Il mito della ferrovia

Ma c’è di più.
L’intera cultura americana, come ha mostrato Leo Marx, è attraversata dallo sforzo di riassorbire la potente esplosione del progresso nell’immagine pastorale di una natura incontaminata, per arrivare “all’unione violenta di arte progredita e natura selvaggia”, di macchina e natura.
“La locomotiva, associata al fuoco, al fumo, alla velocità, all’acciaio e al rumore” diventa così “il simbolo principale della nuova forza industriale”.
Il simbolo di una rivoluzione che non solo plasma il paesaggio, ma schiude agli americani il regno della possibilità illimitata, incarnata nella promessa di movimento offerta dal treno.
Ritroviamo così una costante della civiltà a stelle e strisce: investire del senso del sacro e della trascendenza, realtà – come l’intero arco dei mezzi tecnologici – decisamente terrene.
Il movimento per l’americano è sempre liberatorio, e la “liberazione” che esso fa balenare è sempre spirituale oltre che fisica.
Ma se il treno irrompe come occasione di liberazione, tale possibilità resta preclusa a una parte della popolazione: gli afro-americani.
L’accesso alla libertà simboleggiata dai binari è una chimera per i neri anche dopo la fine della schiavitù e, al tempo stesso, il desiderio di esplorare le nuove libertà è più potente in persone che solo da poco ne avevano riconquistato il diritto a goderne.
John Michael Giggie intravede in questo spazio simbolico la più importante differenza tra i bianchi e i neri nell’accostarsi al treno.
“Anche se i bianchi e neri raccontano le stesse storie sulle ferrovie, gli afro-americani riempiono le loro parole, le loro immagini, le loro memorie con significati tratti dall’esperienza storica della segregazione.
Quando i neri cantano o rappresentano l’esperienza della salvezza – raggiungere il paradiso su un treno – essi concepiscono quest’ultimo come un veicolo di trasformazione spirituale e razziale che li trasporta in un tempo e in uno spazio nel quale la salvezza decreta anche la fine del razzismo”.
Una delle più antiche metafore del treno in chiave religiosa appare nel brano I’m going home to die no more: in esso i binari congiungono “la terra alla vita eterna”, la stazione alla quale vengono fatti salire i passeggeri è “il pentimento”.
Nell’inno Life’s railway to heaven la vita è assimilata “a una ferrovia che corre tra le montagne”.
A guidare il Gospel train, altro celebre spiritual, “è Gesù in persona”: “Il treno gospel sta arrivando / lo sento è proprio qui / sento le ruote che sferragliano/ tutti a bordo / tutti a bordo / tutti a bordo figlioli / c’è ancora posto”.
Nel brano compare un topos che verrà continuamente ripreso: l’idea che la salvezza non conosce distinzioni di censo o di razza, “non c’è seconda classe” sul gospel train.
In This train, brano che sarà riadattato anche da Woody Guthrie, uno dei padri della canzone folk americana, il treno è “diretto verso la gloria”: “Questo treno non trasporta speculatori, questo treno / neppure imbroglioni o ladri o pezzi grossi a zonzo // questo treno non trasporta bugiardi questo treno”.
Anche nel blues ricorre il motivo del treno come figura di un transito di natura religiosa.
In All I want is that pure religions, Blind Lemon Jefferson grazie “al treno che arriva dalla curva”, è pronto “a lasciare questo mondo pieno di sofferenze”.
E in When the train comes along, interpretato da Henry “Rag time Texas” Thomas, l’incontro con Gesù “si compie alla stazione”.
Il fischio del treno riecheggia anche nel rock e nella canzone d’autore.
Sul treno di Down there by the train, cantato da Tom Waits, non sale solo chi non si è mai macchiato.
Il treno conduce alla redenzione dei peccatori.
Il treno ammette tutti: “Non ho mai chiesto il perdono / mai pronunciato una preghiera / mai donato me stesso / non mi sono mai veramente preoccupato delle persone che mi amavano e che ho lasciato / sono sempre un Caino / ho preso quella lenta strada / e se farai lo stesso / mi incontrerai lì con il treno”.
Anche in Land of hope and dreams di Bruce Springsteen, il treno non è riservato ai pochi, non è esclusiva degli eletti.
Il treno che corre verso “la terra della speranza e dei sogni” trasporta “santi e peccatori”, “vinti e vincitori”, “prostitute e giocatori d’azzardo”, “anime perse” e “cuori spazzati”, “ladri e anime trapassate”, “pazzi e regnanti”.
E che si tratti di una realtà “altra”, di una prefigurazione del Regno, lo confermano le parole del protagonista che – alla donna che lo accompagna – assicura: “Questo giorno sarà l’ultimo”.
Nel ritornello del brano, assieme all’incedere del treno, trova spazio la certezza che “la fede sarà ricompensata”.
E in People get ready di Curtis Mayfield, una delle personalità più complesse del rhythm and blues, il treno che “prende su passeggeri da costa a costa”, “corre verso il Giordano”: “non serve biglietto / solo ringraziare il Signore”.
Chi ha continuamente cantato di treni è Bob Dylan.
Come ha scritto Bryan Cheyette, “il mondo – eternamente in movimento ed eternamente uguale a se stesso – dei treni, è una potente metafora delle tante trasformazioni e dei tanti io che affollano l’artista Dylan”.
Se sono molteplici i significati di cui si carica il simbolo del treno nella musica di Dylan, è in Slow train coming che esso diventa figura del Giudizio e del suo inesorabile avvicinarsi.
(©L’Osservatore Romano – 2 settembre 2009) Il treno è tra i simboli più potenti con i quali la canzone americana – questo ricchissimo intreccio di reminiscenze africane e innodia europea, di ballata popolare di origine anglo-scozzese e tradizione afro-americana – ha narrato l’irruzione della salvezza.
Un simbolo le cui prime codificazioni risalgono alla stagione degli spiritual, i canti degli schiavi neri e che, grazie a continue riprese e rielaborazioni, attraversa l’intera storia della canzone statunitense.
Ma perché il treno occupa tanto spazio nell’immaginario americano, e non solo religioso? Cosa il suo “sferragliare”, il suo “spuntare dalla curva”, continuamente rievocato in mille canzoni, fa vibrare nell’animo americano? Come ha scritto Joel Dinerstein, “il treno contribuì a unificare il Paese geograficamente, tecnologicamente, musicalmente, psicologicamente.
Per gli americani il suono dei treni era la musica del progresso stesso: insieme vettore del cambiamento tecnologico e promessa di mobilità”.
Niente si accordava meglio della velocità del treno all’uomo americano, “senza radici, perennemente in movimento, affamato di velocità e accelerazione”.
Se, come ha notato Cecilia Tichi, è proprio degli americani essere “catturati proprio nel mezzo, sospesi in viaggi a cui non possiamo porre una fine, costretti a correre da e verso posti che ci sfuggono continuamente”, se l’americano vive in uno stato di continua sospensione tra la casa e la strada, se il viaggio costituisce l’ordito di una nazione che non ha mai smesso di “percepire se stessa in modo mitico” (Francesco Dragosei), allora si può comprendere l’attenzione quasi ossessiva accordata al treno dalla musica statunitense.

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