Women Without Men

Women Without Men Titolo originale: Zanan-e Bedun-e Mardan Nazione: Germania Anno: 2009 Genere: Drammatico Durata: 95′ Regia: Shirin Neshat Sito ufficiale: www.bimfilm.com Cast: Pegah Feridon, Shabnam Tolouei, Orsi Tóth, Arita Shahrzad Produzione: Essential Filmproduktion Distribuzione: BimDistribuzione Data di uscita: Venezia 2009 DOMANDE & RISPOSTE “Women Without a Men”, la parola a Shirin Neshat L’artista iraniana esprime tutta la necessità di libertà e democrazia, tuttora assenti nel suo Paese, attraverso il suo primo film, presentato in concorso a Venezia 66.
Come è riuscita ad adattare un romanzo così complesso e delicato come “Women Without a Men”, scritto da Shahrnush Parsipur? Stiamo parlando di una figura di spicco della letteratura iraniana, che è stata costretta ad anni di carcere per le sue idee e che attualmente vive in esilio.
Appena uscito, il suo libro è stato bandito, e per me è un grande privilegio aver potuto rapportarmi alle sue pagine.
Leggo i suoi libri da quando sono piccola e ne sono sempre rimasta affascinata anche per il suo singolare stile visionario, che ho sempre pensato potesse adattarsi ad immagini di grande impatto.
Libertà e democrazia sono gli elementi portanti di una storia che si basa sulla forza delle tre protagoniste… Sono i temi centrali del film, ma anche della mia stessa vita.
Purtroppo si tratta di elementi assenti nella società iraniana di oggi.
Ne ho voluto parlare, a prescindere dalla contestualizzazione storica, che però dimostra come, in tanti anni, non si sia fatto alcun passo avanti da questo punto di vista.
I tre personaggi femminili del film provengono da classi sociali completamente diverse, ma sono tutte unite dagli stessi ideali di libertà e democrazia, appunto.
Anzi, la violenza sulle donne che lei racconta è estremamente attuale… Purtroppo, sì.
Sembra incredibile quanti elementi in comune ci siano tra le manifestazioni di protesta e gli scontri che racconto nel film e quelle avvenute pochi mesi fa nel nostro Paese.
La gente è cambiata in questi ultimi cinquant’anni, così come le ideologie, ma la lotta No.
Io ho voluto dare un chiaro messaggio: nessuno si deve arrendere anche se la vittoria sembra lontana, perché prima o poi arriverà.
Perché ha voluto a lavorare con lei il compositore musicale Ryuichi Sakamoto? Ho incontrato il maestro Sakamoto a New York e gli ho chiesto di lavorare alla partitura musicale del mio film perché volevo che gli conferisse un respiro internazionale come aveva già fatto in passato per grandi autori come Bertolucci.
Ero convinta che l’incontro della sua cultura con quella iraniana avrebbe dato dei risultati sorprendenti.
Così è stato.
A quale Cinema fa riferimento la sua espressione artistica? Ho amato molto il film “Persepolis” e la regista è una mia amica anche se il suo approccio autobiografico è differente rispetto al mio.
Ognuna delle mie tre protagoniste porta con sé una parte di me e dei miei dilemmi, come accade anche nel romanzo dove i tre personaggi principali sono il frutto dei desideri della signora Parsipur.
Perché, da artista affermata in un altro campo, ha sentito la necessità di fare Cinema? Per mettermi alla prova e verificare se le mie capacità espressive hanno valore anche in un campo differente.
Inoltre, il Cinema mi concede molte più potenzialità espressive di qualsiasi altra arte visiva, perché è la più completa.
».
La mezzaluna di miele, il sigheh.
L’Iran naviga tra crisi nucleare e minacce di sanzioni economiche, crisi interne e internazionali.
Eppure sulle prime pagine dei giornali di recente ha tenuto banco l’hojatoleslam Mostafa Pour Mohammadi, ministro dell’interno, quando ha dichiarato che il matrimonio temporaneo è la miglior soluzione per ridurre i problemi sociali.
«L’innalzamento dell’età del matrimonio ha creato numerosi problemi nella nostra società», ha spiegato il ministro durante un forum sul hejab (il copricapo femminile prescritto dall’islam) a Qom, la città delle maggiori scuole teologiche sciite dell’Iran.
«Può l’Islam restare indifferente verso la passione erotica che dio ha concesso a un ragazzo di 15 anni? Non si può ignorare le esigenze sessuali dei giovani.
