Si è tanto parlato in questi giorni, e in tutto il mondo, e con tutte le voci possibili, dell’impresa lunare; Noi stessi vi abbiamo dedicato qualche esclamazione ammiratrice, così che sembrerebbe ora cosa migliore per Noi tacerne che parlarne.
Ma, oltre il fatto che proprio domani la straordinaria escursione planetaria deve concludersi con il ritorno, che auguriamo felicissimo, degli astronauti sulla terra, questo avvenimento penetra talmente nella psicologia della pubblica opinione da costituire una sorgente di pensieri, di questioni, di spiritualità, che commetteremmo un peccato di omissione, se non Ci fermassimo, anche in questo familiare incontro, a meditarlo un po’.
È purtroppo vero che la superficialità è una abitudine di moda.
Anche le più forti impressioni, che a noi vengono dall’esperienza della vita moderna, si cancellano subito; o subito sono soverchiate da altre successive, così che spesso manca il tempo, manca la voglia di approfondirle, e di coglierne il significato, la verità, la realtà.
Ma in questo caso il trauma della novità e della meraviglia è così forte, che sarebbe stoltezza non riflettere su questa, possiamo dire, sovrumana e storica avventura, alla quale tutti abbiamo, come spettatori esterrefatti, in qualche modo – anche questo meraviglioso – assistito.
Ciascuno vi pensi a suo modo, purché vi pensi! L’importanza degli studi scientifici può essere di per sé oggetto di interminabili considerazioni.
Ad esempio, quella circa lo sviluppo e il progresso, che questi studi hanno avuto nel tempo nostro, fino a modificare la mentalità umanistica tradizionale della nostra cultura e della nostra scuola; il che vuol poi dire della nostra vita.
Il bilancio di questi studi positivi e scientifici è così attivo, che una grande attrattiva vi polarizza molta parte delle nuove generazioni, e un ottimismo sognatore sulle loro future conquiste ne fa quasi un’iniziazione profetica.
E sia pure.
Il campo scientifico merita ogni interesse. Ma intanto potremmo, di passaggio, osservare come sia fuori luogo, almeno a questo riguardo, il disfattismo oggi di moda contro la società e la sua compagine, e in genere contro la vita moderna.
Questo disfattismo seduce oggi perfino qualche parte della gioventù, e altri uomini di pensiero e d’azione; li gratifica di audace progressismo, e sembra loro conferire una personalità superiore, quando li riempie di istinti ribelli e di spregiudicato disprezzo verso la nostra età e verso il suo sforzo creativo.
La vita invece è seria; e ce lo insegna la somma immensa di studi, di spese, di fatiche, di ordinamenti, di tentativi, di rischi, di sacrifici, che una impresa colossale, come quella spaziale, ha reclamati.
Criticare, contestare è facile; non così costruire, in questa iniziativa si comprende; ma parimente in altre moltissime da cui risulta la nostra presente civiltà.
Perciò Ci sembra che un dovere di ripensamento e di apprezzamento dei valori della vita moderna ci sia intimato dall’avvenimento che stiamo celebrando.
Noi non neghiamo alla critica i suoi diritti, né rimproveriamo al genio dei giovani il suo istinto di emancipazione e di novità.
Ma riteniamo non degno di giovani il decadentismo iconoclasta e privo di amore dei contestatori di mestiere.
I giovani devono sentire l’impulso ideale e positivo che loro è offerto dalla magnifica avventura spaziale.
Ed allora ecco un’altra considerazione.
Questo nostro aperto suffragio per la progressiva conquista del mondo naturale, per via di studi scientifici, di sviluppi tecnici e industriali, non è in contrasto con la nostra fede e con la concezione della vita e dell’universo, ch’essa comporta.
Basta ricordare quanto insegna a questo riguardo il recente Concilio (Gaudium et spes, nn.
37, 58, 59, ecc.).
Qui tocchiamo uno dei punti più delicati della mentalità moderna rispetto alla nostra religione cattolica, una religione cioè positiva, con sue dottrine ben determinate, e ordinate a sistema unitario, incentrato in Gesù Cristo, nel suo Vangelo, nella sua Chiesa.
Ora è facile riscontrare nella mentalità dell’uomo odierno, specialmente di quello dedicato agli studi scientifici, una duplice serie di difficoltà: una di ordine essenziale, l’altra di ordine storico.
