Il benessere scolastico

Il mondo della scuola, ci viene detto da più parti e ce ne accorgiamo più o meno direttamente, sta cambiando e sta diventando più complesso.
Stare bene in classe sembra si stia rivelando sempre più difficile, sia per l’adulto che insegna sia per il giovane che impara.
La promozione di una condizione di benessere è una questione sentita e molto attuale; lavorando nelle scuole ci rendiamo conto della complessità e delle difficoltà che insegnanti ed alunni incontrano nel quotidiano.
In quest’ottica emerge l’esigenza di creare una cultura del benessere all’interno della scuola, che passi attraverso le persone che abitualmente vivono l’ambiente scolastico.
Cosa le fa stare bene? Cosa le fa vivere a disagio? Questi interrogativi non hanno un’unica risposta, non possono essere generalizzati ma devono essere calati in quella specifica realtà che ci interessa osservare.
Occorre dar voce ai soggetti e mettersi in ascolto.
Queste considerazioni hanno portato la nostra equipe di lavoro (composta da pedagogisti e psicologi) a riflettere su tale fenomeno per cercare di definirne meglio i contorni.
In conclusione, dobbiamo far notare che questo contributo si inserisce all’interno della cornice dell’approccio preventivo promozionale, che attua progetti di intervento finalizzati a ridurre i fattori potenziali di disagio o a limitarne i possibili effetti, incrementando i fattori ambientali e le risorse in grado di produrre salute nel singolo e nel gruppo (Becciu e Colasanti, 2003).
La prevenzione, intesa in tal senso, è la ricerca di possibilità di sviluppo e crescita più che una strategia per evitare un problema e/o rispondere a esigenze di controllo e di conservazione: è, quindi, promozione del benessere.
L’attenzione è spostata da una logica dell’”arrivare prima” per “evitare” un pericolo imminente a quella di una cultura e un’educazione che sostengano le risorse che ciascun individuo mette o può mettere in gioco nell’affrontare gli ostacoli e gli stress della vita quotidiana: “L’ottica della promozione (…) persegue obiettivi che effettivamente favoriscono la qualità della vita, le risorse sane e positive.
Non nega il disagio, ma, anche, non si fissa su di esso” (Maggi, 1996, pag.
90).
Dal punto di vista strettamente tecnico e pragmatico, occorre, quindi, spostare l’asse dell’intervento dal fare prevenzione al favorire lo sviluppo di capacità individuali e collettive di autoprotezione dal disagio.
La scuola, in quest’ottica, è responsabile, insieme ad altri attori dello sviluppo della personalità sociale, che matura nello spazio delle relazioni, che avvengono sia nei momenti formali di lavoro che in quelli informali (Girelli, 1999).
La nostra ricerca rileva, infatti, che la maggioranza degli studenti attribuisce la propria percezione di benessere a un contesto favorevole, che fa risaltare le relazioni sociali.
La cura della dimensione socio-affettiva è quindi essenziale non solo per la crescita del benessere dei ragazzi ma anche per lo stesso apprendimento.
In altre parole, quando la scuola si fa accogliente, è più facile che gli studenti acquisiscano conoscenze proprio perché coinvolti attivamente (Girelli, 1999).
Star bene a scuola, come è emerso anche nella ricerca presentata in questo contributo, implica sia per gli alunni che per gli insegnanti una sintesi di benessere soggettivo (avere competenze interne necessarie per vivere in modo soddisfacente nel presente e, soprattutto, nel futuro), relazionale (instaurare gratificanti rapporti con gli altri) e cognitivo (provare piacere nell’apprendere).
Stare bene in classe (con i propri compagni e con i propri insegnanti) è fondamentale non solo per la psiche dell’individuo, ma anche per il suo rendimento scolastico: “In ogni situazione di apprendimento esiste … osmosi tra la sfera affettiva e quella cognitiva”(Montesissa, 2000).
E’ utile, quindi, che nella scuola si propongano percorsi che aiutino gli alunni a conoscere e sviluppare la conoscenza di sé ed a migliorare la loro vita di gruppo favorendo un clima di collaborazione.
In classe bisogna star bene emotivamente per apprendere bene e per insegnare bene! Per la consultazione dell’intero intervento scarica i materiali collegati nella colonna di destra Definire il termine “benessere” non è semplice: per lungo tempo l’attenzione della ricerca si è orientata ad analizzare le situazioni ove il benessere manca, occupandosi dell’infelicità e della sofferenza umana (Myers – Diener, 1995; Ryff, 1989, Argyle, 1987).