Il matrimonio temporaneo è la soluzione».
Non è difficile comprendere perché il ministro si rivolga ai giovani: il 60% dei 70 milioni di iraniani ha meno di 30 anni.
Anche se fa un curioso effetto sentire parole simili, proprio mentre è in corso l’operazione di polizia più severa da anni contro le ragazze che si mostrano in pubblico con abiti «non-islamici», o i ragazzi vestiti in modo «disordinato»…
Il «matrimonio temporaneo» (in farsi sigheh) è una pratica propria dell’islam sciita duodecimano, benché non sia contemplata dal Corano (che anzi sembra escluderlo, ad esempio dove condanna il concubinaggio).
E’ un contratto di matrimonio di cui i contraenti definiscono la durata («da un minuto a 99 anni»).
Oggi gran parte dei saggi (mufti) sunniti lo vieta, mentre il clero sciita iraniano lo considera legittimo; afferma che è stato praticato sotto il profeta Maometto prima di essere vietato da Omar, il secondo califfo.
Alcuni citano Moussa Kazem, settimo Imam degli sciiti, che autorizzava il matrimonio temporaneo per celibi o uomini sposati lontani dalle loro spose…
Certo è che il matrimonio temporaneo era praticato in Iran anche prima della Rivoluzione islamica e oggi è previsto dal codice civile: un uomo ha diritto di stipulare fino a quattro matrimoni permanenti simultanei e un numero infinito di matrimoni temporanei successivi.
In un matrimonio temporaneo gli sposi devono accordarsi per non avere figli; se un figlio nasce però avrà tutti i diritti di un bambino nato da un matrimonio permanente, almeno in teoria.
Gli incontri sul web Non esistono statistiche precise sul matrimonio temporaneo oggi.
Non c’è dubbio però che sia diffuso, e l’uso di siti web per trovare partners lo testimonia.
Può capitare di trovare annunci come quello di Mina, 41 anni, rimasta vedova: si dichiara disponibile a un matrimonio temporaneo e invita l’interessato a prendere contatto via e-mail precisando le richieste, la dote (che secondo la sharia è un obbligo dello sposo) e la durata desiderata.
In un altro annuncio Mohsen, un ragazzo di diciotto anni, vorrebbe sperimentare un matrimonio temporaneo, vuole una moglie religiosa ed è pronto a offrirle in dote una moneta d’oro al mese.
Lo spazio virtuale è il luogo migliore per incontrare le offerte; i siti di matrimoni temporanei più frequentati hanno più di 1000 utenti al giorno.
Il discorso del ministro Pour Mohammadi ha scatenato polemiche (secondo il portavoce del governo però parlava «nella sua qualità di chierico ed esperto religioso, ma la questione non interessa l’esecutivo»).
Resta da chiedersi cosa significhi il matrimonio temporaneo nella società iraniana oggi, e perché un ministro trovi necessario incoraggiarlo.
Sembra che l’establishment iraniano veda nell’unione «a tempo determinato» un modo per rincorrere una società che cambia.
Il primo leader della repubblica islamica a parlarne pubblicamente in questi termini è stato Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, allora presidente della Repubblica, negli anni ’80: per lui era una soluzione sanzionata dalla sharia per proteggere la società dall’«inquinamento morale».
Riprendeva le argomentazioni dall’ayatollah Mottahari, uno dei «padri» ideologici della Rivoluzione islamica del ’79, defunto discepolo di Khomeini, il quale considerava il matrimonio temporaneo utile per evitare l’adulterio: «Oggi i giovani, maschi e femmine, raramente si sposano in giovane età.
Nei tempi moderni, il divario tra la pubertà naturale e la pubertà sociale non cessa di allargarsi.
Siccome l’istinto sessuale esiste, che fare? Proporre a ragazzi e ragazze di astenersi? Permettere loro di avere relazioni sessuali illegali? Il matrimonio temporaneo è una risposta».
E’ proprio il ragionamento del ministro Pour Mohammadi.
Assume tutt’altro aspetto, il matrimonio temporaneo, se si pensa che nel 1994 il governo aveva pensato di creare delle «Istituzioni di Castità», case dove contrarre un matrimonio temporaneo anche per poche ore: case chiuse con legittimazione islamica? Il progetto è stato archiviato tra le polemiche, ma era andato molto vicino a essere messo in pratica.
Forse mostrava il vero volto del matrimonio temporaneo.
