Al presbiterio, una famiglia “in missione

Tutte le mattine, Émilie de Lepinau si alza al suono delle campane a pochi metri dalle sue finestre.
Aprendo le imposte, la giovane ventinovenne si concede qualche momento di ammirazione per la vista panoramica, dall’alto del presbiterio, sulla chiesa Saint-Maxime d’Antony (Hauts-de-Seine), a sud di Parigi.
Mentre lei fa far colazione ai suoi quattro figli, suo marito Marco, 31 anni, attraversa il cortile per andare ad aprire il portone della chiesa prima di recarsi al lavoro.
Da cinque anni, la coppia abita sopra le sale del catechismo, nel presbiterio.
“Siamo una ‘famiglia   d’accoglienza’, spiega Émilie.
Il nostro ruolo è innanzitutto quello di rendere vivo il luogo,   abitandovi.” Nella diocesi di Nanterre, come loro, una quindicina di famiglie hanno ricevuto una   missione dal vescovo: essere “una presenza cristiana nel quartiere”, aggiunge.
Le modalità sono   state definite con il parroco della parrocchia quando sono arrivati, padre Didier Berthet, secondo i bisogni del luogo e i desideri dei Lepinau.
Si tratta di partecipare alla manutenzione quotidiana, di impegnarsi nei gruppi di catechesi e nell’animazione della preparazione al battesimo…, quindi non di sostituire il prete o di incaricarsi del lavoro dell’équipe dei laici.
Émilie non dimentica che a lei spetta portare “solo una piccola pietra alla costruzione.
Mio marito vuota le pattumiere delle   chiesa, io assicuro la presenza per l’accoglienza il sabato mattina, e partecipiamo ad alcune attività.
Ma se sento che è meglio occupare la serata stando con i miei bambini, non esito a trascurare una riunione che si svolge al piano di sotto.” La vita della loro famiglia risente comunque del ritmo della parrocchia.
Come per il Natale, che passano nel presbiterio, invitando spesso il parroco e dei preti che insegnano all’università e che non conoscono nessuno.
E avere una chiesa in fondo al giardino influenza continuamente il loro vissuto quotidiano, dandogli una forte dimensione spirituale.
“Quando Marc chiude il portone alla sera,   porta con sé i figli più grandi per pregare con loro.” Durante la giornata, quando Émilie gioca con   suoi bambini nel cortile del presbiterio, i parrocchiani vengono spesso a sedersi accanto a lei.
“Si   deve accogliere, essere in ascolto, constata Émilie.
Ma nel limite del rispetto della nostra intimità.”   Alle tre del mattino, quando un senzatetto o un ubriaco viene a suonare, Marc dà informazioni su dove rivolgersi, ma “il nostro ruolo non è quello di ospitarli”, aggiunge Émilie.
  “Non è un lavoro, è una missione”, insiste.
Le sue giornate sono sempre molto piene, e lei   approfitta in ogni istante di questa “situazione di lusso” spirituale.
“Potersi raccogliere davanti   all’altare, da sola, conclude la giornata in bellezza e permette di relativizzare, continua.
Da   giovani, eravamo dei cristiani nomadi.
Qui, siamo immersi nella realtà di una parrocchia.
Quando prendo un caffè sul mio balcone, vedo le persone che vengono a pregare durante la giornata e, ogni volta, sono sorpresa nello scoprire persone così diverse.
Mi chiedo sempre come certi trovino il tempo di venire così spesso.” Odile e Aranud Sesboüé, impegnati in un’avventura simile, possono ormai giudicare con maggiore distacco: per quattro anni hanno abitato in una parrocchia di Indre-et-Loire.
Oggi stabilito a Le Mans (Sarthe), Arnaud, farmacista cinquantenne, ammette del resto di aver “fatto fatica a partire”.
  Eppure, quando sono arrivati nella grande casa “di vecchie pietre” accanto alla chiesa Notre-Dame   de Richelieu (Indre-et-Loire), con quattro figli tra cui un neonato, non sono stati accolto a braccia aperte.
“La parrocchia era divisa e a certi dispiaceva molto che non fosse un prete ad occupare il   presbiterio, vuoto da cinque anni”, ricorda Arnaud.
Dopo un periodo di adattamento, i rapporti sono   stati più facili, “quando la gente ha capito che eravamo una famiglia come le altre, solo desiderosa   di mettersi a servizio della Chiesa”, aggiunge Odile, 45 anni.
  “Ben presto, i nostri figli hanno animato il giardino, attirando una banda di ragazzini a giocare con loro, racconta.
Eravamo al centro della città, e di fronte c’era la scuola.
Allora, quando una   mamma tardava a recuperare il figlio all’uscita da scuola, la maestra mi chiedeva se potevo occuparmene nell’attesa.” La cittadina, dove San Vincenzo de Paoli abitò per un po’ nel XVII   secolo, attira molti gruppi di pellegrini che passano dalla chiesa, ma anche dalla casa dei Sesboüé.
    “Abbiamo fatto degli incontri molto belli, racconta Arnaud.
Un pomeriggio d’inverno, due religiose,   una canadese ed un’australiana, hanno bussato alla porta del presbiterio.
Volevano solo visitare la sacrestia, ma ci siamo ritrovati a bere un caffè e a discutere in cucina fino alla sera” Nella vita   quotidiana, Arnaud e Odile erano diventati una vera “presenza di e nella Chiesa”, qualcuno a cui   rivolgersi in occasioni speciali.
“Dopo un decesso, le famiglie venivano da noi, cercando il   parroco.
Siccome non era di nostra competenza, servivamo da tramite verso i servizi appropriati.
Ma eravamo i primi a cui rivolgersi anche in caso di problemi .” Come in quella domenica, in cui   dei parrocchiani hanno fatto irruzione nella loro cucina per avvertirli che il tabernacolo era stato profanato.
La maggior difficoltà di queste coppie, sottoposte ad una sorta di vita pubblica è quella di sapersi proteggere.
“È anche successo che ci chiedessero di fare di più, sempre piccole cose, ma che   avrebbero potuto invadere e destabilizzare il nostro equilibrio familiare”, ricorda Arnaud.
Il prete   referente ha sempre chiaramente definito la loro missione, opponendosi al fatto che si accollassero troppe responsabilità.
“Se padre Xavier Malle non avesse insistito sui limiti del nostro ruolo, non   avremmo resistito”, aggiunge Odile.
  Era solo “una missione sul nostro cammino di fede”.
Eppure, lasciare il presbiterio è stato difficile   per la famiglia Sesboüé.
“C’è un grande vuoto, dopo, ammette Odile.
Era anche un grosso   impegno, allora nell’anno successivo al nostro trasloco abbiamo assunto degli impegni meno gravosi.” Prima di lanciarsi nel loro prossimo progetto: una formazione per degli adolescenti che   stanno seguendo attualmente.
Ad Antony, anche Émilie e Marc sono coscienti del fatto che è solo     “per un periodo”.
“Resteremo sempre legati a questo presbiterio, perché due dei nostri figli sono nati qui e per ora è il posto dove abbiamo abitato più a lungo, confida Émilie.
Sapere che non sarà   per tutta la vita ci spinge a viverlo al massimo.
Anche se siamo riconoscenti di aver la fiducia dei preti per essere ‘immagine di Chiesa’, a volte mi piacerebbe andare a messa in incognito!” in “La Croix” del 12 settembre 2009 (traduzione.
www.finesettimana.org)

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