Il “Piano per l’occupabilità dei giovani”, presentato ieri alla stampa, punta all’integrazione tra apprendimento e lavoro.
Ai giovani «non dobbiamo offrire pesci ma canne per pescare», ha esemplificato Sacconi, e cioé strumenti di formazione effettivamente spendibili nell’impiego.
Invece in Italia oggi si sommano due patologie: da un lato il precoce abbandono delle attività educative, la dispersione scolastica, dall’altro il tardivo ingresso nel mondo del lavoro.
«Noi vogliamo agire – ha detto – per riempire la vita dei giovani sotto i 25 anni di attività utili al loro futuro.
Basta con la generazione né-né, vale a dire quella di chi né studia proficuamente, né lavora».
Il ministro Gelmini ha sottolineato poi come l’Italia sia in coda in Europa per l’abbandono scolastico: nel 1997 la dispersione in Europa era del 19% e in Italia del 30%, oggi la media Ue è scesa al 10% mentre l’Italia si attesta al 19%.
I dati non sono confortanti neanche per quanto riguarda l’età di uscita dall’università: erano 28 anni con il vecchio ordinamento, sono 27 oggi.
I due ministeri costituiranno una «cabina di regia» (costituita da tre rappresentanti ognuno) con il compito di coordinare le iniziative per l’occupabilità dei giovani e monitorare i risultati.
Ma quali sono le sei linee di intervento messe in cantiere? La prima vuole «facilitare la transizione dalla scuola al lavoro», che rappresenta oggi una delle «principali criticità» del nostro Paese per i suoi tempi troppo lunghi e per le sue modalità «non di rado ai limiti della legalità».
In secondo luogo occorre «rilanciare l’istruzione tecnico-professionale».
Terzo, «rilanciare il contratto di apprendistato».
Poi bisogna «ripensare l’utilizzo dei tirocini formativi, promuovere le esperienze di lavoro nel corso degli studi, educare alla sicurezza sul lavoro, costruire sin da scuola e Università la tutela pensionistica».
Quindi va «ripensato il ruolo della formazione universitaria».
Infine, sesto e ultimo obiettivo, «aprire i dottorati di ricerca al sistema produttivo e al mercato del lavoro».
Il piano governativo punta a investire sulla mobilità degli studenti, «superando la logica della moltiplicazione delle sedi, ampliando il numero delle borse di studio e delle residenze legate al merito» e mettendo in campo strumenti di finanziamento per gli studenti.
Il tutto con l’obiettivo di superare gradualmente il valore legale del titolo di studio, come ha ripetuto lo stesso ministro dell’Istruzione.
Bisogna voltare pagina, spiegano Sacconi e Gelmini nel documento presentato, perché «i già precari equilibri del mercato del lavoro e del sistema previdenziale saranno sempre più messi in discussione dall’invecchiamento della popolazione e dagli squilibri territoriali che produrranno un aumento della pressione migratoria e un progressivo inurbamento.
«Se non introdurremo correttivi – avvertono – persisteranno gli attuali alti livelli di dispersione scolastica e universitaria che non possiamo più permetterci di tollerare».
Un piano d’azione in sei mosse per ricomporre «la frattura tutta italiana fra istituzioni educative e mercato del lavoro».
Per i ministri del Welfare Maurizio Sacconi e dell’Istruzione, Mariastella Gelmini bisogna cambiare rapidamente rotta: l’obiettivo è ribaltare il pronostico negativo che per il 2020 vede «il nostro Paese in una posizione di grave difficoltà rispetto alle prospettive demografiche, occupazionali e di crescita».
Si prevede, infatti, secondo i due stessi ministri, «una forte carenza di competenze elevate e intermedie legate ai nuovi lavori e un disallineamento complessivo della offerta formativa rispetto alle richieste del mercato del lavoro».
In pratica le imprese troveranno sempre meno le professionalità che cercano e i giovani il lavoro per cui hanno studiato.
Già oggi del resto la situazione è molto seria: sul mercato non si trovano 180mila tecnici intermedi.
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