Nella società reale infatti c’è un forte discriminazione culturale e di classe: in quelle medie e istruite il matrimonio temporaneo non esiste.
E’ praticato invece dai ceti più bassi, ultrareligiosi e tradizionalisti: da chi non può permettersi un matrimonio vero per ragioni economiche, ma non oserebbe una relazione libera per convinzioni religiose (o controllo sociale).
A volte poi maschera la prostituzione vera e propria: le formalità del contratto sono minime, tempo e compenso («dote») sono pattuiti in anticipo, una relazione commerciale con un’ipocrita copertura religiosa.
Una paradossale scappatoia Certo, negli anni cupi della rivoluzione, quando i Pasdaran arrestavano le coppie non sposate che si mostravano in pubblico, il matrimonio temporaneo è stato praticato anche da persone che non ci credono, per legittimare una relazione con un documento ufficiale che dà molti vantaggi pratici, tra cui poter viaggiare insieme: una coppia iraniana non può prendere una camera in nessun albergo in Iran senza un certificato di matrimonio.
Mercimonio, scappatoia, o valvola di sfogo degli impulsi sessuali giovanili con una copertura di legittimità: in ogni caso il matrimonio temporaneo suscita critiche molto dure tra i sostenitori dei diritti delle donne.
La giurista Shirin Ebadi, Nobel per la pace, si è sempre espressa in modo contrario.
La sociologa Fatemeh Sadeghi sottolinea quanto sia contraddittoria l’ideologia che sostiene il matrimonio part-time: «La struttura religiosa “santifica” la famiglia, ma poi predica il matrimonio temporaneo che in pratica indebolisce l’istituzione della famiglia».
Un religioso riformista, l’hojatoleslam Yousefi Ashkevari, fa notare che il matrimonio temporaneo «svaluta» la donna: in una società tradizionalista, dove la verginità della sposa è considerata indispensabile, una ragazza che sia stata sposata in via temporanea difficilmente troverà un matrimonio «vero».
E i giovani, obiettivo dichiarato del ministro Pour Mohammadi? Molti di loro respingono il matrimonio temporaneo, soluzione tradizionale che non risponde all’aspirazione più comune: frequentarsi liberamente e senza doversi sposare.
Ragazze e ragazzi non possono incontrarsi nei luoghi pubblici se non con molte limitazioni: e così il regime islamico li spinge (soprattutto nelle classi medie e occidentalizzate) a incontrarsi più spesso nella sfera privata, ormai l’unico spazio di libertà.
Paradossi di un sistema che impedisce ai giovani di frequentarsi e avere libere relazioni amicali e affettive: poi però offre loro un matrimonio part-time per sfogare le «esigenze sessuali».
Farian Sabati scrive : Può sembrare strano, ma a contrarre più facilmente il sigheh(il matrimonio temporaneo) sono sempre più spesso le giovani benestanti: non hanno voglia di impegnarsi in un’unione definitiva, coinvolgendo le famiglie.
E non considerano più la verginità fondamentale e in ogni caso hanno denaro a sufficienza per farsi ricucire l’imene in una clinica privata pagando l’equivalente di poche centinaia di euro.
Per loro il matrimonio temporaneo, contratto davanti a un mullah per avere un pezzo di carta da mostrare alla polizia religiosa, è un modo per andare a fare il fine settimana tranquilli.
Il sigheh è quindi diventato un business….
Il matrimonio in Iran L’età legale nella quale le ragazze possono sposarsi è di 9 anni lunari (8 anni e 9 mesi sul calendario solare).
La poligamia è legale: gli uomini possono avere fino a 4 mogli.
La Repubblica Islamica dell’Iran, un tempo conosciuta come Persia, è un paese mediorientale, situato nel sud-ovest asiatico.
La lingua ufficiale è il persiano (farsi) e la religione quella musulmana, di indirizzo sciita.
La forte religiosità è la caratteristica culturale che emerge maggiormente fra tutte e pervade tutti gli aspetti della vita quotidiana.
L’Iran è una teocrazia basata sulla teoria dell’Ayatollah Ruhollah Khomeini di una dittatura religiosa chiamata velayat-e faqih, essa dà al Leader Supremo il ruolo di tutore della nazione, ed è stato stabilito che questo regime religioso debba prendere il posto di tutte le leggi religiose minori.
