“Don Luigi Sturzo uomo dello Spirito”

“Don Luigi Sturzo uomo dello Spirito” è il tema del convegno internazionale che si tiene dal 2 al 4 ottobre a Catania e a Caltagirone per i cinquant’anni dalla morte del sacerdote calatino fondatore del Partito popolare italiano.
Pubblichiamo ampi stralci dell’intervento del vescovo Mariano Crociata segretario generale della Conferenza episcopale italiana.  Sono stato colpito dall’opportunità che ci viene data di riflettere sulla figura di don Luigi Sturzo, sulla sua vita, il suo pensiero, le sue opere, mentre è in pieno svolgimento l’Anno sacerdotale voluto dal Santo Padre Benedetto XVI, a 150 anni dalla morte di san Giovanni Maria Vianney.
A uno sguardo non superficiale, infatti, appare un numero imprevisto di analogie tra il cammino del prete di Caltagirone e quello del curato d’Ars.
Davvero una sorpresa: l’amore indefesso per il sacerdozio, la completa dedizione all’eucarestia come sacramento vivificante, l’obbedienza alla Chiesa e ai superiori, la fortezza umana sposata a una infinita umiltà, una salute che faceva penare, il coraggio d’intraprendere cose nuove, il non fermare il proprio ministero sul sagrato dell’edificio di culto…
Ma forse stiamo parlando della verità più profonda del ministero ordinato, la stessa verità che troveremmo in ogni prete vero, che dovremmo poter trovare in ogni prete.
Una verità, quella del servizio presbiterale, che don Sturzo ha illustrato e che in parte non piccola ha contribuito con la sua vita a scoprire, o almeno a rivelare a una porzione significativa di popolo di Dio.
Ci accorgiamo di ciò facilmente se proviamo a guardare al prete con l’aiuto dei documenti del Concilio.
Fin dall’inizio della Presbyterorum Ordinis il prete è definito per il suo dedicarsi al servizio della celebrazione, all’annuncio della parola di Dio, al servizio per l’edificazione del popolo santo.
Tutto quello che sappiamo della vita di don Luigi Sturzo si snoda come una trama dal principio alla fine unificata dal costante primato accordato alla celebrazione della messa.
Egli la visse con una intensità resa possibile da un costante lavoro di distinzione del valore di questa azione sacramentale dal resto delle pratiche di devozione, che non disprezzò ma che seppe dimensionare orientando la propria vita di credente e di prete su ciò che noi oggi, grazie al Concilio, professiamo con rinnovata certezza quale fonte e culmine della vita cristiana.
Quando fu posto di fronte all’alternativa tra servizio ministeriale e altri pur meritevoli e preziosi impegni, don Luigi Sturzo fece ciò che richiedeva il restare ciò che era divenuto: un prete.
Ci insegnò una strada per far crescere la Chiesa e la fede attraverso il provvidenziale crogiolo della modernità e ci insegnò un sentiero di testimonianza della fede nella polis fino ad allora ignorato, se non ritenuto impossibile o addirittura sbagliato.
Se la nostra fede e la nostra Chiesa respirano, se sanno respirare a pieni polmoni della libertà che questi tempi ci consentono e a cui quasi ci obbligano, se la fede non è impaurita dalla coscienza, questo è ancora merito suo.
Come Rosmini, come Manzoni, come Montini, don Luigi ci ha aiutato a sondare nuove dimensioni di quella misura alta di umanità che è la santità, come spesso ci ha ricordato Giovanni Paolo II.
Ed in più, don Luigi ci ha insegnato quanto sia vero che nella Chiesa si può edificare senza primeggiare, si può fare molto con poco potere.
Di quale magistero e di quale edificante testimonianza è stato capace permanendo nel servizio, quello vero e pesante, quello spesso incompreso, non quello che si menziona solo come fosse un soprannome dato a cariche, prestigio, o visibilità! Possiamo chiederci se don Sturzo è stato un modello di prete.
È difficile dirlo.
Certo non credo sia immaginabile né tanto meno auspicabile nelle odierne circostanze un prete segretario di partito.
