trovarsi davvero nel carro armato, nell’assordante sferragliare di meccanismi, fuoco e vapore, la pellicola di Maoz diventa, nella sua claustrofobia soffocante, una sorta di esperienza totale.
Lebanon è anche un impressionante spaccato dei risvolti psicologici che caratterizzano la violenza imperante da decenni in medio oriente.
Un film duro, nelle immagini, nei dialoghi e nei suoni, tecnicamente inesorabile ed estremamente scorrevole, pur nel suo orrore.
Il film Lebanon Titolo originale: Lebanon Nazione:Israele Anno: 2009 Genere: Drammatico Durata: 92′ Regia: Maoz Shmulik Cast: Oshri Cohen, Zohar Shtrauss, Michael Moshonov, Itay Tiran, Yoav Donat, Reymond Amsalem, Dudu Tassa Sceneggiatura: Samuel Maoz Fotografia: Giora Bejach Montaggio: Arik Lahav-Leibovich Scenografia: Ariel Roshko / Musica: Nicolas Becker Produzione: United King Films, Metro Comunications, Paralite Films, Ariel Films, Arsam International / Israele, 2009 Durata 93 minuti Data di uscita: Venezia 2009 Lebanon, il film di Samuel Maoz ,è Leone d’Oro della 66a Mostra del Cinema di Venezia Il film di Maoz è ambientato, appunto, nella prima guerra del Libano, nel giugno 1982.
Un carro armato e un plotone di paracadutisti vengono inviati a perlustrare una cittadina ostile bombardata dall’aviazione israeliana ma i militari perdono il controllo della missione, che si trasforma in una trappola mortale.
Gli eroi sono quattro ragazzi di vent’anni ansiosi di combattere e sacrificarsi.
E’ una storia che il regista ha vissuto anche nella realtà: arruolato ventenne, Maoz fu tra i primi soldati israeliani a varcare la frontiera con il Libano nel giugno del 1982.
Coinvolto nei primi scontri, ferito superficialmente a una gamba, il futuro regista avrebbe rimosso quell’episodio fino a quando, due anni fa, non si sarebbe risolto ad affrontare di petto la sua memoria personale e quella collettiva della sua generazione.
Maoz, ritirando il premio, ha detto di voler dedicare la sua vittoria «alle migliaia di persone nel mondo che tornano dalla guerra come me sani e salvi», persone che «si sposano, hanno figli, ma dentro i ricordi rimangono stampati nel cuore».
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