Come può, dice oggi lo studioso, entrare nello schema dogmatico e rituale della vita cattolica l’immenso patrimonio delle scoperte scientifiche, con l’impiego libero e totale della ragione, e con la concezione che ne risulta sul mondo e sull’umana esistenza? E come può, insiste lo studioso osservando i mutamenti continui, rapidi e macroscopici, che avvengono col volgere del tempo nel pensiero e nel costume dell’uomo moderno, rimanere intatta la religione tradizionale, racchiusa in una mentalità statica e d’altri tempi? Occorrerebbero libri interi, sia per formulare queste obiezioni capitali, sia per rispondervi.
Non è certo qui, né in questo momento che lo faremo.
Ma ora Ci basti rassicurarvi.
La fede cattolica, non solo non teme questo poderoso confronto della sua umile dottrina con le meravigliose ricchezze del pensiero scientifico moderno, ma lo desidera.
Lo desidera, perché la verità, anche se si diversifica in ordini differenti e se si appoggia a titoli diversi, è concorde con se stessa, è unica; e perché è reciproco il vantaggio che da tale confronto può risultare alla fede (cfr.
Gaudium et Spes, n.
44) e alla ricerca e allo studio d’ogni campo conoscibile.
È stata questa una delle affermazioni caratteristiche e più documentate del pensiero cattolico apologetico del secolo scorso e della prima metà del nostro secolo, con risultati magnifici, dei quali le nostre Università sono documenti gloriosi. Adesso si profilano altre tendenze, che suppongono, non smentiscono la precedente: quella, che si rifà alla famosa parola di sant’Agostino, e che possiamo dire psicologica: “Tu, (o Signore), ci hai fatti per Te ed è inquieto il nostro cuore, finché non si riposi in Te” (Confess.
i, 1).
Il bisogno di Dio è insito nella natura umana, e quanto più essa progredisce tanto più essa avverte, fino al tormento, fino a certa drammatica esperienza, il bisogno di Dio.
Ovvero quella che, tanto per intenderci, potremmo dire la tendenza cosmica: chi studia, chi cerca, chi pensa non può sottrarsi ad una obiettiva onnipresenza di Dio, antica verità, che il Libro sacro sempre ci ripete: “Dove andrò io lungi dal Tuo spirito (o Signore), e dove fuggirò io dalla Tua faccia?” (Ps 138, 7).
Impossibile sottrarsi da questa presenza, di cui la materia, la natura è, per chi lo sa comprendere, un libro di lettura spirituale: “In Lui (cioè in Dio, dice san Paolo) noi viviamo, ci muoviamo, ed esistiamo” (Act 17, 28).
Il Dio ignoto è sempre lì; ogni studio delle cose è come un contatto con un velo dietro il quale si avverte un’infinita palpitante Presenza.
Ora qui è l’attimo sublime, l’attimo della rivelazione, l’attimo in cui Cristo apre il velo e appare nella storica e semplice scena del Vangelo.
Chi è Cristo? Ecco la questione decisiva.
Risponde san Giovanni, al primo capitolo del suo Vangelo: è il Verbo, è Dio, è Colui per virtù del Quale tutte le cose furono fatte.
E san Paolo confermerà: è Colui che “è avanti a tutte le cose; e tutte le cose sussistono per lui” (Col 1, 17); ed è Colui che un giorno, il giorno finale “della restaurazione di tutte le cose” (della “apocatastasi”: Atti degli apostoli, 3, 21) nel quale Egli con la sua potenza “assoggetterà a sé tutte le cose” (Phil 3, 21).
Cioè Cristo è l’alfa e l’omega, il principio e il fine (cfr.
Apoc 1, 8; 21, 6; 22, 13), non solo per i destini dell’uomo, ma per il cosmo intero, che in Lui ha il suo punto focale, donde ogni senso, ogni luce, ogni ordine, ogni pienezza.
Non temiamo, Figli carissimi, che la nostra fede non sappia comprendere le esplorazioni e le conquiste, che l’uomo va facendo del creato, e che noi, seguaci di Cristo, siamo esclusi dalla contemplazione della terra e del cielo, e dalla gioia della loro progressiva e meravigliosa scoperta.
Se saremo con Cristo saremo nella via, saremo nella verità, saremo nella vita.
(©L’Osservatore Romano – 20-21 luglio 2009)
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