II velo è simbolo di obbedienza a Dio, di modestia e pudore.
Alle donne sarebbe consentito mostrare soltanto il viso, le mani e i piedi considerati non sessualmente provocanti.
Ma è anche vero che in alcuni paesi musulmani, come I’Afghanistan, le donne sono nascoste sotto tuniche che le rivestono completamente dalla testa ai piedi.
Dall’altro lato c’è chi invece ritiene che lo higab non abbia rnai costituito un dogma: il Corano non ne parla e le quattro grandi scuole giuridiche dell’islam, ufficialmente riconosciute come ortodosse (hanafita, malikita, shafi’ita, hanbalita) non hanno mai sostenuto una teoria sul velo.
Lo higab sarebbe entrato in scena solo successivamente per una questione di necessità, quando le contaminazioni del inondo esterno (già nel XIV secolo coll’invasione mongola) e i processi di modernizzazione (della seconda metà del Novecento) richiesero una difesa strenua di un’identità in crisi.
Ciò che negli elementi più estremisti si traduce in una chiusura e in un’opposizione anti-occidentale.
In questo senso, il velo diventa il simbolo di un’appartenenza che può, secondo il governo francese, intaccare la laicità dello stato.
Ed è così che, nel 2004, la Francia promulga la cosiddetta legge sulla laicità per ciui «nelle scuole, nei collegi e nei licei pubblici è proibito portare segni o abiti con i quali gli alunni manifestino ostentatamente un’appartenenza religiosa».
Oltre al velo islamico, le croci di una certa dimensione, la kippah ebraica, il turbante sikh.
Questo provoca reazioni opposte non soltanto tra i musulmani, ma anche tra i cattolici.
Giovanni Paolo II ha condannato la laicità che si fa laicismo.
Sarnir Khalil Samir, gesuita e autorevole islamologo, ha invece salutato con favore la legge perché mette un freno al «desiderio separatista» dell’islam.
I musulmani si sono divisi tra chi, come Dalil BuBaker, presidente del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcm), ritiene inammissibile un’ingerenza del mondo islamico negli affari dello stato (ospitante) e afferma «siamo cittadini francesi e applichiamo la legge francese», e chi, come l’Unione delle organizzazioni islamiche di Francia, i Fratelli Musulmani in Giordania, o l’Iran si è opposto alla legge perché attacca «la libertà religiosa».
Per Al Qaeda «si tratta di un altro segno dell’odiosa crociata scatenata dagli occidentali contro i musulmani».
Non è facile indicare con certezza quanti siano i veli islamici, diversi per cultura e tradizioni anche all’interno dello stesso paese.
Questi i più comuni: burqa, chador; ha’ik, higab, jalabiya, niqab.
Il burqa, diffuso in Afghanistan, è un velo integrale dai colori generalmente accesi (arancione, verde, azzurro) che copre completamente la donna, dalla testa ai piedi, lasciando aperta solo una finestrella a rete davanti agli occhi per consentirle di vedere il mondo esterno.
Lo chador è nero e avvolge il corpo completamente, lasciando scoperto l’ovale del viso.
È usato soprattutto in Iran, dove è obbligatorio dalla rivoluzione del 1979 guidata dall’ayatollah Khomeini.
L’ ha’ik è una stoffa tessuta in maniera tradizionale, di lana (in Marocco) o seta (Algeria), che avvolge il capo e il corpo.
L’ higab è composto da due pezzi: un copricapo che nasconde la testa e un velo che, appoggiato sopra, scende sulle spalle ed è legalo sotto al mento o appuntato con una spilla.
E utilizzato in Egitto, Siria, Giordania e Marocco.
Lo jalabiya è un lungo camice di tela, usato anche dai più antichi coltivatori del Nord Africa, i fellahin dell’Egitto (coltivatori insediati lungo la valle e il Delta del Nilo).
Il niqab è un velo che copre la testa e il viso della donna lasciando scoperti gli occhi e può essere molto raffinato ed elegante o pesante e nero.
Sull’obbligo di indossare il velo (higab, in arabo) non c’è unicità di vedute nel mondo islamico.
La discordanza deriva dall’interpretazione che si dà ai precetti del Corano, fonte primaria della fede e del diritto musulmani, ed esprime solitamente, rna non necessariamente, una contrapposizione tra islam moderato e fondamentalista.
Semplificando, da un lato c’è chi sostiene che l’uso del velo non dovrebbe essere messo in discussione: il Corano si esprimerebbe esplicitamente in tal senso nelle sure XXIV, 31 e XXXIII, 59.
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