La Chiesa, Obama e Berlusconi

Con Barack Obama, la linea della Santa Sede diverge talmente da quella di una parte cospicua dei vescovi americani, che ha indotto più volte alcuni di questi a protestare vivacemente con le stesse autorità vaticane.
Suscitò scandalo, ad esempio, in alcuni vescovi americani, l’editoriale con cui “L’Osservatore Romano” commentò il 30 aprile 2009 i primi cento giorni del nuovo presidente.
Il quotidiano della Santa Sede non solo formulò sull’avvio della presidenza Obama un giudizio nell’insieme positivo, ma vi vide addirittura un “riequilibrio a sostegno della maternità”, cioè là dove le critiche dei vescovi erano e sono più pungenti.
Un altro elemento di conflitto è stata la decisione dell’Università di Notre Dame – la più famosa università cattolica degli Stati Uniti – di conferire il 17 maggio ad Obama una laurea ad honorem.
Un’ottantina di vescovi, un terzo dell’episcopato degli Stati Uniti, si espresse contro l’opportunità di dare quell’onorificenza a un leader politico le cui posizioni bioetiche erano manifestamente contrarie alla dottrina della Chiesa.
Tra i critici della presidenza Obama vi sono figure di grande rilievo nella gerarchia americana: dal cardinale Francis George, presidente della conferenza episcopale, al vescovo di Denver Charles Chaput.
George, come arcivescovo di Chicago, è concittadino di Obama e successore di Joseph Bernardin, l’arcivescovo e cardinale morto nel 1996 che l’attuale presidente degli Stati Uniti ricorda spesso con grande simpatia e commozione, come maestro di un cristianesimo non di conflitto ma di dialogo.
Prima e dopo la laurea di Notre Dame, vari vescovi americani espressero il loro disappunto per aver visto le loro critiche quasi ignorate dal Vaticano.
Non solo.
A irritarli ancora di più era il fatto che il Vaticano non si limitava a trascurare le critiche dei vescovi, ma elevava a Obama addirittura elogi entusiastici, quasi fosse un nuovo Costantino, capo di un moderno impero provvido per la Chiesa.
A dare questa impressione era stato un articolo del teologo emerito della casa pontificia, il teologo e cardinale svizzero Georges Cottier, pubblicato la vigilia della visita di Obama a Benedetto XVI, su una rivista legata ai circoli diplomatici della curia vaticana, “30 Giorni”.
A tranquillizzare un poco i vescovi americani più critici intervenne poi Benedetto XVI, che nel corso dell’udienza con il presidente degli Stati Uniti, avvenuta il 10 luglio, mise al primo posto proprio “la difesa e la promozione della vita ed il diritto all’obiezione di coscienza” e gli diede in dono i documenti della Chiesa in materia.
Ma ancora in queste ultime settimane il conflitto tra i vescovi e Obama appare tutt’altro che pacificato.
Un’ulteriore materia di disputa è diventata la proposta di riforma del sistema sanitario, che essi temono includa un finanziamento con denari pubblici dell’aborto.
E poi resta sempre vivace, dentro la stessa gerarchia, la controversia aperta dalla laurea di Notre Dame.
“America”, la rivista “liberal” dei gesuiti di New York, ha pubblicato sul suo ultimo numero di agosto due commenti contrapposti: il primo, criticissimo con Obama e con i cattolici con lui solidali, del vescovo John M.
D’Arcy, titolare della diocesi di Fort Wayne-South Bend nell’Indiana, in cui sorge l’università; il secondo dell’arcivescovo emerito di San Francisco, John R.
Quinn, capofila del cattolicesimo progressista, sostenitore di una “policy of cordiality” con l’amministrazione Obama.
Il cuore della controversia è venuto di nuovo alla luce alla fine di agosto in occasione della morte del senatore Ted Kennedy, un cattolico il quale – come scrisse egli stesso in una lettera a Benedetto XVI resa pubblica nei giorni scorsi – si battè tutta la vita per l’aiuto ai poveri, la cura dei malati, l’accoglienza dei migranti, l’abolizione della pena di morte.
“Avesse incluso tra queste buone cause la protezione del nascituro nel grembo materno, avesse dato più forte testimonianza a una coerente etica della vita, credo che il compianto e la preghiera della comunità cattolica sarebbero stati più pieni e accorati”, ha commentato un sacerdote e teologo di Boston che conosceva bene Ted Kennedy, Robert Imbelli.
Padre Imbelli è anche commentatore per “L’Osservatore Romano” e vi ha scritto cose simili anche a proposito di Obama.
Fosse per lui, i vescovi americani critici non avrebbero avuto ragione per protestare con il giornale vaticano.
Da alcuni mesi due leader politici di prima grandezza sono sotto osservazione critica da parte delle gerarchie della Chiesa, in due paesi chiave del cattolicesimo mondiale: Barack Obama negli Stati Uniti e Silvio Berlusconi in Italia.
Sia con l’uno che con l’altro, la Santa Sede e i rispettivi episcopati nazionali non adottano il medesimo approccio.
Le autorità vaticane appaiono più inclini a un rapporto pacifico e distensivo, mentre gli episcopati nazionali appaiono più critici e combattivi.
In entrambi i casi, nel conflitto entrano in gioco anche due giornali di Chiesa: “L’Osservatore Romano”, organo del Vaticano, e “Avvenire”, il quotidiano di proprietà della conferenza episcopale italiana.
Col capo del governo italiano Silvio Berlusconi i motivi di attrito con la Chiesa sono principalmente due, da qualche mese a questa parte.
Il primo è l’immigrazione.
Il governo Berlusconi applica regole molto severe nel selezionare gli ingressi e respingere i clandestini.
E ciò provoca le reazioni critiche di una larga parte delle organizzazioni di Chiesa, per le quali “l’accoglienza” è il primo precetto, se non l’unico.
La linea ufficiale della conferenza episcopale, secondo cui l’accoglienza deve invece essere sempre accompagnata e bilanciata dalla legalità e dalla sicurezza, viene di conseguenza tacciata – dal clero e dal laicato cattolico più impegnati nel “sociale” e da alcuni degli stessi vescovi – come eccessivamente moderata, o peggio, subalterna al governo Berlusconi.
Lo stesso avviene per il quotidiano di proprietà dei vescovi, “Avvenire”.
Ma se si confronta “Avvenire” con “L’Osservatore Romano”, è semmai quest’ultimo che appare di gran lunga il più rispettoso delle decisioni del governo, in materia di immigrazione.
Giovanni Maria Vian, il professore di storia che dirige il giornale vaticano, in un’intervista del 31 agosto scorso al “Corriere della Sera” ha detto che alcuni articoli di “Avvenire” sono stati così “esagerati e imprudenti”, nel criticare il governo, da destare sconcerto in Vaticano.
Ne ha denunciati due in particolare: un editoriale nel quale si paragonava un caso di naufragio di migranti africani nel Mediterraneo allo sterminio degli ebrei nell’indifferenza di tutti; e un altro articolo nel quale si contestava l’affermazione del ministro degli esteri italiano secondo cui l’Italia è il paese europeo che ha soccorso in mare più immigrati.
Neppure in Vaticano, propriamente, mancano le voci discordi.
Anzi.
L’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del pontificio consiglio per i migranti, è criticissimo della linea del governo italiano ed è il prediletto dei giornali di opposizione, nonostante la segreteria di Stato abbia fatto sapere più di una volta che egli parla a titolo personale e rappresenta solo se stesso.
Un altro dirigente di curia che parla a ruota libera contro la politica del governo sull’immigrazione è il cardinale Renato Martino.
Ma è stato da poco sostituito, come presidente del pontificio consiglio per i migranti, dall’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, che viene dalla diplomazia ed è la prudenza in persona.
Insomma, “i rapporti tra le due sponde del Tevere sono eccellenti”, ha affermato il professor Vian nella stessa intervista, intendendo con le due sponde il governo italiano e la Santa Sede.
A conferma di ciò il direttore de “L’Osservatore Romano” ha citato e difeso il totale silenzio del suo giornale sul secondo elemento dell’attuale scontro tra Berlusconi e la Chiesa.
*** Questo secondo elemento riguarda la vita privata del premier, in particolare gli svaghi da lui riassunti così: “In Italia ci sono tante belle figliole e io non sono un santo”.
Ad accendere, a metà giugno, la campagna di accuse contro la vita privata di Berlusconi sono state dapprima la sua seconda moglie – dalla quale si sta separando – e soprattutto “la Repubblica”, il giornale leader della sinistra italiana, quello che, per paradosso, da sempre predica la liberazione dai vincoli della morale cattolica.
Da allora, questa curiosità sulla vita sessuale di Berlusconi occupa continuativamente le pagine di molta stampa non solo italiana ma mondiale.
Non però quelle de “L’Osservatore Romano”.
Neppure una riga.
E “per ottime ragioni”, ribadisce Vian, che rifiuta di mischiare il giornale del papa con un giornalismo “che pare diventato la prosecuzione della lotta politica con altri mezzi”.
Anche su “Avvenire”, il giornale dei vescovi italiani, all’inizio era così.
Silenzio.
O al massimo il misuratissimo auspicio al premier di eliminare “ombre” e “situazioni disagevoli per tutti”.
Intanto però, tra i vescovi e dentro il clero e il laicato, la spinta a elevare una fiera protesta contro Berlusconi per certi suoi comportamenti contrari alla morale cattolica si faceva sempre più forte.
E si scaricava soprattutto su “Avvenire”.
A fine giugno, per due volte consecutive, il giornale pubblicò a fianco a fianco una coppia di pareri: nel primo caso di due editorialisti del giornale, Marina Corradi e Piero Chinellato; nel secondo caso di due commentatori esterni, Antonio Airò e il professor Pietro De Marco.
La partita finì 3 a 1.
Solo Chinellato si schierò per la denuncia pubblica “ad personam”.
Gli altri, con diversi argomenti, sostennero che si denuncia il peccato ma non il peccatore e che un uomo politico va valutato per quello che fa politicamente: per l’occupazione, la famiglia, la scuola, l’immigrazione, eccetera; non per la sua vita privata, che è di “foro interno”.
E l’editore di “Avvenire”, cioè la conferenza episcopale? Il 6 luglio, festa di santa Maria Goretti, giovanissima martire morta in difesa della sua verginità, il segretario della CEI, Mariano Crociata, si scagliò contro “lo sfoggio di un libertinaggio gaio e irresponsabile” che la totalità dei media interpretarono – non smentiti – come allusivo a Berlusconi.
Questa omelia fu come la rottura di un argine.
Quello che vari vescovi, preti e laici facevano già per conto proprio, cioè criticare la vita sessuale del premier, dovette farlo da lì in avanti anche il direttore di “Avvenire”, Dino Boffo, nel rispondere alle sempre più numerose pressioni dei lettori, anche altolocati.
Boffo diceva qualcosa, e puntualmente arrivavano altri a dirgli che doveva dire di più.
Esemplare di questa travolgente pressione al rialzo è stata la lettera di un parroco di Milano, pubblicata il 12 agosto con l’ennesima risposta di Boffo.
A questo spettacolo – messo involontariamente in scena da “Avvenire” – di una conferenza episcopale priva di una guida autorevole ed energica, in cui comanda chi grida più forte contro un governo pur così attento agli interessi della Chiesa sulla vita e la famiglia, ha cercato di porre rimedio il segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, concordando un incontro con il premier Berlusconi all’Aquila il 28 agosto, in occasione della festa della “Perdonanza” istituita da papa Celestino V.
Alla vigilia dell’incontro, il cardinale Bertone ha dato a “L’Osservatore Romano” un’ampia intervista, molto rasserenante nel tratteggiare i rapporti tra la Chiesa e il governo italiano.
Lo stesso giorno, su “la Repubblica”, l’editorialista-teologo Vito Mancuso accusò il segretario di Stato di voler pranzare alla mensa di Erode, invece che denunciarne le malefatte.
Ma “L’Osservatore Romano” immediatamente gli rispose che la Chiesa non accetta un “coinvolgimento partigiano in vicende politiche contingenti”, poiché ad essa preme “la cura individuale delle coscienze” e non la pubblica condanna del peccatore.
A far saltare, all’ultimissima ora, l’incontro tra Berlusconi e il cardinale Bertone è stato l’inatteso attacco contro il direttore di “Avvenire”, Boffo, da parte de “il Giornale”, il quotidiano di proprietà del fratello dello stesso Berlusconi.
Così titolava a tutta pagina il 28 agosto “il Giornale” diretto da Vittorio Feltri: “Incidente sessuale del direttore di ‘Avvenire’.
Il supermoralista condannato per molestie.
Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell’accesa campagna di stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell’uomo con il quale aveva una relazione”.
L’attacco si è rivelato poi, nei giorni successivi, di dubbio fondamento.
Boffo si è proclamato innocente.
Il presidente in carica della CEI, il cardinale Angelo Bagnasco, l’ha difeso in pieno.
E così il suo predecessore, il cardinale Camillo Ruini, che aveva voluto Boffo come direttore di “Avvenire” e gli aveva confermato fiducia anche dopo che, dal 2002, erano cominciate a circolare accuse contro di lui.
Accuse fatte di foglietti anonimi, messi in giro ogni volta che si voleva attaccare, attraverso Boffo, la presidenza della CEI, ad esempio durante la contesa per la nomina del rettore dell’Università Cattolica di Milano, quando contro Lorenzo Ornaghi, l’uomo di Ruini, si batterono strenuamente l’allora segretario di Stato cardinale Angelo Sodano, l’ex presidente della Repubblica italiana Oscar Luigi Scalfaro, l’ex presidente del consiglio Emilio Colombo e l’allora direttore amministrativo dell’università, Carlo Balestrero, tutti membri dell’Istituto Giuseppe Toniolo che sovrintende alla Cattolica, del quale fa parte anche Boffo.
Di recente, queste carte anonime sono tornate in circolazione anche ai fini di un cambio di direzione delle testate giornalistiche, televisive e radiofoniche della Chiesa italiana, attualmente tutte concentrate nelle mani di Boffo.
Si è fatto portavoce di queste istanze, il 31 agosto, il vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, già sottosegretario della CEI e ora presidente del consiglio per gli affari giuridici, secondo cui “per il bene della Chiesa e del suo giornale” Boffo “potrebbe vautare se non è il caso di dimettersi”.
Circa l’attacco a Boffo fatto da “il Giornale” – contro l’interesse del suo stesso editore, Berlusconi, a un rapporto pacifico con la Chiesa – è comparsa su “L’Osservatore Romano” solo una brevissima citazione del cardinale Bagnasco.
Quanto alla confusione che si osserva nella Chiesa italiana, il cardinale Bertone sarà ora tentato di riprendere in mano la lettera che scrisse il 25 marzo del 2007 al cardinale Bagnasco, in occasione della sua nomina a presidente della CEI, nella quale rivendicava “la rispettosa guida della Santa Sede, nonché mia personale […] per quanto concerne i rapporti con le istituzioni politiche”.
Scritta quando la straordinaria leadership del cardinale Ruini era ancora all’apogeo, quella lettera fu interpretata dalla CEI come uno schiaffo.
E di fatto respinta al mittente.
Oggi essa ritorna stranamente attuale.
Sul caso Berlusconi si veda l’intervista del cardinale Tarcisio Bertone a “L’Osservatore Romano” del 28 agosto 2009, poco prima dell’incontro con il capo del governo italiano, poi annullato: > Il progetto di Chiesa e di società di Benedetto XVI Come pure il quotidiano di proprietà della conferenza episcopale italiana: > Avvenire __________ Sul caso Obama, ecco i due commenti contrapposti pubblicati da “America” nel numero datato 31 agosto 2009.
Quello “contro” del vescovo di Fort Wayne-South Bend, John M.
D’Arcy: > The Church and the University.
A pastoral reflection on the controversy at Notre Dame
E quello “pro” dell’arcivescovo emerito di San Francisco, John R.
Quinn: > The Public Duty Of Bishops.
Lessons from the storm in South Bend
Sui precedenti della controversia, vedi in www.chiesa: > Benvenuto Obama.
Il Vaticano gli suona un preludio di festa
(5.7.2009) > Obama laureato a Notre Dame.
Ma i vescovi gli rifanno l’esame
(26.5.2009) > Angelo o demonio? In Vaticano, Obama è l’uno e l’altro (8.5.2009) __________

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