“Caritas in veritate”.

La  terza enciclica di questo pontificato, firmata dal papa il 29 giugno 2009 e resa pubblica il 7 luglio, “sullo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità” Il testo integrale dell’enciclica, nel sito del Vaticano: > “Caritas in veritate” 1.
LA CARITÀ NELLA VERITÀ, di cui Gesù Cristo s’è fatto testimone con la sua vita terrena e, soprattutto, con la sua morte e risurrezione, è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera.
[…] 3.
[…] Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo.
L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente.
È il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità.
[…] Nella verità la carità riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della fede nel Dio biblico, che è insieme Agápe e Lógos: Carità e Verità, Amore e Parola.
4.
[…] Un cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali.
In questo modo non ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo.
Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni.
È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività.
[…] 28.
Uno degli aspetti più evidenti dello sviluppo odierno è l’importanza del tema del rispetto per la vita, che non può in alcun modo essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli.
Si tratta di un aspetto che negli ultimi tempi sta assumendo una rilevanza sempre maggiore, obbligandoci ad allargare i concetti di povertà e di sottosviluppo alle questioni collegate con l’accoglienza della vita, soprattutto là dove essa è in vario modo impedita.
Non solo la situazione di povertà provoca ancora in molte regioni alti tassi di mortalità infantile, ma perdurano in varie parti del mondo pratiche di controllo demografico da parte dei governi, che spesso diffondono la contraccezione e giungono a imporre anche l’aborto.
Nei paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale.
Alcune organizzazioni non governative, poi, operano attivamente per la diffusione dell’aborto, promuovendo talvolta nei paesi poveri l’adozione della pratica della sterilizzazione, anche su donne inconsapevoli.
Vi è inoltre il fondato sospetto che a volte gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati a determinate politiche sanitarie implicanti di fatto l’imposizione di un forte controllo delle nascite.
Preoccupanti sono altresì tanto le legislazioni che prevedono l’eutanasia quanto le pressioni di gruppi nazionali e internazionali che ne rivendicano il riconoscimento giuridico.
[…] 29.
C’è un altro aspetto della vita di oggi, collegato in modo molto stretto con lo sviluppo: la negazione del diritto alla libertà religiosa.
Non mi riferisco solo alle lotte e ai conflitti che nel mondo ancora si combattono per motivazioni religiose, anche se talvolta quella religiosa è solo la copertura di ragioni di altro genere, quali la sete di dominio e di ricchezza.
Di fatto, oggi spesso si uccide nel nome sacro di Dio, come più volte è stato pubblicamente rilevato e deplorato dal mio predecessore Giovanni Paolo II e da me stesso.
Le violenze frenano lo sviluppo autentico e impediscono l’evoluzione dei popoli verso un maggiore benessere socio-economico e spirituale.
Ciò si applica specialmente al terrorismo a sfondo fondamentalista, che genera dolore, devastazione e morte, blocca il dialogo tra le Nazioni e distoglie grandi risorse dal loro impiego pacifico e civile.
Va però aggiunto che, oltre al fanatismo religioso che in alcuni contesti impedisce l’esercizio del diritto di libertà di religione, anche la promozione programmata dell’indifferenza religiosa o dell’ateismo pratico da parte di molti paesi contrasta con le necessità dello sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane.
Dio è il garante del vero sviluppo dell’uomo, in quanto, avendolo creato a sua immagine, ne fonda altresì la trascendente dignità e ne alimenta il costitutivo anelito ad “essere di più”.
[…] 34.
La carità nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono.
[…] Talvolta l’uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società.
È questa una presunzione, conseguente alla chiusura egoistica in se stessi, che discende – per dirla in termini di fede – dal peccato delle origini.
[…] La convinzione di essere autosufficiente e di riuscire a eliminare il male presente nella storia solo con la propria azione ha indotto l’uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale.
La convinzione poi della esigenza di autonomia dell’economia, che non deve accettare “influenze” di carattere morale, ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo.
A lungo andare, queste convinzioni hanno portato a sistemi economici, sociali e politici che hanno conculcato la libertà della persona e dei corpi sociali e che, proprio per questo, non sono stati in grado di assicurare la giustizia che promettevano.
Come ho affermato nella mia enciclica “Spe salvi”, in questo modo si toglie dalla storia la speranza cristiana, che è invece una potente risorsa sociale a servizio dello sviluppo umano integrale, cercato nella libertà e nella giustizia.
La speranza incoraggia la ragione e le dà la forza di orientare la volontà.
È già presente nella fede, da cui anzi è suscitata.
La carità nella verità se ne nutre e, nello stesso tempo, la manifesta.