Secondo la concezione teocratica fondamentalista della natura della donna e dell’uomo e dei loro ruoli nella società, la donna è considerata fisicamente, intellettualmente e moralmente inferiore all’uomo.
E il risultato è che le donne non possono partecipare alla pari in nessun campo di azione sociale o politica.
L’età legale nella quale le ragazze possono sposarsi è di 9 anni lunari (8 anni e 9 mesi sul calendario solare).
La poligamia è legale: gli uomini possono avere fino a 4 mogli.
Gli uomini hanno il potere di prendere tutte le decisioni riguardanti la famiglia, inclusa la libertà di movimento delle donne e la custodia dei figli.
Nella maggior parte dei casi in Iran il matrimonio è combinato, infatti le madri scelgono le spose per i propri figli maschi: seguendo l’esempio della tradizione antica in alcuni casi si prediligeva cercare la futura sposa tra le bambine nate in famiglie di amici e parenti, in altri ci si recava nei bagni pubblici o alle feste.
Quando il ragazzo arriva all’età giusta per il matrimonio allora la famiglia del futuro sposo si reca a casa della fidanzata prescelta, portando con sé dolci e fiori.
In questa fase, detta “khastegari”, sono i padri dei futuri sposi che discutono sul matrimonio, se manca la figura maschile all’interno della famiglia, viene chiamato lo zio più anziano.
Questa stadio comprende anche il “mehrie” che è un regalo tradizionale che il ragazzo deve offrire alla donna e che comprende sempre il corano, il nabat (cristalli di zucchero che si sciolgono nel té) e le monete d’oro (o soldi, che vengono dati in caso di divorzio come risarcimento); e viene inoltre stabilita la data in cui avverrà il matrimonio.Due o tre giorni prima del vero e proprio fidanzamento viene celebrata attraverso una semplice festa a casa della sposa l’”hanabandun”, rituale durante il quale si balla, si mangia e gli sposi si prendono per le mani, le quali precedentemente sono state spalmate con la henna (un tipo di colorante spesso usato anche in India).
Questo gesto segna la definitiva e perenne unione dei due amanti.
Un altra usanza, però ormai desueta, che veniva svolta in questa festa è la depilazione del viso della futura sposa, che fino ad allora non era stata fatta.Successivamente si giunge al momento del fidanzamento ufficiale in cui vi è nuovamente una festa e i due ragazzi si scambiano gli anelli davanti ai parenti.
Nel frattempo la futura sposa porta la propria dote nella casa in cui andranno ad abitare dopo la celebrazione del matrimonio.
La fase del fidanzamento può durare un paio di mesi ma anche diversi anni.
In Iran il matrimonio si celebra davanti al mullah, il quale secondo la religione islamica è un notaio che fa parte del clero ed è il responsabile dei matrimoni e dei divorzi.
Si giunge quindi all’ “aghakonun”, che è il vero e proprio matrimonio: i ragazzi sono seduti di fronte ad uno specchio, con delle candele e il libro sacro islamico, il Corano.
La sposa, come nella tradizione occidentale, è vestita di bianco.
Durante questa fase il mullah recita per tre volte una preghiera, poi domanda una volta allo sposo se vuole prendere in moglie la ragazza, dopo il suo consenso chiede per tre volte alla donna, inserendo nella domanda tutte le condizioni stabilite precedentemente durante il “khastegari”, se acconsente al matrimonio.
Dopo l’assenso della sposa l’unione dei due ragazzi è ufficiale e consacrata.
La sera stessa si continua con festeggiamenti, in cui si mangia e soprattutto si balla.
Viene anche annunciato il giorno in cui i novelli sposi accoglieranno in casa gli amici e i parenti per ricevere i regali.
A Shahrnush Parsipur, autrice di: Women Without Men, è stato chiesto come vede l’attuale situazione delle donne Ha così risposto: “In Iran vi è l’assoluta mancanza di rispetto per i diritti umani.
Come negli anni Ottanta.
Oggi il popolo iraniano è ostaggio del governo”.
– Come vede la condizione attuale delle donne? «Le donne possono andare a scuola, prendere un dottorato di ricerca, ma poi magari devono subire il matrimonio combinato, un classico.
Conosco il caso di una donna vittima dei soprusi del marito, che veniva picchiata.
Ma quando si è rivolta ai giudici per ottenere il divorzio, le hanno risposto che questo accadeva perché non si comportava secondo i canoni.
Solo dopo molti anni, corrompendo i funzionari, è riuscita a ottenere il divorzio.
