Pavel Florenskij

Come anticipazione alla mostra su Pavel Florenskij che sarà allestita in occasione del prossimo Meeting di Rimini, la rivista “La nuova Europa” ripropone nel terzo numero di quest’anno un suo profilo scritto da uno dei protagonisti della rinascita religiosa in Urss.
Ne pubblichiamo alcuni stralci.
Eccoci, dunque, a parlare di Pavel Florenskij.
Non basterebbero neppure dieci incontri per trattare particolareggiatamente l’opera letteraria, scientifica e filosofica di quest’uomo, figurarsi uno solo.
Ma il mio compito è semplice.
Come negli incontri precedenti, vorrei che sentiste, che vedeste la figura di quest’uomo, il suo stile di pensiero, che riusciste a gettare uno sguardo sul suo percorso creativo ed esistenziale.
Si tratta di un personaggio che ha avuto un destino molto, molto speciale.
Infatti, la maggior parte dei pensatori religiosi russi di cui abbiamo parlato sono stati espulsi dal Paese o l’hanno lasciato di propria volontà, e il loro destino è rimasto legato all’emigrazione russa.
Florenskij è stato uno dei pochi a rimanere qui.
Non solo, Florenskij è una persona di cui non si può dare una definizione univoca.
Un ingegnere? Sì, ha brevettato trenta invenzioni, in epoca sovietica.
Un filosofo? Sì, uno dei più luminosi interpreti del platonismo, uno dei più brillanti platonici russi.
Un poeta? Sì, forse non grandissimo, ma che comunque ha composto versi e ha pubblicato un libro di poesie, che è stato amico di Andrej Belyj ed è cresciuto nell’atmosfera dei simbolisti.
Un matematico? Sì, un discepolo del celebre professor Bugaev, padre di Andrej Belyj, che ha formulato teorie molto interessanti in questo campo; un uomo che, contemporaneamente e indipendentemente da Aleksandr Fridman, lo scienziato di Pietrogrado oggi famoso, era arrivato all’idea dello spazio curvo.
Fridman è il padre della teoria dell’universo in espansione, che aveva formulato sulla base delle equazioni di Einstein.
E Florenskij si era avvicinato molto a questa teoria proprio nello stesso periodo, nel 1922, mentre lavorava al capo opposto del Paese.
Il pensiero di Florenskij si estendeva alla storia dell’arte che era, si può dire, la sua seconda professione (o la terza, o la decima, se si vuole).
Florenskij era un fine teologo.
Un erudito.
Padre Vasilij Zen’kovskij, autore di una monumentale Storia della filosofia russa, parla della sua impressionante erudizione.
Persone che avevano conosciuto Florenskij, mi hanno raccontato che poteva dare risposte circostanziate praticamente a qualsiasi domanda nei più diversi campi delle scienze umane e tecniche.
Florenskij era uno storico, sebbene le tematiche storiche siano poco presenti nelle sue opere, era tuttavia un archeologo, autore di numerose brevi monografie e saggi sull’arte russa antica e medievale, sull’iconografia, sulle piccole sculture.
Lavorava instancabilmente.
Era una persona che Vernadskij’ stimava e apprezzava.
Nelle loro ricerche scientifiche, operavano nello stesso alveo.
Purtroppo, non tutte le opere di Florenskij sono state ancora pubblicate; tuttavia oggi si può dire che la sua figura, sebbene sia stata e sia tutt’ora discussa, ha senz’altro un valore immenso.
Del resto, tutti i grandi personaggi hanno suscitato delle discussioni: da Puskin a Leonardo da Vinci…
Quelli di cui non si discute, non interessano a nessuno.
Florenskij era legato all’università di Mosca, ai progetti e agli istituti per l’elettrificazione del Paese, inoltre era professore dell’Accademia teologica di Mosca, docente di storia della filosofia; al tempo stesso era redattore della rivista “Bogoslovskij vestnik”.
La molteplicità di interessi era emersa in lui sin dall’infanzia, lo chiamavano il Leonardo da Vinci russo.
Ma quando diciamo “Leonardo da Vinci”, ci viene in mente un maestoso vegliardo, che guarda l’umanità dall’alto dei suoi anni.
Florenskij, invece, è morto giovane.
Era scomparso.
Arrestato nel 1933, era sparito e i suoi familiari, moglie e figli, non sapevano dove fosse, né cosa gli fosse accaduto: lo ignorarono per molto tempo, perché nel 1937 gli avevano tolto il diritto di corrispondenza.
Mi ricordo quando con la mamma camminavo per Zagorsk, in tempo di guerra, lei salutava la moglie di Florenskij e diceva: “Questa donna sta portando un’enorme croce”.
E mi spiegava che non sapeva cosa fosse accaduto al marito.
Anche mio padre a quel tempo era appena stato liberato dalla detenzione e io, sebbene fossi abbastanza giovane, capivo cosa voleva dire.
In realtà, a quell’epoca Florenskij era già morto.
