“Iota unum”

 ROMANO AMERIO, Iota unum.
Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, a cura di Enrico Maria Radaelli, prefazione del card.
Darío Castrillón Hoyos, Lindau, Torino, 2009.
ROMANO AMERIO, Stat veritas.
Séguito a Iota unum, a cura di Enrico Maria Radaelli, Lindau, Torino, 2009.
Da domani fanno ritorno nelle librerie italiane, editi da Lindau, due volumi entrati tra i classici della cultura cattolica, il cui contenuto è in impressionante sintonia col titolo e col fondamento della terza enciclica di Benedetto XVI: “Caritas in veritate”.
I due volumi hanno per autore Romano Amerio, letterato, filosofo e teologo svizzero scomparso nel 1997 a 92 anni di età.
Un suo grande estimatore, il teologo e mistico don Divo Barsotti, ne sintetizzò così il contenuto: “Amerio dice in sostanza che i più gravi mali presenti oggi nel pensiero occidentale, ivi compreso quello cattolico, sono dovuti principalmente a un generale disordine mentale per cui viene messa la ‘caritas’ avanti alla ‘veritas’, senza pensare che questo disordine mette sottosopra anche la giusta concezione che noi dovremmo avere della Santissima Trinità”.
In effetti, Amerio vide proprio in questo rovesciamento del primato del Logos sull’amore – ossia in una carità senza più verità – la radice di molte “variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX”: le variazioni che egli descrisse e sottopose a critica nel primo e più imponente dei due volumi citati: “Iota unum”, scritto tra il 1935 e il 1985; le variazioni che lo portarono a porre la questione se con esse la Chiesa non fosse divenuta altra cosa da sé.
Molte delle variazioni analizzate in “Iota unum” – ma ne basterebbe una sola, uno “iota”, stando a Matteo 5, 18 che dà il titolo al libro – spingerebbero il lettore a pensare che una mutazione d’essenza vi sia stata, nella Chiesa.
Amerio però analizza, non giudica.
O meglio, da cristiano integrale qual è, lascia a Dio il giudizio.
E ricorda che “portae inferi non praevalebunt”, cioè che per fede è impossibile pensare che la Chiesa smarrisca se stessa.
Una continuità con la Tradizione permarrà sempre, pur dentro turbolenze che la oscurano e fanno pensare il contrario.
C’è uno stretto legame tra le questioni poste in “Iota unum” e il discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 alla curia romana, discorso capitale per quanto riguarda l’interpretazione del Concilio Vaticano II e il suo rapporto con la Tradizione.
Ciò non toglie che lo stato della Chiesa descritto da Amerio sia tutt’altro che pacifico.
Benedetto XVI, nel discorso del 22 dicembre 2005, paragonò la babele della Chiesa contemporanea al marasma che nel IV secolo seguì al Concilio di Nicea, descritto da san Basilio, all’epoca, come “una battaglia navale nel buio di una tempesta”.
Nella postfazione che Enrico Maria Radaelli, fedele discepolo di Amerio, pubblica in coda a questa riedizione di “Iota unum”, la situazione attuale è paragonata piuttosto allo scisma d’Occidente, cioè ai quarant’anni tra il XIV e il XV secolo che precedettero il Concilio di Costanza, con la cristianità senza guida e senza una sicura “regola della fede”, divisa tra due o persino tre papi contemporaneamente.
In ogni caso, riedito oggi a distanza di anni, “Iota unum” si conferma libro non solo straordinariamente attuale, ma “costruttivamente cattolico”, in armonia col magistero della Chiesa.
Nella postfazione Radaelli lo mostra in modo inconfutabile.
La conclusione della postfazione è riprodotta più sotto.
Quanto al secondo libro, “Stat veritas”, pubblicato da Amerio nel 1985, esso è in lineare continuità col precedente.
Confronta la dottrina della Tradizione cattolica con le “variazioni” che l’autore ravvisa in due testi del magistero di Giovanni Paolo II: la lettera apostolica “Tertio millennio adveniente” del 10 novembre 1994 e il discorso al Collegium Leoninum di Paderborn del 24 giugno 1996.
Il ritorno in libreria di “Iota unum” e “Stat veritas” rende giustizia sia al loro autore, sia alla censura di fatto che si è abbattuta per lunghi anni su entrambi questi suoi libri capitali.
In Italia, la prima edizione di “Iota unum” fu ristampata tre volte per complessive settemila copie, nonostante le sue quasi settecento pagine impegnative.
Fu poi tradotto in francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, olandese.
Raggiunse decine di migliaia di lettori in tutto il mondo.
Ma per gli organi cattolici ufficiali e per le autorità della Chiesa era tabù, oltre che naturalmente per gli avversari.
Caso più unico che raro, questo libro fu un “long seller” clandestino.
Continuò a essere richiesto anche quando si esaurì nelle librerie.
La rottura del tabù è recente.
Convegni, commenti, recensioni.
“La Civiltà Cattolica” e “L’Osservatore Romano” si sono anch’essi svegliati.
All’inizio del 2009 una prima ristampa di “Iota unum” è apparsa in Italia per i tipi di “Fede & Cultura”.
Ma questa nuova edizione del libro ad opera di Lindau, assieme a quella di “Stat veritas”, ha in più il valore della cura filologica, da parte del massimo studioso ed erede intellettuale di Amerio, Radaelli.
Le sue due ampie postfazioni sono veri e propri saggi, indispensabili per capire non solo il senso profondo dei due libri, ma anche la loro perdurante attualità.
Lindau, con Radaelli curatore, ha in animo di pubblicare nei prossimi anni l’imponente “opera omnia” di Amerio.
> Grandi ritorni: Romano Amerio e le variazioni della Chiesa cattolica (15.11.2007) > “La Civiltà Cattolica” rompe il silenzio.
Su Romano Amerio
(23.4.2007) > Fine di un tabù: anche Romano Amerio è “un vero cristiano” (6.2.2006) > Un filosofo, un mistico, un teologo suonano l’allarme alla Chiesa (7.2.2005) __________ Su Enrico Maria Radaelli, discepolo di Amerio, e sul suo libro “Ingresso alla bellezza”: > Tutti a vedere il “sacro teatro dei cieli”.
Un teologo fa da guida
(15.2.2008) Qui di seguito ecco un brevissimo assaggio della postfazione a “Iota unum”: le considerazioni finali.
Tutta la Chiesa in uno “iota” di Enrico Maria Radaelli […] La conclusione è che Romano Amerio si rivela essere il pensatore più attuale e vivificante del momento.
Con il garbo teoretico che contraddistinse tutti i suoi scritti, egli offre con “Iota unum” un pensiero molto costruttivamente cattolico, colmando uno spazio filosofico e teologico altrimenti incerto su interrogativi gravi.
Egli individua e indica che nella Chiesa una crisi c’è, ed è crisi che pare anche sovrastarla, ma mostra che non l’ha sovrastata; che pare rovinarla, ma non l’ha rovinata.
Individua poi e indica con chiarezza la causa prima di questa crisi in una variazione antropologica e prima ancora metafisica.
Individua e indica infine gli strumenti logici (iscritti nel Logos) necessari e sufficienti (eroicamente sufficienti, ma sufficienti) per superarla.
E tutto questo Amerio lo fa sviluppando un “modello di continuità” con la Tradizione, di ordinata e perciò perfetta obbedienza al papa, di intima adesione alla regola prossima della fede, che parrebbe chiarire in tutto come va intesa quella “ermeneutica della continuità” richiesta da papa Benedetto XVI nel discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005 per mantenersi sicuri sulla strada della ragione, che è a dire sulla strada della salvezza, ossia sulla strada della Chiesa per perseguire la vita.
Romano Amerio: critico sì, discontinuista mai.
Questo “modello di continuità” tutto ameriano attende solo di essere oggi finalmente riconosciuto, anzi, finalmente apprezzato.
Chissà: magari persino seguìto, per il bene comune (teorico e pratico, filosofico ed etico, dottrinale e liturgico) della Città di Dio, con la semplicità e il coraggio necessari.
Se con l’uso di ambiguità e di contraddizioni si è riusciti a compiere una rivoluzione antropologica verso le più vane fantasie, tanto più si potrà compiere, e con meno sforzo, una più sana rivoluzione antropologica verso la Realtà, giacché è più facile essere semplici che essere complessi.

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