Se una ragazza viene violentata, la prima cosa che si dice è: qual è stato il tuo comportamento, cosa hai fatto per provocare l’uomo? Alla fine dunque la colpa è sempre della donna».
– Il suo libro è stato pubblicato in Iran? «Non ufficialmente, ma lo si trova nella cosiddetta borsa nera della letteratura ed esiste una versione in persiano Iran, 1953: sullo sfondo tumultuoso del colpo di stato, tramato dalla CIA, i destini di quattro donne convergono in un bellissimo giardino di orchidee dove troveranno indipendenza, conforto e amicizia.
La regista mostra un’incisiva riflessione di un momento cruciale della storia che ebbe come conseguenza la Rivoluzione islamica e che portò l’Iran a essere come oggi la conosciamo.
La regista iraniana Shirin Neshat, Leone d’argento per la migliore regia a Venezia ’66, sfilando sul red carpet, ha indossato la sciarpa verde del movimento a sostegno di Mussavi e ha dichiarato: ”Il mio Paese un giorno sarà libero.
Women Without Men, parla dei giorni cruciali del ’53 .
Vuole essere un messaggio per tutti gli iraniani che credono di perdere la speranza.
Non sentiamoci sconfitti, un giorno ce la faremo”.
Speriamo.
Intanto la violenza contro le donne non solo in Iran, dove sarà difficilissimo estirpare, ma anche in altre parti del mondo è diventata endemica.
Chi è Shirin Neshat Nata il 26 marzo 1957 a Qazvin, Iran, è un artista di arte visiva contemporanea, conosciuta soprattutto per il suo lavoro nei video, nella fotografia e nel cinema Vive attualmente tra il suo paese di origine e New York.
Attraverso il suo lavoro analizza le difficili condizioni sociali all’interno della cultura islamica,con particolare attenzione al ruolo della donna.
Il suo lavoro esplora il significato sociale, politico e psicologico dell’essere donna nelle società islamiche contemporanee.
Non ama le rappresentazioni stereotipate dell’ Islam, i suoi obiettivi artistici non sono esplicitamente polemici.
Piuttosto, il suo compito riconosce le forze intellettuali e religiose complesse che modellano l’identità delle donne musulmane nel mondo intero.
Come fotografa e video-artista, Shirin Neshat è famosa per i suoi ritratti di corpi di donne interamenti ricoperti da scritte in calligrafia persiana.
Inoltre ha diretto parecchi video, tra cui Anchorage (1996), proiettato su due pareti opposte: Shadow under the Web (1997), Turbulent (1998), Rapture (1999) e Soliloquy (1999) Nelle sue fotografie e nei suoi video ci mostra attraverso immagini piene di tensione dei corpi velati, dei martiri (uomini o donne), persone sottomesse, che ogni giorno devono fare i conti con la violenza ed il terrorismo.
Ha partecipato anche alla Biennale d’arte nel 1999, ricevendo un lusinghiero successo di critica.
Ora ha deciso fortissimamente, di esplorare il campo cinematografico.
E non si può dire che le sia andata male, visto il successo che ha riscosso il suo primo lungometraggio, così dolente e così simbolico.
Proprio come è l’Iran in questi tempi.
Non è da trascurare che la sua famiglia è benestante, segue uno stile di vita occidentale, il padre fisico e la madre casalinga hanno una ammirazione per lo Scia di Persia.
E’ cresciuta in un clima filo-occidentale ed educata in una scuola cattolica e poi a Los Angeles per completare gli studi.
Mentre è a Los Angeles avviene il colpo di stato in Iran e la situazione cambia radicalmente.
Si sposta a San Francisco e poi a New York dove lavora per un’organizzazione no profit.
Nel 1990 torna in Iran spinta anche dalla ricerca delle proprie origini, trova un paese completamente cambiato rispetto a quello che aveva lasciato.
Qui matura l’idea della serie di Women of Allah.
Tornando in Iran Shirin Neshat ha cercato di leggere profondamente dentro la cultura islamica e di andare oltre lo stereotipo della donna in secondo piano, per mostrare la forza, la personalità e il carattere delle donne.
Ecco come descrive il suo viaggio in Iran in un’intervista al TIME: Neshat: “Durante il regime dello Scia c’era un ambiente molto aperto.
C’era una specie di diluizione tra Occidente e Oriente – nel modo di vedere e nel modo di vivere.
Quando tornai ogni cosa sembrava cambiata.
