Il sangue nelle culture degli ebrei e dei cristiani, il sangue come simbolo che attraversa i due mondi e le loro credenze e ritualità: il sangue dei sacrifici e il sangue di Cristo, il sangue dei martiri, quello della circoncisione e quello dell’accusa di omicidio rituale rivolta agli ebrei.
Un appassionante percorso tra le due culture, attraverso questo filo rosso che le congiunge e al tempo stesso ne separa la strada, ripercorso nei tempi lunghi della storia, dalla Bibbia fino all’oggi, da David Biale, professore di storia ebraica in California noto al pubblico italiano soprattutto per il suo L’eros nell’ebraismo, tradotto nel 2003 (Firenze, La Giuntina).
Di questa storia complessa l’autore individua continuità e rotture, ma anche suggestioni reciproche, inaspettati prestiti culturali e simbolici, riaffermazioni identitarie contrapposte.
Il libro (David Biale, Blood and belief.
The circulation of a symbol between jews and christians, Berkeley, University of California Press, 2007; traduzione francese, Montrouge, Bayard, 2009, pagine 397, euro 29) vuole infatti essere uno “studio di mentalità”, si propone di “analizzare la storia culturale di una sostanza materiale”.
Uno sguardo sintetico di lungo periodo, che si fonda su un impressionante apparato di fonti e di bibliografia critica, e al tempo stesso racconta, spiega, interroga le curiosità del lettore in un linguaggio sempre accessibile, mai rivolto esclusivamente agli addetti ai lavori.
Le origini sono nella Bibbia, e in particolare in un passo dell’Esodo (24, 3-8) in cui Mosè asperge il popolo con una parte del sangue dei sacrifici, a significare l’alleanza con Dio.
Versetti complessi e inquietanti, che offriranno diverse e divergenti possibilità interpretative tanto alla lettura patristica che a quella rabbinica.
Due mondi entrambi derivati dalla Bibbia ebraica, e legati fra loro da nessi complessi e inaspettati, oltre che da conflitti assai duri per la supremazia.
Non una derivazione/separazione del mondo cristiano da quello ebraico – sottolinea Biale – ma cristianesimo ed ebraismo rabbinico come due nuove religioni che nascono dall’antica religione biblica.
In questo passaggio fondamentale, la direzione generale è quella, per il cristianesimo, di trasformare il sangue in un simbolo, quello eucaristico, che al tempo stesso ne salvaguardi anche il valore di realtà corporale e indichi la corporeità del Cristo.
Un passaggio però complesso, perché la presenza reale nell’Eucaristia si afferma con difficoltà e non senza opposizione fra i primi padri.
Dall’altra parte, l’ebraismo rabbinico, dopo la fine dei sacrifici animali con la caduta del Tempio, sembra rifiutare il sangue, sottolineando il divieto di cibarsene, ma mantiene nei divieti e nelle interpretazioni – circoncisione, purezza femminile, concezione dei rapporti sessuali – un’attenzione assai ambivalente verso questo stesso sangue, quasi a rispecchiare l’ambivalenza del primo cristianesimo.
In questo complesso passaggio, le due religioni si interpretano e si riecheggiano, oltre che combattersi, e i rapporti tra di esse ci appaiono, attraverso questo filtro della purezza e del sangue – ma anche del potere dato alla gestione del sangue – molto più ricchi e complessi di quanto non ci si aspetti. Che il filo non sia rotto del tutto lo si vede anche nell’ideologia del martirio, in cui – sottolinea Biale – il martirologio cristiano echeggia temi biblici e suggestiona, a partire dal secondo millennio, quelli del martirologio ebraico, in una “stupefacente convergenza tra la teologia ebraica e quella cristiana”.
L’altro nodo importante è quello del consolidamento a dogma della dottrina eucaristica e del contemporaneo emergere delle accuse agli ebrei di profanazione dell’ostia e di omicidio rituale.
Nell’accusa di profanazione dell’ostia, il sangue sgorga dall’ostia ferita, a significarne la presenza reale del Cristo, mentre in quella dell’accusa del sangue gli ebrei raccolgono a scopi rituali e medicinali il sangue della loro vittima cristiana.
Il libro analizza queste favole, che tanto sangue degli ebrei hanno fatto spargere, allargando il discorso dall’accusa del sangue in sé alla cultura del sangue nelle forme diverse assunte tra gli ebrei e tra i cristiani.
Un intento questo, di inserire l’accusa del sangue nel modo in cui il sangue era percepito dalla società del tempo, da cui era partito lo stesso Ariel Toaff nelle sue Pasque di sangue.
Ma, a differenza di Toaff, che si serve della cultura del sangue per dimostrare che gli ebrei non avevano poi tutto l’orrore del sangue che si attribuisce loro – con conseguenza di poter anche praticare l’omicidio rituale – Biale scava nell’immaginario rispettivo dei due mondi, interpreta con sguardo antropologico ritualità, linguaggi e pratiche, e riconduce le accuse, come le ritualità, ai linguaggi e alle culture religiose che li sottendono.
Il libro insegue così il percorso del sangue attraverso il medioevo e la prima età moderna, non senza soffermarsi sulle leggi di limpieza de sangre della Spagna fra Quattrocento e Cinquecento e sul nesso fortissimo, nella cultura spagnola tanto ebraica che cristiana, fra sangue e onore.
L’autore passa infine a trattare il momento della modernità e l’uso del sangue nell’antisemitismo razziale e poi nel nazismo e nel suo “antisemitismo redentore”, dove Biale riprende la calzante espressione di Saul Friedländer.
Quali sono le continuità, quali le fratture? I legami con il passato esistono, sostiene Biale, le radici medievali cristiane sono ben presenti, ma anche la discontinuità è netta, dal razzismo biologico al mito del “Cristo ariano” all’anticristianesimo radicale del nazismo.
Un capitolo ricchissimo, in cui Biale scava, più che nella cultura nazista vera e propria, in testi dimenticati dai più e di grande interesse per comprendere la costruzione ideologica che ha portato al nazismo.
Poi, con coraggio e senza reticenze, Biale affronta nell’ultimo capitolo anche le suggestioni della cultura della razza e dei nazionalismi sugli ebrei e sulla loro cultura, in particolare sul sionismo e sull’idea della comunità di sangue, soffermandosi sul conflitto tra il sionismo della terra e quello spirituale.
Per chiudere questo libro appassionante con le parole di un poeta ebreo polacco, Julian Tuwim, che nel 1944 si richiama non alla comunità di sangue creata dal sangue che cola nelle vene, ma da quella, di fraternità, creata da quello che ne sgorga.
La comunità di sangue frutto non della natura, ma della storia, non della biologia ma della sofferenza comune.
(©L’Osservatore Romano – 31 agosto – 1 settembre 2009 )
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