Ai tempi di Chruscëv, nel 1958, sua moglie aveva chiesto la riabilitazione, e aveva ricevuto un certificato in cui si attestava che Florenskij era morto nel 1943, ossia alla fine della condanna.
Infatti nel 1933 gli avevano dato dieci anni, come a un pericoloso delinquente.
Sì, quando io e la mamma parlavamo della sua sorte, lui ormai non c’era già più.
Questo è il certificato di morte che i familiari hanno ricevuto solo ora, nel novembre dello scorso anno.
“Certificato di morte (eccetera)…
Il cittadino Florenskij Pavel Aleksandrovich…
è deceduto l’8 dicembre 1937…
Età: 55 anni [non è vero, ne aveva 56]…
Causa del decesso: fucilazione…
Luogo del decesso: …
regione di Leningrado”.
Un uomo che, alcuni mesi prima di questi eventi, trovandosi ai lavori forzati in condizioni infernali, proseguiva attivamente il suo lavoro di ricerca; un uomo che aveva una profonda vita spirituale, intellettuale, che trasmetteva ai figli le sue ricche conoscenze.
Fino al 1937, infatti, ebbe il permesso di scrivere, e vi furono persino dei momenti in cui la famiglia poté andarlo a trovare.
Di un uomo come lui può andare fiera qualsiasi civiltà: sta sullo stesso piano di Pascal, di Teilhard de Chardin, di molti studiosi e pensatori di tutti i tempi e popoli.
Fra i filosofi russi, Florenskij era il più apolitico.
Tutto immerso nei suoi pensieri, nel suo lavoro, stava sempre un po’ in disparte dalla vita pubblica.
Eppure, preferirono fucilarlo.
Assieme a questo certificato, il Kgb ha consegnato ai familiari la copia della “Sentenza della trojka dell’Unkvd, verbale n.
199 del 25 gennaio 1937 in merito al condannato alla pena capitale Florenskij Pavel Aleksandrovich.
La condanna è stata eseguita l’8 dicembre 1937, il che è attestato dal presente atto”.
Seguono le firme, come in tutti i documenti di cancelleria.
C’è anche una fotografia allegata: un uomo con il volto segnato dalle percosse, che ha toccato il fondo, perché lo hanno straziato e torturato.
Ecco in che epoca siamo vissuti.
Pavel (…) aveva una predilezione per le pietre, le piante, i colori: in questo senso assomiglia molto a Teilhard de Chardin, che pure, da bambino, provava tenerezza per la materia, era, oserei dire, innamorato della materia.
Per Florenskij questo era iniziato dall’infanzia.
Forse il mondo delle persone gli era persino estraneo e talvolta opprimente.
Almeno tre profonde crisi interiori colpirono la vita di Pavel Aleksandrovich.
La prima fu una crisi salutare, nel periodo della giovinezza, quando Florenskij, cresciuto in una famiglia non religiosa, lontana dalla Chiesa, a un certo punto comprese l’inconsistenza della visione materialistica del mondo, e si mise a cercare appassionatamente una via d’uscita.
Vi fu un’altra grave crisi, per così dire personale, quando cercò di compiere da sé la propria vita.
Per uno come lui non era affatto semplice portare il proprio fardello, il peso di se stesso.
Un suo conoscente mi ha raccontato che Florenskij gli aveva detto, scherzando, che dal punto di vista logico era in grado di dimostrare, e in modo molto convincente, cose assolutamente contraddittorie.
Il suo intelletto era una macchina colossale, ma al tempo stesso Florenskij non era solo un uomo astratto, era un uomo profondamente appassionato.
Berdjaev ricorda di aver visto Florenskij da giovane in un monastero, da uno starec dove lo avevano portato alcuni amici devoti: stava in piedi in mezzo alla chiesa e piangeva, singhiozzando…
Una vita tutt’altro che semplice, la sua.
Infine, a 42 anni, sopraggiunse un’altra crisi, senza contare quella immediatamente precedente alla rivoluzione, quando Florenskij stava scrivendo il libro su Chomjakov.
O meglio, non proprio su Chomjakov, si trattava dello studio critico di un’opera su Chomjakov.
E in questo studio avanzava tutta una serie di tesi, che suscitarono la dura reazione dei suoi amici ultraortodossi.
Questi era un ex tolstojano, passato poi all’ortodossia, una persona molto buona e cordiale ma che, non avendo una forma mentis filosofica, apprezzava moltissimo Chomjakov.
La critica a Chomjakov lo aveva messo così in subbuglio, che Novosëlov era partito di gran carriera per Sergiev Posad, aveva raggiunto Florenskij e per tutta la notte l’aveva rimproverato, finché padre Pavel, scrollando la testa, non aveva detto: “Non scriverò più niente di teologia”.
Non doveva essere stato semplice, per un uomo come lui, autore di un libro celebre come La colonna e il fondamento della verità, lasciarsi sfuggire un’espressione del genere.
Di fatto, dopo questo episodio Florenskij non avrebbe più scritto su argomenti filosofico-religiosi.
La sua ultima opera del genere, quasi un commiato dal mondo strettamente teologico, sono le sue lezioni sulla filosofia del culto.