Ma forse questa domanda non è di particolare utilità.
Posto che fu testimone credibile, e che è ancora, e forse più di allora, testimone credibile, che importa se possa essere o meno anche un modello? Non abbiamo, forse oggi più che mai, bisogno di credenti, e di preti, che sappiano vivere la fedeltà nell’immaginazione, nella scelta, piuttosto che nella mera ripetizione? E se ci poniamo in questa prospettiva, ecco che la memoria di don Luigi si rivela feconda per la vita; ecco che l’istanza di fedeltà al vangelo e alla Chiesa, che sta di fronte a ogni battezzato e a ogni prete, si fa più bella.
Quella di don Luigi è una testimonianza feconda e di grande ammaestramento non per il grado di ripetibilità della sua esperienza, ma per l’intensità che essa raggiunse in alcune dimensioni, e che raggiunse sempre cercando nella vita soprannaturale la verità e la radice di ogni trama e di ogni istante della nostra vita terrena.
Don Luigi ci dà misure d’intensità che ci spronano e ci confortano insieme.
Pensiamo alla intensità della sua vita interiore.
Soprattutto i giovani dovrebbero essere informati sul regime, sul realismo e sulla qualità evangelica della sua vita di preghiera, per la maggior parte nascosta, non spettacolarizzata.
A noi può a volte persino spaventare la durata e la profondità dell’immergersi di don Luigi nel mistero di Dio a partire dalla parola di Dio.
Ma non solo a partire dalle Scritture.
Come potremmo infatti comprendere don Sturzo se separassimo la sua passione militante per lo studio dalla sua vita di preghiera? Forse proprio questa è una delle grandi sfide che ci troviamo dinanzi nell’atto d’accingerci ad affrontare l’emergenza educativa.
Giova alla preghiera cristiana una contrapposizione allo studio? Giova forse allo studio dei credenti una sua contrapposizione alla preghiera? Come per san Tommaso, anche per don Luigi questa contrapposizione non aveva alcuna legittimità, mentre noi, tante volte, ci ostiniamo a costruire tanto devozionalismo e anti-intellettualismo su questa nefasta e fuorviante opposizione! Pensiamo all’intensità con cui don Luigi ha saputo vivere l’obbedienza.
Quante carriere, quanta mondanità d’ogni genere don Sturzo ha saputo evitare o lasciare anche per obbedienza! Un’obbedienza non cieca, un’obbedienza non passiva, un’obbedienza forte, un’obbedienza senza adulazione o abiure.
Quanto conflitto gli ha generato dentro quella obbedienza.
Con la sua vita di libertà mai rinnegata, don Sturzo ci offre una misura d’obbedienza che ci aiuta rendendoci innanzitutto molto, molto umili.
Pensiamo ancora alla intensità con cui don Luigi ha vissuto la lotta, l’agonia del sano agonismo.
Una lotta interiore e pubblica.
Quanta poca ricerca di pace e di consenso a ogni costo nella sua vita spirituale, quale altissima e non infantile idea della comunione ecclesiale, comunione tra persone diverse e libere.
Pensiamo – ed è l’ultimo cenno, che però non posso non fare – alla intensità con cui don Luigi ha sempre cercato la via del rinnovamento, personale, ecclesiale, civile.
Pensiamo a come è riuscito a farsi aprire la mente e il cuore dagli studi romani, a come è riuscito a farsi mutare dall’esperienza pastorale e socio-politica dei primi anni dopo il ritorno in Sicilia, infine a come ha saputo farsi cambiare dall’esperienza durissima dell’esilio – come non attenerci ancora oggi saldamente alla sua dura denuncia delle tre “male bestie”: statalismo assistenzialista, cultura della spesa pubblica, partitocrazia? Forse don Luigi non sarà un modello ripetibile, ma di certo è testimone e sprone a una misura elevatissima d’intensità nella vita interiore, d’intensità nell’obbedienza ecclesiale, di intensità nel coraggio dell’agonismo, e d’intensità nel coraggio del rinnovamento.
(©L’Osservatore Romano – 4 ottobre 2009)

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