Per preparare la strada all’incontro che avrà con Benedetto XVI in Vaticano nel pomeriggio di venerdì 10 luglio, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha riunito attorno a sè alla Casa Bianca sei giornalisti di altrettante testate cattoliche americane: “Catholic News Service”, “America”, “National Catholic Reporter”, “Catholic Digest”, “National Catholic Register”, “Commonweal”.
In più c’era il reporter religioso del “Washington Post”.
E inoltre, unica giornalista straniera, c’era Elena Molinari per la Radio Vaticana e per “Avvenire”, il quotidiano della conferenza episcopale dell’Italia, il paese che ospita il G8.
L’intervista si è svolta la mattina di giovedì 2 luglio, con domande non preordinate.
Il giorno successivo “Avvenire” l’ha riprodotta quasi integralmente, dandole forte rilievo.
Obama si è detto fiducioso di trovare con il papa una concordia di vedute su temi come la pace in Medio Oriente, la lotta alla povertà, la salvaguardia del clima, la politica dell’immigrazione.
Ma non ha eluso nessuno dei temi – in primo luogo l’aborto – su cui c’è conflitto tra lui e una parte consistente della Chiesa cattolica americana, in testa il cardinale Francis George, presidente della conferenza episcopale e arcivescovo della sua città, Chicago.
Al conflitto aperto tra Obama e un buon terzo dei vescovi degli Stati Uniti si è aggiunta nei mesi scorsi anche un’altra linea di divisione: tra questi vescovi e il Vaticano, da loro giudicato troppo arrendevole nei confronti della politica del nuovo presidente.
Più sotto sono riportati i passaggi dell’intervista che riguardano i temi più controversi, dall’aborto all’omosessualità.
Nelle risposte, Obama porge il ramoscello d’ulivo alla Chiesa, così come aveva già provato a fare il 17 maggio col suo discorso all’università cattolica di Notre Dame.
Ma rimarca anche i punti su cui l’accordo non c’è e non ci sarà.
*** Non c’è però solo Obama che si prepara all’udienza col papa.
Anche il Vaticano suona un suo preludio.
Lo stesso giorno in cui il presidente degli Stati Uniti rilasciava l’intervista ai reporter religiosi, a Roma un’autorevole cardinale pubblicava un commento semplicemente entusiastico ai discorsi tenuti da Obama il 17 maggio all’università di Notre Dame a il 4 giugno all’università di al-Azhar, al Cairo.
Il cardinale è Georges Cottier, 87 anni, svizzero, domenicano, per molti anni in curia come teologo ufficiale della casa pontificia.
Ha pubblicato il suo commento su “30 Giorni”, una rivista cattolica edita in sei lingue molto legata ai circoli diplomatici della curia vaticana e molto attenta alla politica della Chiesa nel mondo, inviata gratuitamente a vescovi e a monasteri di tutto il mondo, diretta dall’ex presidente del consiglio e ministro degli esteri italiano Giulio Andreotti.
Il dotto cardinale trova la visione di Obama fortemente consonante con quella cattolica, a cominciare dalla consapevolezza del peccato originale.
Gli riconosce intendimenti buoni e costruttivi anche sul terreno minato dell’aborto.
Nega che Obama possa essere considerato “abortista”, anzi, gli riconosce la volontà di “fare di tutto affinché il numero di aborti sia il minore possibile”, così come fecero “i primi legislatori cristiani che non abrogarono subito le leggi romane tolleranti verso pratiche non conformi o addirittura contrarie alla legge naturale, come il concubinaggio e la schiavitù”.
Chiama a conforto san Tommaso d’Aquino, secondo il quale “lo Stato non deve mettere delle leggi troppo severe e alte, perché saranno disprezzate dalla gente che non sarà capace di applicarle”.
Plaude a “L’Osservatore Romano” proprio per l’articolo pro-Obama del 19 maggio che aveva fatto infuriare tanti vescovi americani.