Sono state pubblicate postume solo moltissimi anni dopo, e forse sono state quelle che hanno suscitato le maggiori critiche.
Era una persona difficile e contraddittoria, padre Pavel.
Si era laureato brillantemente in matematica all’università di Mosca, dove aveva subito ottenuto una cattedra.
La matematica era per lui come il fondamento dell’universo.
Alla fine, era arrivato a pensare che tutta la natura visibile, in sostanza, può essere ridotta a dei punti d’appoggio invisibili.
Per questo amava tanto Platone, infatti per quest’ultimo l’invisibile è la fonte di ciò che è visibile.
Florenskij amò, studiò, commentò Platone per tutta la vita.
Non c’è da meravigliarsene.
Il filosofo inglese Whitehead diceva che tutta la filosofia mondiale non è che una serie di note in calce a Platone.
Il pensiero di Platone ha definito una volta per tutte le linee principali dello spirito e del pensiero umano.
Negli anni in cui era studente, Florenskij fu molto influenzato da Vladimir Solov’ëv.
Bisogna dire che entrambi erano platonici, che ad entrambi stava a cuore il problema del fondamento spirituale dell’essere e il tema misterioso della Sofia-Sapienza Divina.
Forse per questo Florenskij cercava di prendere le distanze da Solov’ëv, quasi non lo cita e se lo cita, lo fa in modo critico.
Eppure, nella storia del pensiero i due sono molto vicini, molto più di quanto lo stesso Florenskij potesse sospettare.
Ma la matematica non rimase la sua preferita per tutta la vita.
Florenskij abbandonò la scienza, si trasferì a Sergiev Posad ed entrò all’Accademia teologica.
Andrej Belyj, che l’aveva conosciuto in quegli anni, parla con tenerezza e ironia di questo giovane dai capelli lunghi; dice che lo chiamavano “il naso coi riccioli”, perché Florenskij aveva un viso olivastro, ereditato dalla madre armena, un naso come quello di Gogol’ e lunghi capelli ondulati.
Era basso di statura e di costituzione esile.
Parlava a bassa voce, soprattutto dopo essersi stabilito nel monastero: senza volere aveva fatto proprio il comportamento monastico.
Quando nel 1909 venne inaugurato il monumento a Gogol’ (il vero monumento a Gogol’, quello che ora sta nel cortile, non quella specie di idolo che c’è adesso), quando fu tolto il drappo un uomo esclamò: “Ma questo è Pavlik!”.
In effetti, la figura curva, i capelli, il naso somigliavano straordinariamente a quelli di Florenskij.
Lo scrittore religioso Sergej Fudel, figlio del noto sacerdote moscovita Iosif Fudel’, da giovane aveva conosciuto Florenskij.
Mi descriveva il suo aspetto esteriore, i suoi gesti, e diceva che assomigliava a un affresco egiziano che aveva preso vita.
Raccontava che poteva ascoltarlo a lungo quando parlava con suo padre a voce sommessa.
Non era sempre chiaro di cosa stessero parlando, nei loro discorsi si mescolavano tanti argomenti: la moda femminile, che era un indicatore preciso dello stile della civiltà del tempo; le esperienze occulte; il mistero dei colori delle icone; i significati misteriosi, profondi, delle parole.
Florenskij conservò per tutta la vita un interesse filologico e filosofico per il significato delle parole.
Pavel Aleksandrovich aveva un amico, Sergej Troickij, cui era molto legato in gioventù.
La separazione da quest’ultimo lo ferì dolorosamente: Troickij andò a Tbilisi e, di lì a pochi anni, perì in circostanze tragiche.
A lui Florenskij dedicò il suo libro principale, La colonna e il fondamento della verità, scritto da un uomo che era passato attraverso una tempesta di dubbi.
(…) E questa tempesta ha lasciato il segno nell’opera.
Il sottotitolo è “saggio di teodicea ortodossa”.
Se pensate che sia un trattato nel quale viene esposta in modo coerente e sistematico una certa concezione, vi sbagliate.
Qui non ci sono capitoli, ma lettere indirizzate a un amico.
Ed è fatto volutamente.
Proprio per questo, fra l’altro, il saggio aveva suscitato tanto disaccordo negli ambienti accademici.
Florenskij, per la pubblicazione del libro, volle che fosse stampato in un carattere particolare.
A ogni capitolo vi erano delle vignette, prese da un trattato latino del XVIII secolo, accompagnate da frasi molto laconiche e commoventi.
Quasi ogni capitolo si apriva con un’introduzione lirica.
Un libro dottissimo, in cui i commenti scientifici occupano quasi la metà del testo, con migliaia e migliaia di citazioni da autori antichi e moderni, era scritto come un diario lirico! Che cos’era? Un capriccio? No, era quello che di lì a poco in Europa avrebbero chiamato filosofia esistenziale.
Non filosofia della teoria, bensì filosofia dell’uomo, dell’uomo vivo.
(©L’Osservatore Romano – 10 luglio 2009)

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