Misteri Persiani, I ragazzi di Teheran

Nonostante la grande partecipazione emotiva a questi eventi, è forse il momento di cercare di guardare alla situazione con lucidità e di fissare alcuni punti di base.
La premessa a questa crisi è un fattore positivo e inatteso, cioè l’entusiasmo per la candidatura di Moussavi e la straordinaria partecipazione al voto (85% degli aventi diritto).
Il tutto è maturato rapidamente, sorprendendo gli stessi iraniani, a cominciare dal loro establishment politico.
Perché questa novità? Moussavi è un uomo della Repubblica islamica, un rivoluzionario della prima ora, un ex premier, un convinto sostenitore dei valori di Khomeini, il cui ritratto è comparso accanto al suo in campagna elettorale.
Quali speranze (per alcuni) e quali paure (per altri) rappresenta questa sorta di Cincinnato persiano, tornato alla politica attiva dopo vent’anni? Sarebbe in grado di riformare in senso democratico l’Iran, riuscendo laddove Khatami ha fallito? E lo vorrebbe davvero? Ricordiamo che Moussavi è stato il premier sotto il cui governo venne attuata una sorta di soluzione finale nei confronti di detenuti politici (si parla di 30mila esecuzioni nel 1988).
A confrontare nel dettaglio i programmi dei candidati, è molto più avanzato e riformista Karroubi di lui.
La novità sta probabilmente nella grande opportunità che si è prospettata negli ultimi mesi per l’Iran.
L’apertura di Obama non è stata forse colta nella sua pienezza da molti osservatori.
Fonti non ufficiali parlano di una trattativa ormai avviata da mesi e pronta a essere resa pubblica all’indomani del voto per le presidenziali.
Un grande accordo non vuol dire soltanto speranze di pace.
Vuol dire anche affari.
E gli affari – da sempre e a ogni latitudine – li fa chi gestisce il potere.
Questo vale ancora di più per l’Iran, dove lo Stato gestisce oltre il 70% dell’economia e dove non esiste (è bene ricordarlo sempre) l’equazione cittadino=contribuente.
Il bilancio statale lo fa l’export del petrolio, non dipende dalle tasse.
Che sono pressoché inesistenti per i redditi medio alti.
Questo è il vincolo ultimo che lega a questo sistema politico la classe dei bazarì, quella che da sempre decide le sorti del Paese.
Dall’altra parte, l’eterno Rafsanjani, potentissimo economicamente e ancora potente politicamente, visto che presiede l’Assemblea degli esperti, l’organo che – almeno in teoria – può destituire la Guida suprema.
Ahmadinejad ha gestito in modo populistico l’economia del paese e in molti hanno votato Moussavi per protesta.
Poi l’onda verde ha trascinato i giovani, li ha convinti che questa volta un cambiamento era possibile.
Ma nessuno in campagna elettorale ha mai messo in dubbio i pilastri della Repubblica islamica.
Che però adesso, dopo 30 anni, si ritrova a fare i conti con un dissenso molto diffuso, seppure non organizzato.
Probabilmente è vero che la Repubblica islamica non sarà più la stessa dopo questa crisi, ma è ancora molto presto per parlare di una rivoluzione.
I conservatori più pragmatici come Larijani e il sindaco di Teheran Mohammad Baqer Qalibaf tentano una mediazione.
Il secondo ha chiesto alle autorità nazionali di concedere l’autorizzazione per le manifestazioni spiegando che questo è l’unico modo per evitare le violenze.
Lo spettro oggi è una svolta autoritaria, un putsch militare attuato dall’ala dura dei pasdaran con l’appoggio dell’esercito.
Ma sarebbe una svolta rischiosa.
Il grande ayatollah dissidente Montazeri ha ammonito: “Se il popolo iraniano non può rivendicare i suoi diritti legittimi in manifestazioni pacifiche e viene represso, la crescita della frustrazione potrebbe arrivare a distruggere le fondamenta di qualsiasi governo, non importa quanto forte”.
Infinito edizioni: 06/93162414 A quasi due settimane dalle contestatissime elezioni, non sembra calare la tensione in Iran.
Quanto sappiamo oggi lo dobbiamo a un sistema di comunicazione “misto”, solo in parte filtrato dai tradizionali mezzi di comunicazione.
Ciò che arriva direttamente dagli amici iraniani (via internet, soprattutto) è un misto di tensione e attesa.
Le grandi manifestazioni dei primissimi giorni, filmate e raccontate dai reporter internazionali poi costretti a lasciare il Paese, sono state sostituite da assembramenti più piccoli e più drammatici.
È difficile avere certezze su quanto stia davvero accadendo in Iran.
Di certo la polizia spara, i pasdaran picchiano e molte persone vengono arrestate senza un’accusa chiara.
La repressione colpisce probabilmente più fuori Teheran.
Si parla di decine di arresti a Tabriz a Isfahan, grandi città spesso ignorate dalle cronache dei media.
E c’è paura, grande paura.

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