Il cardinale Cottier sembra quasi esaltare Obama come un novello Costantino, capo di un moderno impero anch’esso provvido per la Chiesa.
I passaggi del commento di Cottier dedicati alla questione dell’aborto sono riprodotti qui di seguito.
E subito dopo è riportato un estratto dell’intervista di Obama ai reporter religiosi, ricavato principalmente da “Avvenire”, con integrazioni trascritte da altri giornalisti presenti.
Il testo integrale dell’articolo del cardinale Cottier, in “30 Giorni” n.
5, 2009: > La politica, la morale e il peccato originale L’articolo è apparso sinora nelle edizioni italiana e inglese di “30 Giorni”.
Nelle prossime settimane apparirà anche nelle edizioni della rivista in francese, tedesco, spagnolo e portoghese.
__________ L’intervista di Obama nell’ampia trascrizione pubblicata da Elena Molinari su “Avvenire” del 3 luglio 2009: > Obama: con il papa una collaborazione per aiutare il mondo __________ In www.chiesa, i servizi sugli alti e bassi tra Obama e la Chiesa cattolica: > Obama laureato a Notre Dame.
Ma i vescovi gli rifanno l’esame (26.5.2009) > Angelo o demonio? In Vaticano, Obama è l’uno e l’altro (8.5.2009) 2.
“Difenderò sempre con forza il diritto dei vescovi di criticarmi…” Intervista con Barack Obama D.
– Sul rispetto della vita e sul matrimonio i vescovi cattolici americani hanno espresso critiche e preoccupazioni nei confronti delle sue posizioni.
Come pensa di affrontare tali critiche? O ritiene che finirà con l’ignorarle? R.
– Primo, una forza della nostra democrazia è che ciascuno è libero di esprime le proprie opinioni politiche.
Non ci sarà mai un momento in cui deciderò di ignorare le critiche dei vescovi cattolici, perché sono il presidente di tutti gli americani e non solo di quelli che, per caso, sono d’accordo con me.
Prendo molto seriamente le opinioni delle altre persone e i vescovi americani hanno una profonda influenza sulla Chiesa e anche sulla comunità nazionale.
Vari vescovi sono stati generosi nelle loro opinioni e incoraggianti nei miei confronti, benché rimangano divergenze su alcune questioni.
In questo senso i vescovi americani rappresentano un crocevia di opinioni proprio come avviene in altri gruppi.
Difenderò sempre con forza il diritto dei vescovi di criticarmi, anche con toni appassionati.
E sarei felice di ospitarli qui alla Casa Bianca a parlare dei temi che ci uniscono e di quelli che ci dividono, in una serie di tavole rotonde.
Penso che continueranno ad esserci ambiti in cui concordiamo profondamente e altri nei quali non sarà possibile trovare pieno accordo.
Ciò è sano.
D.
– Lei ha nominato un gruppo di lavoro composto da rappresentanti pro-life e da altri che sostengono il diritto all’aborto, con lo scopo di trovare posizioni comuni.
Quali sono le sue attese realistiche sul risultato dei lavori? R.
– Quel gruppo dovrà fornirmi un rapporto finale entro l’estate e non ho l’illusione che sia in grado, con il solo dibattito, di fare scomparire le differenze.
So che ci sono punti in cui il conflitto non è conciliabile.
Ma posso dirvi che vi sono persone di buona volontà su entrambi i fronti e sarei sorpreso se non si trovassero punti significativi sui quali lavorare insieme.
Fra questi, la necessità di aiutare i giovani a prendere decisioni intelligenti in modo che evitino gravidanze non desiderate, l’importanza di rafforzare l’accesso all’adozione come alternativa all’aborto e il dovere di prendersi cura delle donne incinte e di aiutarle a crescere i loro bambini.
Ci sono invece elementi, come la contraccezione, sui quali le differenze sono profonde.
La mia posizione personale è che si debba coniugare una solida educazione morale e sessuale alla disponibilità di contraccettivi, per prevenire gravidanze indesiderate.