Essendo dono di Dio assolutamente gratuito, irrompe nella nostra vita come qualcosa di non dovuto, che trascende ogni legge di giustizia.
Il dono per sua natura oltrepassa il merito, la sua regola è l’eccedenza.
Esso ci precede nella nostra stessa anima quale segno della presenza di Dio in noi e della sua attesa nei nostri confronti.
La verità, che al pari della carità è dono, è più grande di noi, come insegna sant’Agostino.
[…] 35.
Il mercato, se c’è fiducia reciproca e generalizzata, è l’istituzione economica che permette l’incontro tra le persone, in quanto operatori economici che utilizzano il contratto come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri.
Il mercato è soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra soggetti paritetici.
Ma la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l’importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale per la stessa economia di mercato, non solo perché inserita nelle maglie di un contesto sociale e politico più vasto, ma anche per la trama delle relazioni in cui si realizza.
Infatti il mercato, lasciato al solo principio dell’equivalenza di valore dei beni scambiati, non riesce a produrre quella coesione sociale di cui pure ha bisogno per ben funzionare.
Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica.
Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, e la perdita della fiducia è una perdita grave.
Opportunamente Paolo VI nella “Populorum progressio” sottolineava il fatto che lo stesso sistema economico avrebbe tratto vantaggio da pratiche generalizzate di giustizia, in quanto i primi a trarre beneficio dallo sviluppo dei paesi poveri sarebbero stati quelli ricchi.
Non si trattava solo di correggere delle disfunzioni mediante l’assistenza.
I poveri non sono da considerarsi un “fardello”, bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico.
È tuttavia da ritenersi errata la visione di quanti pensano che l’economia di mercato abbia strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo per poter funzionare al meglio.
È interesse del mercato promuovere emancipazione, ma per farlo veramente non può contare solo su se stesso, perché non è in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità.
Esso deve attingere energie morali da altri soggetti, che sono capaci di generarle.
36.
[…] La Chiesa ritiene da sempre che l’agire economico non sia da considerare antisociale.
Il mercato non è, e non deve perciò diventare, di per sé il luogo della sopraffazione del forte sul debole.
La società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest’ultimo comportasse “ipso facto” la morte dei rapporti autenticamente umani.
È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché sia questa la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso.
Non va dimenticato che il mercato non esiste allo stato puro.
Esso trae forma dalle configurazioni culturali che lo specificano e lo orientano.
Infatti, l’economia e la finanza, in quanto strumenti, possono esser mal utilizzati quando chi li gestisce ha solo riferimenti egoistici.
Così si può riuscire a trasformare strumenti di per sé buoni in strumenti dannosi.
Ma è la ragione oscurata dell’uomo a produrre queste conseguenze, non lo strumento di per sé stesso.
Perciò non è lo strumento a dover essere chiamato in causa ma l’uomo, la sua coscienza morale e la sua responsabilità personale e sociale.
La dottrina sociale della Chiesa ritiene che possano essere vissuti rapporti autenticamente umani, di amicizia e di socialità, di solidarietà e di reciprocità, anche all’interno dell’attività economica e non soltanto fuori di essa o “dopo” di essa.
La sfera economica non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale.
Essa appartiene all’attività dell’uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente.
La grande sfida che abbiamo davanti a noi, fatta emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica.
Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica.
Si tratta di una esigenza ad un tempo della carità e della verità.
[…] 42.
[…] La globalizzazione, a priori, non è né buona né cattiva.
Sarà ciò che le persone ne faranno.
[…] I processi di globalizzazione, adeguatamente concepiti e gestiti, offrono la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza a livello planetario come in precedenza non era mai avvenuto; se mal gestiti, possono invece far crescere povertà e disuguaglianza, nonché contagiare con una crisi l’intero mondo.
[…] 43.
[…] Si assiste oggi a una pesante contraddizione.
Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l’altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell’umanità.
Si è spesso notata una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli.
La relazione sta nel fatto che i diritti individuali, svincolati da un quadro di doveri che conferisca loro un senso compiuto, impazziscono e alimentano una spirale di richieste praticamente illimitata e priva di criteri.
L’esasperazione dei diritti sfocia nella dimenticanza dei doveri.
[…] 44.
[…] Considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo è scorretto, anche dal punto di vista economico: basti pensare, da una parte, all’importante diminuzione della mortalità infantile e il prolungamento della vita media che si registrano nei paesi economicamente sviluppati; dall’altra, ai segni di crisi rilevabili nelle società in cui si registra un preoccupante calo della natalità.
Resta ovviamente doveroso prestare la debita attenzione ad una procreazione responsabile, che costituisce, tra l’altro, un fattivo contributo allo sviluppo umano integrale.
