Cambi importanti

Proprio mentre in Italia, tra agosto e settembre, era in atto la drammatica defenestrazione di Dino Boffo, direttore unico dei media di proprietà della Chiesa cattolica, sull’altra sponda del Tevere si preparava in silenzio e quiete il cambio al vertice di un altro ente chiave, lo IOR, Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana.
Anche lo IOR, propriamente, sta vivendo tempi burrascosi.
Un libro che ne descrive le malefatte, con tanto di documenti inoppugnabili, è da mesi nell’alta classifica dei best seller.
In esso però la brutta figura non è dello IOR in quanto tale, ma delle sue pecore nere di un tempo che fu, i monsignori Paul Marcinkus e Donato De Bonis.
Il banchiere Angelo Caloia, presidente dello IOR negli ultimi quindici anni, esce anzi dal libro con l’aureola del cavaliere bianco, del coraggioso che ha cacciato i ribaldi, ripulito le stalle, restituito alla banca del papa un’immagine virtuosa.
Il suo congedo e la nomina come successore di Ettore Gotti Tedeschi (nella foto) sono stati annunciati in pace e reciproca stima tra i due, la mattina del 23 settembre.
Quello stesso giorno il direttivo della conferenza episcopale italiana, cioè i trenta cardinali e vescovi di prima fila, erano riuniti a Roma a porte chiuse per discutere di tante cose, tra le quali proprio la successione a Boffo.
Ma né da quel summit, né dai conciliaboli dei giorni successivi è finora uscito un orientamento unitario.
Boffo era molto più che un professionista dei media: era il “progetto culturale” del cardinale Camillo Ruini realizzato sul versante della comunicazione, era il tramite attraverso cui il messaggio della Chiesa si faceva “cultura popolare”.
Ruini era stato per sedici anni, dal 1991 al 2007, presidente della CEI e con lui la Chiesa era tornata protagonista dello spazio pubblico come mai in passato.
Il suo progetto era la perfetta trasposizione in Italia della visione planetaria di Giovanni Paolo II.
Via lui, le opposizioni al disegno ruiniano hanno ripreso fiato tra i vescovi, il clero, il laicato cattolico, oltre che nella segreteria di Stato vaticana.
C’era Boffo a tenere la linea di resistenza, dalla cabina di regia del quotidiano “Avvenire”, della tv Sat 2000, delle radio.
Ora che anche lui è saltato, travolto dal “Giornale” di Vittorio Feltri e Silvio Berlusconi, nonché impallinato da cattolici influenti che erano stati tra le sue firme pregiate, da Vittorio Messori a Giovanni Maria Vian, quest’ultimo attuale direttore de “L’Osservatore Romano”, la scelta di chi gli succederà dirà anche la futura direzione di marcia della gerarchia cattolica italiana.
Allo IOR è tutt’altra musica.
Lì il ricambio è già avvenuto e in piena trasparenza, per volontà della segreteria di Stato e con il placet di Benedetto XVI.
Se di Angelo Caloia le biografie erano scarne, rarissime le uscite pubbliche, insondabile il pensiero, tutto l’opposto accade con il suo successore alla testa della banca vaticana.
Di Ettore Gotti Tedeschi si conoscono vita e miracoli, simpatie e frequentazioni, agenda ed idee.
L’ultima sua sortita, prima della nomina, è stata il 19 settembre al Palazzo della Borsa di Genova.
Ha discusso, assieme all’arcivescovo della città e presidente della CEI, cardinale Angelo Bagnasco, l’enciclica “Caritas in veritate” di Benedetto XVI.
Ha detto che l’attuale crisi mondiale dell’economia “ha avuto origine dal non aver seguito le indicazioni della ‘Humanae vitae’, cioè dalla negazione della vita e dal blocco delle nascite”.
Lo stesso concetto Gotti Tedeschi l’aveva espresso anche in un editoriale su “L’Osservatore Romano” dello scorso 6 giugno.
Se l’egemonia economica del mondo passerà dall’Occidente alla Cina, ha scritto, è per i differenti tassi di natalità e di densità di popolazione.
L’andamento demografico determina la crescita o la decrescita della capacità produttiva di un’economia.
Di figli ne ha cinque, Gotti Tedeschi: “e tutti da una moglie sola”, precisa.