Riconosco che ciò contraddice la dottrina della Chiesa cattolica, quindi non mi aspetto che chi sente fortemente la cosa come materia di fede possa concordare con me su questo, ma questa è la mia opinione personale.
Sarei sorpreso se i sostenitori del diritto all’aborto non fossero d’accordo che bisogna ridurre le circostanze in cui una donna decide di interrompere la gravidanza.
Se essi prendessero questa posizione, io non sarei d’accordo con loro.
Non conosco alcuna circostanza in cui l’aborto sia una decisione felice, e se possiamo aiutare una donna ad evitare di confrontarsi con una situazione nella quale ciò diventi una possibilità, io penso che sia una buona cosa.
Ma di nuovo, questa è la mia opinione.
D.
– Alcuni cattolici lodano il suo contributo nel promuovere temi di giustizia sociale, altri la criticano per le sue posizioni sui temi della vita, dall’aborto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali.
Vede ciò come una contraddizione? R.
– Questa tensione del mondo cattolico esisteva ben prima del mio arrivo alla Casa Bianca.
Quando ho cominciato a interessarmi di giustizia sociale, a Chicago, i vescovi cattolici parlavano di immigrazione, nucleare, poveri, politica estera.
Poi, a un certo punto, l’attenzione della Chiesa cattolica si è spostata verso l’aborto e ciò ha avuto il potere di spostare l’opinione del congresso e del paese nella stessa direzione.
Sono temi cui penso molto, ma ora, come non cattolico, non sta a me cercare di risolvere queste tensioni.
Ho visto tuttavia come si possa tentare una conciliazione.
Il cardinale Joseph Bernardin, che ho conosciuto a Chicago, parlava chiaramente ed esplicitamente in difesa della vita.
Ma riteneva questa un “abito senza cuciture” e vi includeva coerentemente una gamma di questioni che erano parte di ciò che egli considerava pro-life e su cui si impegnava, come la lotta alla povertà, la cura dell’infanzia, la pena di morte, la politica estera.
Questa parte della tradizione cattolica è qualcosa che continuamente mi ispira.
E penso che vi sono stati momenti, negli ultimi due decenni, in cui questa tradizione più inclusiva s’è sentita come sepolta sotto il dibattito sull’aborto.
Desidero invece che resti in primo piano nel dibattito nazionale.
D.
– Molte persone, non solo medici, che offrono la propria opera in istituzioni non governative sono molto preoccupate di non poter fare obiezione di coscienza in campi eticamente sensibili.
La posizione della sua amministrazione in merito non è del tutto chiara…
R.
– La mia posizione personale è sempre stata coerente: sono fermamente convinto che debba essere assicurata l’obiezione di coscienza.
Ho difeso una forte obiezione di coscienza nell’Illinois per gli ospedali cattolici e le strutture sanitarie, ne ho discusso con il cardinale Francis George in un recente incontro nello Studio Ovale e l’ho ripetuto durante il mio intervento all’università di Notre Dame.
Capisco che c’è qualcuno che si aspetta sempre il peggio da me, senza che io abbia detto o fatto nulla, ma questo è più un preconcetto che una posizione motivata da una “linea dura” che staremmo cercando di imporre.
Penso che la sola ragione per la quale la mia posizione può apparire non chiara derivi dal fatto che abbiamo cambiato una misura sull’obiezione di coscienza approvata all’ultimo minuto, all’undicesima ora dalla precedente amministrazione e abbiamo deciso di cancellarla perché non era stata ben formulata.
Ma stiamo riesaminando la questione e abbiamo richiesto pareri in merito alla gente, ricevendone centinaia di migliaia.
Posso assicurare che quando questo riesame sarà completato entrerà in vigore una forte obiezione di coscienza.
Essa potrà non andare incontro ai criteri di ogni possibile critica del nostro approccio, ma certamente non sarà più debole di quella che esisteva prima che il cambiamento fosse fatto.