Sembrava che ci fossero pochi colori.
Tutto era bianco o nero.
Tutte le donne indossavano il nero chador.
Fu uno shock immediato.
Il nome delle strade era cambiato dal vecchio nome persiano nel nuovo nome arabo islamico.
Questo slittamento dall’identità persiana verso una più islamica creò una sorta di crisi.
Penso che ora tutto ciò sia accompagnato da un grande senso di vuoto”.
Attualmente vive a New York e i suoi lavori recenti risentono della sofferenza per la separazione coatta dal suo paese di origine.
Nella stessa intervista, spiega chiaramente la sua situazione e il significato di Women of Allah.
I passaggi più interessanti sono: il contrasto tra il senso di indipendenza che sente in America e il senso di isolamento e la perdita di punti di riferimento: “Non posso chiamare casa nessun luogo”.
Il contrasto tra l’individualismo americano e l’appartenenza a una collettività.
Il suo lavoro rappresenta il desiderio di riconciliazione con il suo passato e la sua cultura.
Alla domanda sulla fascinazione dell’Islam in Occidente, risponde che guardare una cultura così diversa pone degli interrogativi e che la realtà non è quella che ci si immagina.
L’Islam è visto come una minaccia come lo era l’Unione Sovietica.
L’Islam non rientra nella mentalità razionale dell’Occidente.
La sua intenzione come artista è quella di cercare il dialogo e di sovvertire uno stereotipo.
La donna è sì vittima e sottomessa, ma anche forte e consapevole.
Le scritte sulle mani e sulla bocca sono il pensiero non detto di queste donne, che non possono parlare ma hanno un loro pensiero.
Alla domanda perché nelle sue fotografie le donne hanno le pistole, risponde perché non si può separare l’idea della religione dalla politica e dalla violenza.
In pratica cerca di rappresentare il paradosso del martirio.
Il martire è al confine tra l’amore per Dio, la fede e la devozione, e il crimine e la crudeltà dall’altro.
La storia dell’Islam è caratterizzata dall’ossessione della morte e dal rifiuto del mondo materiale così la morte è vista come premio.
Le ultime parole dell’intervista sono molto commoventi : “Mi piacciono le opere che mi tolgono il fiato o che mi fanno piangere quasi come un’esperienza mistico religiosa.
Sto creando una piccola esperienza per la gente in modo che la possa tenere con se non come una pesante liquidazione politica, ma come qualcosa che tocchi al massimo livello di emozione”( Neshat,TIME Aprile 2004, http://www.eruditiononline.com/04.04/shirin_neshat_interview.htm) Woman Without Men è un film intenso e dal carattere fortemente rivoluzionario.
Le immagini, nitide e piene di particolari, omaggiano l’arte pittorica, richiamano antiche iconografie, diventano simboliche.
Lo spettatore si ritrova davanti a un vero e proprio affresco eseguito con tanta luce e tante ombre.
Il tutto, inserito nel contesto storico del 1953, anno in cui il golpe ordito da Stati Uniti e Gran Bretagna riuscì a deporre il governo democratico di Mossadegh per restaurare il potere dello Scià.
Le donne ne sono protagoniste:c’è Fakhri, moglie insoddisfatta che riesce a scappare e a comprare una tenuta in cui rifugiarsi.
Poi Munis, interessata alle vicende politiche.
E infine Faezeh, incastrata dal rapporto col fratello.
Le tre donne si conosceranno e finiranno per imparare l’amarezza della vita.
Film storico, diviso tra sogno e realtà , con le musiche di Ryuichi Sakamoto si vivono i conflitti interiori e le ansie scatenate da una voglia di libertà che nessun governo può mettere a tacere.
Incredibili, poi, i momenti in cui assistiamo ai soprusi di una società maschilista e chiusa.
Ottusa e cieca.
Ossessivamente rinchiusa in ambiti culturali soffocanti.
Le donne, in questo universo stretto, devono nascondersi, sono obbligate ad abbassare lo sguardo, sono impossibilitate dal muoversi.
Le uniche ancore di salvezza sono la cultura, tenuta segreta come un peccato, e la propria immaginazione.
Un film che fa riflettere e sembra mostri l’attuale situazione di tante donne musulmane, l’ultima – in ordine di tempo- quella povera ragazza diciottenne, Sanaa, trucidata dal padre perché osteggiava il suo legame con un cattolico.
E poi parlataci dell’integrazione!

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