Abita nelle campagne di Piacenza, dove è nato 64 anni fa, a Pontenure, non lontano dal grande fiume Po.
La mattina si alza prestissimo, come un monaco.
Con la sua Bmw raggiunge Milano all’alba.
Legge i giornali nel suo ufficio di presidente in Italia del Banco di Santander, la prima banca privata d’Europa, di proprietà di una famiglia laica di Spagna, i Botin.
Poi va a messa tutte le mattine, mai che ne salti una.
Insegna etica della finanza all’Università Cattolica di Milano.
Ma è anche consigliere della Banca San Paolo di Torino e della Cassa Depositi e Prestiti, che è il braccio operativo del ministero del Tesoro.
Il 23 settembre, mentre il Vaticano rendeva pubblica la sua nomina a nuovo presidente dello IOR, Gotti Tedeschi era a Roma proprio a una riunione decisiva della Cassa, ad approvare un piano industriale di 50 miliardi di euro in infrastrutture ed edilizia popolare.
La Cassa Depositi e Prestiti è creatura prediletta di Giulio Tremonti, l’attuale ministro del Tesoro, del quale Gotti Tedeschi è consigliere “per i problemi economici, finanziari ed etici nei sistemi internazionali”, una carica istituita apposta per lui.
Prima della nomina, Gotti Tedeschi non aveva mai messo piede allo IOR, né se n’era mai occupato.
Ma in Vaticano era già da qualche tempo di casa.
Il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato, l’aveva chiamato in aiuto un anno fa per raddrizzare la gestione finanziaria del Governatorato della Città del Vaticano, i cui bilanci sono andati in rosso nel 2008 per più di 15 milioni di euro.
La cura pare abbia funzionato.
Il principale responsabile della cattiva gestione, il segretario generale del Governatorato, monsignor Renato Boccardo, è stato spedito a vescovo di Spoleto e Norcia, lui che ambiva a una nunziatura di primissimo ordine e per questo aveva persino rifiutato la sede di Vienna.
Al suo posto c’è ora il lombardo Carlo Maria Viganò, che tra non molto salirà anche al grado più alto del Governatorato, rimpiazzando l’attuale numero uno, il cardinale Giovanni Lajolo.
Come banchiere Gotti Tedeschi si è formato in quella nave scuola della grande finanza internazionale che è l’americana McKinsey.
Come cattolico si è convertito da “superficiale” a fervente negli anni Sessanta, con maestro spirituale Giovanni Cantoni, fondatore di Alleanza Cattolica.
I libri che hanno rivelato il suo pensiero al grande pubblico sono “Denaro e Paradiso”, del 2004, con prefazione del cardinale Giovanni Battista Re, e “Spiriti animali.
La concorrenza giusta”, edito dall’Università Bocconi e con la prefazione di Alessandro Profumo, presidente della prima banca italiana in Europa, Unicredit.
Ma poi vi sono state anche altre sue uscite pubbliche minori, eppure non meno rivelatrici.
Nel 2007 Gotti Tedeschi, lui che è il più cattolico dei banchieri, firmò un manifesto ultraliberista in 13 punti lanciato dall’ex segretario del laicissimo partito radicale, Daniele Capezzone.
Il manifesto proponeva un’unica “flat tax” al 20 per cento, il presidenzialismo sul modello americano o francese, il credito d’imposta per la sanità e la scuola, l’obbligo per il pubblico amministratore di pagare i danni da lui arrecati, la pensione a 65 anni per tutti, la detassazione del lavoro straordinario, l’abolizione degli ordini professionali e del valore legale dei titoli di studio.
Anni fa Gotti Tedeschi propose di assegnare il Nobel per l’economia a Giovanni Paolo II, per l’enciclica “Centesimus annus”.
Più di recente a Benedetto XVI per la “Caritas in veritate”, alla cui stesura egli ha contributo.
Anche al premier inglese Gordon Brown ha quest’anno augurato il Nobel, per aver appoggiato su “L’Osservatore Romano” una sua proposta grandiosa e “vantaggiosa” di investimento nei paesi poveri, a favore di quei due o tre miliardi di persone che attendono solo di migliorare la loro vita.
Lo IOR appare fin troppo stretto per un nuovo presidente dai così vasti ed esplosivi propositi.
Ma l’avventura è appena cominciata.

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