Si è aperto il Sinodo dei vescovi per l’Africa.
Dopo il viaggio di Benedetto XVI in Camerun e Angola lo scorso marzo, la Chiesa convoca ora i suoi stati generali sul «continente malato».
Qui il cattolicesimo ha conosciuto una crescita imponente nel Novecento.
I cattolici sono passati da meno di due milioni del 1900 a oltre 160 milioni di oggi.
Il tempo del colonialismo è stato anche quello di un’intensa stagione missionaria.
La Chiesa non se n’è andata dal continente a seguito delle potenze coloniali.
Dagli anni 50 ha africanizzato i suo quadri, assumendo un volto africano.
Eppure ha conosciuto gravi difficoltà e persecuzioni.
Non solo i cattolici.
Il patriarca ortodosso di Etiopia, Paulos (invitato a parlare al Sinodo), ha conosciuto la dura repressione del dittatore Menghistu, che ha lo ha incarcerato e ha assassinato tanti religiosi.
Negli anni 90, la Chiesa in Africa ha avuto un ruolo centrale nelle transizioni dalla dittatura alla democrazia.
Grandi figure di cattolici si sono imposte fin dall’indipendenza, come il senegalese Senghor (uno dei pochi leader del suo tempo a lasciare spontaneamente il potere) o il presidente Nyerere della Tanzania.
E oggi? Il cattolicesimo è in una condizione di passaggio, pur continuando a essere una delle più grandi risorse umane dell’Africa.
Ma in che senso? La Chiesa è sfidata dalla vitalità dell’islam, talvolta radicale.
Ma anche da un messaggio cristiano alternativo: Chiese libere, sette, propongono un cristianesimo, caldo, miracolistico, sentimentale.
Benedetto XVI ha parlato dei rischi del «fondamentalismo religioso, mischiato con interessi politici ed economici»: «Gruppi che si rifanno a diverse appartenenze religiose — ha detto ieri — si stanno diffondendo nel continente africano; lo fanno nel nome di Dio… insegnando e praticando non l’amore e il rispetto della libertà, ma l’intolleranza e la violenza».
La Chiesa risente della diminuzione e dell’invecchiamento dei missionari dell’Occidente.
In Africa le chiese cattoliche sono sempre piene, ma in alcuni Paesi il cattolicesimo ha una posizione meno centrale di ieri ed è maggiormente sfidato dal pluralismo religioso e culturale.
Sono problemi chiari a Benedetto XVI che, nell’anno sacerdotale, guarda con attenzione ai 34 mila preti africani.
L’Africa conta su preti giovani, coraggiosi, generosi ma talvolta tentati dall’esercizio di un «potere» clericale.
Non si può generalizzare, ma lo stile del potere, tipico delle società africane, può contagiare vescovi e preti.
Questa situazione ha una ricaduta sui laici cattolici.
Le grandi figure di «laici» (Nyerere o Senghor) sono tramontate.
I laici (e le religiose), decisivi nella vita della Chiesa, in Africa sono spesso solo i collaboratori del prete.
Lo si vede dall’assenza dei cattolici in molte classi dirigenti.
Il Sinodo africano darà vitalità alla Chiesa nel continente in tutte le sue componenti? Papa Ratzinger ha proposto, da subito, non aggiustamenti strutturali, ma la «misura alta della vita cristiana, cioè la santità».
Di fronte ai vescovi si apre lo scenario delle guerre, delle pandemie e della povertà del continente.
Ma l’Africa non è tutta «nera».
Malgrado le crisi, torna al centro dell’interesse mondiale.
Lo si vede dalla politica attiva della Cina.
In un recente convegno, promosso dalla Fondazione Banco di Sicilia e da Ambrosetti, è stato rilevato come l’Africa sia una grande opportunità per l’impresa europea.
Ben 33 Paesi africani crescono da un punto di vista economico.
Sta emergendo una giovane generazione, pronta a cogliere le occasioni della globalizzazione, con un orizzonte culturale diverso da quello tradizionale.
Quando si parla di cultura africana bisogna stare attenti, perché il discorso sull’autenticità africana rischia di rivelarsi una costruzione ideologica e passatista.
La cultura africana oggi è più moderna delle rappresentazioni etnico-folcloristiche o tradizionali, fatte da europei o africani.
La comprensione dell’Africa deve essere più articolata che quella dolorosa ma semplificata del tempo delle dittature.
La società, fattasi complessa, non è più così naturalmente religiosa, come si è tanto detto.
Se larghe masse sono ancora in bilico tra passato e futuro, tanti africani hanno compiuto un salto in avanti.
Per la rapidità dei cambiamenti, forse i vescovi cattolici dovranno rileggere la realtà e non affidarsi a stereotipi, per capire meglio il mondo dei loro fedeli.
Ne ha dato l’esempio il Papa, parlando di forza attrattiva del «materialismo pratico».
Persistono gravi situazioni di miseria, guerra e malattie.
La cura dell’Aids necessita di importanti risorse.
L’Africa da sola non ce la fa.
Richiede aiuto, investimento, inserimento nella rete mondiale.
Può, però, dare molto a tutti i livelli.
Non è il mendicante del mondo.
È significativo che, nell’anno della crisi economica, la Chiesa ponga l’Africa al centro: «L’Africa rappresenta un immenso polmone spirituale, per un’umanità che appare in crisi di fede e di speranza», ha detto il Papa.
Ma questo polmone può ammalarsi.
I vescovi cattolici non possono gestire solo un grande patrimonio religioso, ma andare in profondità e rischiare la via del futuro.
in “Corriere della Sera” del 5 ottobre 2009
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