Il classico va bene ma solo se è di moda

In sede di consuntivo, gli esperti del mondo editoriale hanno concordemente cantato vittoria:  l’edizione 2009 della Fiera del libro di Torino ha registrato un successo superiore a ogni previsione.
Il vento tempestoso della crisi economico-produttiva non è filtrato attraverso le ampie vetrate che delimitano i padiglioni del Lingotto, non ha investito gli stand degli oltre 1.400 espositori, né spazzato le quasi trenta sale adibite ad affollati convegni.
Al contrario.
Una brezza tonificante ha restituito un pizzico di fiducia a editori, distributori, librai.
Nonostante la chiusura di molte librerie di piccole e medie dimensioni, solo in parte controbilanciata dall’estendersi delle grandi catene, l’impressione è che in Italia la domanda di prodotti editoriali non conosca flessioni (vero è che risulta comunque stabilizzata da anni su livelli di retroguardia mondiale).
Del resto, al “botteghino” torinese le cifre ufficiose danno ragione e soddisfazione agli organizzatori:  307.000 visitatori, il 5% in più rispetto al 2008, mentre le vendite hanno goduto di un’impennata pari al 35%, probabilmente grazie anche a un incremento di promozioni e incentivi.
Sarebbe interessante poter estrapolare da questi dati complessivi qualche elemento puntato in modo specifico sull’afflusso e sui comportamenti d’acquisto del pubblico giovane, compreso all’incirca tra i 15 e i 25 anni:  quel segmento di consumatori di libri dalla cui “tenuta”, dipendono le future sorti non soltanto dell’editoria ma più in generale della produzione culturale in Italia e in Europa.
In questo senso, secondo gli addetti ai lavori resta vitale, strategico, il rapporto dei giovani lettori con i classici.
Un intellettuale che di classici se ne intendeva come pochi Giuseppe Pontiggia – scomparso nel 2003 – fissò lucidamente i termini del problema in una conferenza del 1994:  “Spesso i giovani hanno la sensazione che i classici siano degli idoli sopravvissuti a migliaia di anni, che la scuola li abbia trasmessi e che loro debbano occuparsene perché è tradizionale occuparsene.
Invece noi li studiamo perché questi testi continuano ad agire nella mente delle persone”.
Non costituisce certo un’inaudita rivelazione la fondamentale importanza della scuola media superiore, e poi dell’università, nell’accostamento ai classici da parte di adolescenti e ventenni.
E tuttavia è una realtà mai sufficientemente sottolineata.
Se gli insegnanti di lingue e letterature antiche o moderne riescono a comunicare, con passione temperata da una professionale razionalità, la consapevolezza che “la lettura dei classici, per chi la sa mettere a frutto, può essere una ricchezza straordinaria – sono ancora parole di Pontiggia – i loro allievi saranno in grado, almeno in una certa percentuale, di scavalcare i limiti delle nozioni di base, delle versioni dal greco o dal latino, dei compiti in classe, degli assaggi antologici, per avventurarsi nel mare aperto delle libere scorribande sui testi integrali”.
Diversamente, la conoscenza di quel patrimonio resterà frammentaria, faticosa e superficiale.
La grande letteratura universale, la Weltliteratur, non diventerà maestra di vita, strumento di crescita interiore, cibo nutriente per lo spirito.
Tutt’al più, alle soglie dell’estate vedremo ricomparire nelle classifiche dei bestseller, colonna dei tascabili, i soliti romanzi tradizionalmente raccomandati come letture per le vacanze:  Il fu Mattia Pascal di Pirandello, Il deserto dei Tartari di Buzzati, Il barone rampante di Calvino, e così via. Fenomeno vistoso, certo positivo, ma effimero come la fioritura dei papaveri nei campi di grano.
In conclusione:  avremo giovani lettori appassionati di classici finché avremo un corpo docente – non importa quanto minoritario – che dei classici sappia trasmettere, con modalità didattiche coinvolgenti, la perenne lezione intellettuale e morale.
In ogni caso, la disponibilità di volumi commisurati alle esigenze, ai gusti e alle tasche giovanili è tutt’altro che scarsa.
L’offerta di edizioni accurate, fondate sul puntuale accostamento di testi e traduzioni, corredate di apparati e sussidi tali da consentire ogni tipo di fruizione – specialistica o dilettantesca – delle grandi opere “canoniche” e di molte altre “minori”, risulta oggi, sul mercato italiano, più che mai abbondante e variegata.
Anche se in genere non vengono più alimentate con lo stesso elevato numero di novità che le ha arricchite negli ultimi due decenni del secolo scorso, le collane “storiche” riservate ai classici seguitano a occupare spazi rilevanti nell’economia delle librerie.
Se ne poteva avere conferma a prima vista anche aggirandosi fra gli stand di Torino.
Mettiamo pure tra parentesi le collezioni più pregiate, come i “Meridiani” (Mondadori), gli “Scrittori greci e latini” (Fondazione Lorenzo Valla / Mondadori), i “Millenni” e la “Biblioteca della Pléiade” (Einaudi), i “Classici” della Utet.
Supponiamo, cioè, che l’alta fascia di prezzo ponga questi raffinati volumi fuori dalla portata di studenti liceali e universitari (senza escludere, però, qualche loro prelievo da biblioteche di genitori collezionisti).
Rimangono comunque, a prezzi decisamente convenienti e con dignitose copertine spesso ristilizzate in occasione delle ristampe, le gloriose, foltissime schiere di paperback targati Oscar Classici, Classici Bur, Grandi Libri Garzanti, Tascabili Einaudi, Universale Economica Feltrinelli, Grande Universale Mursia, Newton Compton, e così via.
La concorrenza è accanita, ma i risultati non sono esaltanti.
Duole constatare, infatti, come tutte queste accessibili collane evidenzino una certa sofferenza rispetto a un recente passato.
Una sofferenza su cui le opzioni dei giovani lettori hanno un peso notevole.
Giuliano Vigini, direttore dell’Editrice Bibliografica, si dice convinto che, nel disorientamento di fronte al diluvio di novità immesse sul mercato al ritmo di 180 al giorno, i giovani reagiscono con scelte frammentarie e occasionali, fatalmente influenzate dal marketing, dalla pubblicità, dal passaparola, dai premi letterari.
Di qui i durevoli trionfi (non solo giovanili, beninteso) di bestseller, anzi “megaseller”, quali Gomorra e La solitudine dei numeri primi.
A tutto detrimento dei classici, entrati purtroppo in una fase di appannamento.
Come avviare, allora, un circolo virtuoso che ristabilisca un miglior equilibrio fra l’antico e il moderno? La soluzione prospettata da Vigini prevede una più stretta cooperazione fra agenzie educative (scuola, famiglia, chiesa) e istituzioni culturali (case editrici, associazioni, enti pubblici e privati) che dovrebbero convergere sulla progettazione di percorsi di lettura “guidati” attraverso l’universo classico, calibrandoli attentamente in rapporto ai problemi, agli interessi, alle aspettative dell’età evolutiva.
Non più un girovagare disordinato e dispersivo, ma un cammino rettilineo, organizzato e in definitiva gratificante.
(©L’Osservatore Romano – 28 maggio 2009)

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