La Chiesa, che ha a cuore il vero sviluppo dell’uomo, gli raccomanda il pieno rispetto dei valori umani anche nell’esercizio della sessualità: non la si può ridurre a mero fatto edonistico e ludico, così come l’educazione sessuale non si può ridurre a un’istruzione tecnica, con l’unica preoccupazione di difendere gli interessati da eventuali contagi o dal “rischio” procreativo.
[…] L’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica.
Grandi nazioni hanno potuto uscire dalla miseria anche grazie al grande numero e alle capacità dei loro abitanti.
Al contrario, nazioni un tempo floride conoscono ora una fase di incertezza e in qualche caso di declino proprio a causa della denatalità, problema cruciale per le società di avanzato benessere.
La diminuzione delle nascite, talvolta al di sotto del cosiddetto “indice di sostituzione”, mette in crisi anche i sistemi di assistenza sociale, ne aumenta i costi, contrae l’accantonamento di risparmio e di conseguenza le risorse finanziarie necessarie agli investimenti, riduce la disponibilità di lavoratori qualificati, restringe il bacino dei “cervelli” a cui attingere per le necessità della nazione.
Inoltre, le famiglie di piccola, e talvolta piccolissima, dimensione corrono il rischio di impoverire le relazioni sociali, e di non garantire forme efficaci di solidarietà.
Sono situazioni che presentano sintomi di scarsa fiducia nel futuro come pure di stanchezza morale.
Diventa così una necessità sociale, e perfino economica, proporre ancora alle nuove generazioni la bellezza della famiglia e del matrimonio, la rispondenza di tali istituzioni alle esigenze più profonde del cuore e della dignità della persona.
In questa prospettiva, gli Stati sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, prima e vitale cellula della società.
[…] 45.
[…] Oggi si parla molto di etica in campo economico, finanziario, aziendale.
[…] È bene, tuttavia, elaborare anche un valido criterio di discernimento, in quanto si nota un certo abuso dell’aggettivo “etico” che, adoperato in modo generico, si presta a designare contenuti anche molto diversi, al punto da far passare sotto la sua copertura decisioni e scelte contrarie alla giustizia e al vero bene dell’uomo.
Molto, infatti, dipende dal sistema morale di riferimento.
Su questo argomento la dottrina sociale della Chiesa ha un suo specifico apporto da dare, che si fonda sulla creazione dell’uomo “ad immagine di Dio” (Genesi 1, 27), un dato da cui discende l’inviolabile dignità della persona umana, come anche il trascendente valore delle norme morali naturali.
Un’etica economica che prescindesse da questi due pilastri rischierebbe inevitabilmente di perdere la propria connotazione e di prestarsi a strumentalizzazioni; più precisamente essa rischierebbe di diventare funzionale ai sistemi economico-finanziari esistenti, anziché correttiva delle loro disfunzioni.
Tra l’altro, finirebbe anche per giustificare il finanziamento di progetti che etici non sono.
[…] 56.
La religione cristiana e le altre religioni possono dare il loro apporto allo sviluppo solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica, con specifico riferimento alle dimensioni culturale, sociale, economica e, in particolare, politica.
La dottrina sociale della Chiesa è nata per rivendicare questo “statuto di cittadinanza” della religione cristiana.
[…] La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede, e questo vale anche per la ragione politica, che non deve credersi onnipotente.
A sua volta, la religione ha sempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto umano.
La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità.
57.
Il dialogo fecondo tra fede e ragione non può che rendere più efficace l’opera della carità nel sociale e costituisce la cornice più appropriata per incentivare la collaborazione fraterna tra credenti e non credenti nella condivisa prospettiva di lavorare per la giustizia e la pace dell’umanità.
[…] Manifestazione particolare della carità e criterio guida per la collaborazione fraterna di credenti e non credenti è senz’altro il principio di sussidiarietà, espressione dell’inalienabile libertà umana.
La sussidiarietà è prima di tutto un aiuto alla persona, attraverso l’autonomia dei corpi intermedi.
Tale aiuto viene offerto quando la persona e i soggetti sociali non riescono a fare da sé e implica sempre finalità emancipatrici, perché favorisce la libertà e la partecipazione in quanto assunzione di responsabilità.
La sussidiarietà rispetta la dignità della persona, nella quale vede un soggetto sempre capace di dare qualcosa agli altri.
Riconoscendo nella reciprocità l’intima costituzione dell’essere umano, la sussidiarietà è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista.
Essa può dar conto sia della molteplice articolazione dei piani e quindi della pluralità dei soggetti, sia di un loro coordinamento.