D.
– Come concilia la sua fede cristiana con le promesse fatte durante la campagna elettorale agli omosessuali? R.
– Quanto alla comunità gay e lesbica di questo paese, penso che venga ferita da alcuni insegnamenti della Chiesa cattolica e dalla dottrina cristiana in generale.
Come cristiano, combatto continuamente tra la mia fede e i miei doveri e le mie preoccupazioni nei confronti di gay e lesbiche.
E spesso scopro che c’è molto ardore su entrambi i fronti del dibattito, anche fra chi considero essere ottime persone.
D’altra parte, rimango fermo a quanto ho espresso al Cairo: ogni posizione che liquidi in modo automatico le convinzioni religiose e il credo altrui come intolleranti non capisce il potere della fede e il bene che compie nel mondo.
In ogni caso, come persone di fede dobbiamo esaminare le nostre convinzioni e chiederci se a volte non stiamo causando sofferenza agli altri.
Penso che tutti noi, di qualsiasi fede, dovremmo riconoscere che ci sono state delle volte in cui la religione non è stata messa al servizio del bene.
E sta a noi, penso, compiere una profonda riflessione ed essere disposti a chiederci se stiamo agendo in modo coerente non solo con gli insegnamenti della Chiesa, ma anche con quanto Gesù Cristo, nostro Signore, ci ha chiamati a fare: trattare gli altri come noi vorremmo essere trattati.
1.
“Obama mi ricorda i primi legislatori cristiani…” di Georges Cottier […] Nel suo discorso alla università di Notre Dame, mi ha colpito come Obama non abbia evitato di affrontare la questione più spinosa, quella dell’aborto, sulla quale aveva ricevuto tante critiche anche dai vescovi Usa.
Da una parte tali reazioni sono giustificate: nelle decisioni politiche riguardo all’aborto sono implicati valori non negoziabili.
Per noi è in gioco la difesa della persona, dei suoi diritti inalienabili, di cui il primo è proprio quello alla vita.
Ora nella società pluralistica ci sono differenze radicali su questo punto.
C’è chi, come noi, considera l’aborto un “intrinsece malum”, ci sono quelli che lo accettano, e addirittura alcuni che lo rivendicano come un diritto.
Il presidente non prende mai quest’ultima posizione.
Al contrario, mi sembra che dia dei suggerimenti positivi – lo ha sottolineato anche “L’Osservatore Romano” del 19 maggio –, proponendo pure in questo caso la ricerca di un terreno comune.
In questa ricerca – avverte Obama – nessuno deve censurare le proprie convinzioni, ma al contrario deve sostenerle davanti a tutti e difenderle.
Il suo non è affatto il relativismo malinteso di chi dice che si tratta di opinioni che si oppongono ad altre opinioni, e che tutte le opinioni personali sono incerte e soggettive, e dunque conviene metterle da parte quando si parla di queste cose.
Inoltre, Obama riconosce la gravità tragica del problema.
Che la decisione di abortire “strazia il cuore di ogni donna”.
Il terreno comune che lui propone è questo: lavorare tutti insieme per ridurre il numero delle donne che cercano di abortire.
E aggiunge che ogni regolamentazione legale di questa materia deve garantire in maniera assoluta l’obiezione di coscienza per gli operatori sanitari che non vogliono dare la propria assistenza a pratiche abortive.
Le sue parole vanno nella direzione di diminuire il male.
Il governo e lo Stato devono fare di tutto affinché il numero di aborti sia il minore possibile.
È certo soltanto un “minimum”, ma è un minimum prezioso.
Mi ricorda l’atteggiamento dei primi legislatori cristiani che non abrogarono subito le leggi romane tolleranti verso pratiche non conformi o addirittura contrarie alla legge naturale, come il concubinaggio e la schiavitù.
Il cambiamento avvenne con un cammino lento, segnato tante volte da regressi, man mano che nella popolazione il numero dei cristiani aumentava, e, con loro, l’impatto del senso della dignità della persona.
All’inizio, per garantire il consenso dei cittadini e custodire la pace sociale, vennero mantenute in vigore le cosiddette “leggi imperfette”, che evitavano di perseguire azioni e comportamenti in contrasto con la legge naturale.
Lo stesso san Tommaso, che pure non aveva dubbi sul fatto che la legge deve essere morale, aggiunge che lo Stato non deve mettere delle leggi troppo severe e alte, perché saranno disprezzate dalla gente che non sarà capace di applicarle.
Il realismo dell’uomo politico riconosce il male e lo chiama col suo nome.
Riconosce che occorre essere umili e pazienti, combatterlo senza la pretesa di sradicarlo dalla storia umana attraverso strumenti di coercizione legale.
È la parabola della zizzania, che vale anche a livello politico.
D’altro canto, questo non diventa in lui giustificazione di cinismo o d’indifferentismo.
La tensione a diminuire per quanto possibile il male rimane persistente.
È un obbligo.
Anche la Chiesa ha sempre percepito come lontana e pericolosa l’illusione di eliminare totalmente il male dalla storia per via legale, politica o religiosa.
La storia anche recente è disseminata di disastri prodotti dal fanatismo di chi pretendeva di prosciugare le fonti del male nella storia degli uomini, finendo per trasformare tutto in un grande cimitero.
I regimi comunisti seguivano esattamente questa logica.
Così come il terrorismo religioso, che uccide addirittura in nome di Dio.
E quando un medico abortista viene ucciso da militanti antiaborto – è successo di recente negli USA – occorre ammettere che persino gli slanci ideali più alti, come la sacrosanta difesa del valore assoluto della vita umana, si possono corrompere e trasformarsi nel loro contrario, diventando parole d’ordine a disposizione di un’ideologia aberrante.
I cristiani sono portatori nel mondo di una speranza temporale realista, non di un vano sogno utopico, anche quando testimoniano la propria fedeltà a valori assoluti come la vita.
Santa Gianna Beretta Molla, la dottoressa che muore per aver rifiutato le cure che avrebbero potuto far male alla bambina che portava in seno, con il suo eroismo ordinario e silenzioso tocca i cuori non solo dei cristiani; ricorda a tutti il destino comune cui tendiamo.
È una forma profetica dello stile evangelico della testimonianza cristiana.
Obama, nel suo discorso alla University of Notre Dame, fa proprio su questo aspetto un accenno molto importante.
Racconta di quando fu coinvolto in un progetto di assistenza sociale nei quartieri poveri di Chicago – finanziato da alcune parrocchie cattoliche – a cui partecipavano anche volontari protestanti ed ebrei.
In quell’occasione gli capitò di incontrare persone accoglienti e comprensive.
Vide lo spettacolo delle opere buone alimentate dal Signore tra di loro.
E in questo spettacolo fu “attratto dall’idea di far parte della Chiesa.
È stato attraverso questo servizio”, conclude, “che sono stato condotto a Cristo”.
Fa anche un elogio commovente del grande cardinale Joseph Bernardin, che allora era arcivescovo di Chicago.
Lo definisce “un faro e un crocevia”, amabile nel suo modo di persuadere e nel suo tentativo continuo di “avvicinare le persone e trovare un terreno comune”.
In quell’esperienza, dice Obama, “parole e opere delle persone con le quali ho lavorato nelle parrocchie di Chicago toccarono il mio cuore e la mia mente”.
Lo spettacolo della carità, che viene da Dio, ha la forza di toccare e attirare la mente e i cuori degli uomini.
E questo è l’unico germe di cambiamento reale nella storia degli uomini.
Obama cita anche Martin Luther King, di cui si sente discepolo.
Che solo quarantun anni dopo l’assassinio di King proprio lui sia presidente degli Usa è un segno e una prova dell’efficacia storica della fiducia nella forza della verità.
[…] __________
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