La presenza di stati di benessere era infatti definita come “assenza di sintomi di malessere”, cioè emozioni negative e disturbi ad esse collegati, quali depressione, ansia, inquietudine, sintomi fisici di varia entità.
Ryff, nel 1989, mise in evidenza come gran parte delle ricerche si fondassero su concezioni riduttive del benessere in quanto privilegiavano le dimensioni del funzionamento psicologico negativo, trascurando importanti aspetti di quello positivo.
Solo recentemente l’attenzione si è spostata sulla condizione di benessere intesa nelle sue dimensioni positive con particolare riferimento agli indicatori oggettivi; limitandosi a questi ultimi indicatori infatti, il benessere viene interpretato come condizione di vita ottimale ed ideale, derivante dal possesso di qualche qualità desiderabile (la soddisfazione dei bisogni primari, la salute, il successo, la realizzazione professionale ecc.) in relazione ad un sistema valoriale condiviso all’interno di una determinata comunità.
I risultati di alcune ricerche (Diener – Suh – Oishi, 1997; Csikszentmihalyi – Wong, 1991) dimostrano però che il grado di benessere percepito può essere ricondotto solo in minima parte alle condizioni oggettive in cui si vive (si pensi ad alcuni settori specifici quali la salute mentale e la gerontologia) poiché si deve far riferimento anche alla personale attribuzione di significato agli eventi e alle esperienze.
Nasce così un filone di ricerca che si è concentrata sull’analisi dell’esperienza soggettiva del benessere o benessere soggettivo (Andrews – Robinson, 1991); soprattutto negli ultimi anni, negli Stati Uniti, si è sviluppato un ambito di indagine noto come SWB (Subjective Well-Being) che vuole differenziarsi dalla psicologia tradizionale perché va ad esaminare l’”esperienza interna” del benessere e cerca di “comprendere come le persone valutano la loro vita”(Diener, 1994).
Si tratta di un ambito interdisciplinare collegato ma distinto da quello più ampio relativo alla “Qualità della Vita”(Quality of Life: QoL).
Mentre il primo si riferisce all’esperienza del “sentirsi bene”, espressa in termini affettivi, il secondo comprende tutte le componenti che intervengono nella percezione che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nel quale egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi, aspettative, interessi.
La letteratura sul benessere soggettivo propone una mole di tradizionali studi correlazionali che connettono la “variabile” benessere ad altre variabili: tratti di personalità (Bostic – Ptacek, 2001), reddito (Cummins, 2000), qualità delle relazioni familiari (Sastre – Ferriere, 2000), riferimento ai valori e alla spiritualità (Daaleman, 1999), attività sociali e fisiche (Cooper – Okamura – Gurka, 1992), autostima (Schimmack – Diener, 2003) e adattabilità (Wrosch et al., 2003).
Le ricerche fino ad ora sviluppate hanno preso in considerazione prevalentemente campioni di popolazione di interesse clinico: le minoranze etniche e gli anziani.
Solo recentemente sono stati intensificati gli studi sugli adolescenti: una rassegna delle ricerche sul SWB nella popolazione giovanile si trova in Gilman – Huebner (2003); tali autori si sono anche occupati di una raccolta di strumenti specifici (vedi Gilman – Huebner 2000).
Queste ricerche indagano la relazione tra SWB e: realizzazione dei valori (Rask et al., 2002), soddisfazione scolastica (Katja et al., 2002), relazioni sociali (Hendry – Reid, 2000), dinamiche familiari (Rask et al., 2003), attività (Lowe, 2003), oppure misurano il livello generale di soddisfazione (Light, 2000).
In Italia, mentre le ricerche dedicate alla Qualità della Vita sono ormai diffuse (Inghilleri, 2003), il settore d’indagine sul benessere soggettivo è ancora poco sviluppato.
Anche nel nostro paese i contributi sono stati rivolti soprattutto alle problematiche adolescenziali (Cicognani – Zani, 1999), proprio perché considerata un’età difficile di costruzione della personalità, che coinvolge più agenti di sviluppo e di socializzazione, come la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari (Palmonari, 1997) l’adolescenza è stata individuata come fase evolutiva determinante per la promozione del benessere.
Gli studi si sono concentrati soprattutto sull’importanza che, per gli adolescenti, assumono le relazioni con gli altri significativi: i familiari (Bonino, 1997) e i coetanei (Ardone, 1998).
La famiglia e la scuola vengono di conseguenza identificati come i contesti più appropriati per lo studio e la promozione del benessere giovanile (Bonino – Cattelino, 2002).
Tali studi costituiranno la base teorica della ricerca da noi condotta.

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