Si tratta quindi di un principio particolarmente adatto a governare la globalizzazione e a orientarla verso un vero sviluppo umano.
Per non dar vita a un pericoloso potere universale di tipo monocratico, il governo della globalizzazione deve essere di tipo sussidiario, articolato su più livelli e su piani diversi, che collaborino reciprocamente.
La globalizzazione ha certo bisogno di autorità, in quanto pone il problema di un bene comune globale da perseguire; tale autorità, però, dovrà essere organizzata in modo sussidiario e poliarchico, sia per non ledere la libertà sia per risultare concretamente efficace.
[…] 67.
Di fronte all’inarrestabile crescita dell’interdipendenza mondiale, è fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l’urgenza della riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale.
[…] Urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio predecessore, il beato Giovanni XXIII.
Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità.
Tale Autorità inoltre dovrà essere da tutti riconosciuta, godere di potere effettivo per garantire a ciascuno la sicurezza, l’osservanza della giustizia, il rispetto dei diritti.
Ovviamente, essa deve godere della facoltà di far rispettare dalle parti le proprie decisioni, come pure le misure coordinate adottate nei vari fori internazionali.
In mancanza di ciò, infatti, il diritto internazionale, nonostante i grandi progressi compiuti nei vari campi, rischierebbe di essere condizionato dagli equilibri di potere tra i più forti.
Lo sviluppo integrale dei popoli e la collaborazione internazionale esigono che venga istituito un grado superiore di ordinamento internazionale di tipo sussidiario per il governo della globalizzazione.
[…] 75.
[…] Oggi occorre affermare che la questione sociale è diventata radicalmente questione antropologica, nel senso che essa implica il modo stesso non solo di concepire, ma anche di manipolare la vita, sempre più posta dalle biotecnologie nelle mani dell’uomo.
La fecondazione in vitro, la ricerca sugli embrioni, la possibilità della clonazione e dell’ibridazione umana nascono e sono promosse nell’attuale cultura del disincanto totale, che crede di aver svelato ogni mistero, perché si è ormai arrivati alla radice della vita.
Qui l’assolutismo della tecnica trova la sua massima espressione.
In tale tipo di cultura la coscienza è solo chiamata a prendere atto di una mera possibilità tecnica.
Non si possono tuttavia minimizzare gli scenari inquietanti per il futuro dell’uomo e i nuovi potenti strumenti che la “cultura della morte” ha a disposizione.
Alla diffusa, tragica, piaga dell’aborto si potrebbe aggiungere in futuro, ma è già surrettiziamente “in nuce”, una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite.
Sul versante opposto, va facendosi strada una “mens eutanasica”, manifestazione non meno abusiva di dominio sulla vita, che in certe condizioni viene considerata non più degna di essere vissuta.
Dietro questi scenari stanno posizioni culturali negatrici della dignità umana.
Queste pratiche, a loro volta, sono destinate ad alimentare una concezione materiale e meccanicistica della vita umana.
Chi potrà misurare gli effetti negativi di una simile mentalità sullo sviluppo? Come ci si potrà stupire dell’indifferenza per le situazioni umane di degrado, se l’indifferenza caratterizza perfino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è? Stupisce la selettività arbitraria di quanto oggi viene proposto come degno di rispetto.
Pronti a scandalizzarsi per cose marginali, molti sembrano tollerare ingiustizie inaudite.
Mentre i poveri del mondo bussano ancora alle porte dell’opulenza, il mondo ricco rischia di non sentire più quei colpi alla sua porta, per una coscienza ormai incapace di riconoscere l’umano.
Dio svela l’uomo all’uomo; la ragione e la fede collaborano nel mostrargli il bene, solo che lo voglia vedere; la legge naturale, nella quale risplende la Ragione creatrice, indica la grandezza dell’uomo, ma anche la sua miseria quando egli disconosce il richiamo della verità morale.
[…] 78.
Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia.
[…] La chiusura ideologica a Dio e l’ateismo dell’indifferenza, che dimenticano il Creatore e rischiano di dimenticare anche i valori umani, si presentano oggi tra i maggiori ostacoli allo sviluppo.
L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano.
[…] 79.
Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, “caritas in veritate”, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato.
[…] L’anelito del cristiano è che tutta la famiglia umana possa invocare Dio come “Padre nostro!”.
Insieme al Figlio unigenito, possano tutti gli uomini imparare a pregare il Padre e a chiedere a Lui, con le parole che Gesù stesso ci ha insegnato, di saperlo santificare vivendo secondo la sua volontà, e poi di avere il pane quotidiano necessario, la comprensione e la generosità verso i debitori, di non essere messi troppo alla prova e di essere liberati dal male.
[…] __________

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *