il simbolo evoca Dio

simbolo 4.1 Il soggetto percepisce il mistero che avvolge la realtà   Del resto anche solo pochi accenni alla tradizione religiosa evidenziano il versante su cui questa si pone, a cominciare  da quando abbiamo documentazione scritta Il fedele indù ai primordi dell’storia che siamo in grado di ricostruire è affascinato dallo splendore della natura; ne ammira la suggestione s’interroga su colui che l’ha fatta: ‘A qual Dio dovremmo fare omaggio con l’oblazione?’ Con più perentoria consapevolezza il salmista che guarda il cielo stellato esclama: ‘I cieli narrano la gloria di Dio’ (Ps 19,2).
L’interrogativo non è iscritto nell’acqua limpida dei ruscelli e non è tracciato dal brillare delle stelle: è suscitato dall’ammirazione; può trasfigurarsi in contemplazione.
Un passaggio che la natura non impone: sollecita.
‘Non è linguaggio e non sono parole di cui non si oda il suono’ (Ps19, 4) rileva giustamente il salmista.
E’ tuttavia un suono che non s’impone; non obbliga.
Annuncia una presenza arcana e definitiva che si nasconde dietro il loro prepotente quanto suggestivo manifestarsi.
Iscritta nella natura; altra dalla natura.
L’occhio  e lo strumento abilitati a misurare la natura non percepiscono; l’intelligenza abilitata ad interpretare la natura intuisce: può accoglierla o rifiutarla.
Lo sguardo portato sul mondo può appagarsi del suo splendore; può trovarsi sconcertato appena cerca di darsene spiegazione.
L’universo è avvolto di mistero; quest’arcana presenza che fa trasalire vi si annuncia in maniera così labile e insidiata che qualunque resistenza la mette a tacere; e tuttavia s’impone con tale perentoria autorità che nessuna resistenza è in grado di cancellarla.
E dove incontra disponibilità può imporsi con la maestà dell’ultimo ricorso.
Ancora una volta non è la natura nè la totalità dell’universo che s’impone alla vita dell’ uomo.
Le si propone perché l’uomo la chiami per nome.
Conferisca volto alla pienezza di cui è tacita testimone; dia volto e nome alla presenza di cui è segno fragile e opaco.
Forse mai  come quando si esplora il versante ultimo e in definitiva trascendente della realtà ci si rende conto dell’autorità dell’uomo; della forza decisiva del suo linguaggio: delle possibilità di appello e di rifiuto che gli appartengono.
In questo senso la riflessione più recente ha spostato l’attenzione dalla natura all’uomo che la interpreta e la chiama per nome.
Ciò che pare stranamente riduttiva è la tendenza a fermarsi alla superficie.
Perfino la ragione da sempre sospinta all’interpretazione sembra lasciarsi irretire dal fascino della descrizione dalla rivendicazione di dominio e di possesso.
Scienza e tecnica tengono il campo con una pretesa di esaurire il reale e di valorizzare le risorse dell’uomo con una presunzione sconcertante.
Che solo una pensosa  riflessione sull’esistenza è in grado di smascherare.
Il richiamo del mistero rappresenta in realtà la via maestra per restituire dignità all’uomo e avvertire lo spessore insondato della natura.
 

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