Parlando di Newman, Leone XIII lo chiamava “il mio cardinale”, e aggiungeva “non è stato facile, non è stato facile.
Dicevano che fosse troppo liberale, ma io avevo deciso di onorare la Chiesa onorando Newman.
Ho sempre avuto un culto per lui.
Ho dato prova che ero capace di onorare un tale uomo”.
Il Papa lo diceva a Lord Selborne che, in una udienza del 26 gennaio 1888, gli consegnava un messaggio da parte di Newman.
Infatti già da nunzio in Belgio (dagli inizi del 1843 agli inizi del 1846), Pecci era ben informato sul movimento di Oxford.
Ed è interessante che l’affermazione: “Ho sempre avuto un culto per lui” venga dal Papa dell’Aeterni Patris e della rinascita del tomismo.
Quella nomina, auspicata particolarmente dal laicato cattolico inglese e di cui già si vociferava, era stata piuttosto laboriosa per il fraintendimento della sua difficoltà a lasciare l’oratorio di Birmingham: intenderlo e presentarlo al Papa come un rifiuto non era dispiaciuto troppo al cardinale Manning, nel quale la porpora di Newman non suscitava un eccessivo entusiasmo.
Newman poi precisò che non si trattava di un rifiuto, e il Papa stesso era disposto a una deroga. Il duca di Norfolk, che sosteneva fortemente quella nomina, già nel dicembre del 1878 l’aveva prospettata a Leone XIII, trovando che il Papa non aveva nessun pregiudizio contro Newman e nessuna avversione nei confronti dei suoi scritti.
La questione venne risolta con la lettera del Segretario di Stato, il cardinale Lorenzo Nina, che il 15 marzo 1879 comunicava ufficialmente a Newman la decisione di Leone XIII di conferirgli la porpora.
Newman giunse a Roma il 24 aprile e vi rimase fino al 4 giugno, presso l’Hotel Bristol, in via Sistina 48, in uno stato di salute estremamente precario.
Scrivendo al suo vescovo Ullathorne, il 3 luglio, mentre ricordava la “simpatia” e “gli onori” smisurati di cui era stato fatto oggetto, e in particolare la “tenerezza”, l'”affettuosa tenerezza” del Papa, lo informava di non aver potuto celebrare l’Eucaristia più di tre volte, e del resto alcune sue lettere le aveva dettate dal letto.
Durante quelle settimane venne ricevuto due volte da Leone XIII, che si informava continuamente della salute del “suo” cardinale.
La prima udienza avvenne il 27 aprile.
Ricordandola in una lettera del 2 maggio all’oratoriano Henry Bittleston, Newman scrive: “Il Santo Padre mi ha ricevuto molto affettuosamente, stringendo la mia mano nella sua.
Mi ha chiesto: “Intende continuare a guidare la Casa di Birmingham?”.
Risposi: “Dipende dal Santo Padre”.
Egli riprese: “Bene.
Desidero che continuiate a dirigerla”, e parlò a lungo di questo”.
Il Papa gli rivolge ancora “diverse domande” sulla casa di Birmingham, se fosse bella, sulla chiesa, sul numero dei religiosi, sulla loro età, su dove avesse studiato teologia.
Prima di congedarsi, Newman fece omaggio a Leone XIII di una copia dell’edizione romana delle sue quattro Dissertazioni Latine, e aggiunge, nella stessa lettera a Bittleston, d’aver rilevato la larga bocca del Papa, il suo ampio e gradevole sorriso, la sua “carnagione molto chiara” e il suo “parlare lento e nitido all’italiana”.
La seconda udienza, di congedo, avvenne il 2 giugno, nell’imminenza del ritorno in Inghilterra.
Newman sottopose al Papa varie richieste, e il 4 lasciò Roma per Livorno, dove rimase, malato, fino al 20 giugno, per arrivare a Birmingham il primo luglio.
Aveva ricevuto il Biglietto, recatogli da monsignor Romagnoli, la mattina del lunedì 12 maggio, presso il Palazzo della Pigna.
Il giorno dopo il Papa gli avrebbe imposto la berretta cardinalizia, e nel concistoro pubblico del 15 seguente il galero.
Insieme, tra gli altri, con Giuseppe Pecci, fratello del Papa, Tommaso Maria Zigliara, domenicano – tutt’e due eminenti studiosi di filosofia e teologia tomista – e il celebre storico Joseph Hergenröther.
Come cardinale diacono gli era stato assegnato il titolo di San Giorgio al Velabro.
Il motto dello stemma, attinto a san Francesco di Sales, era suggestivo ed eloquente, Cor ad cor loquitur, e rendeva perfettamente lo spirito di Newman, per il quale la parola non si comunica per pura ed esclusiva via astratta ma per i rapporti concretamente creati da una interiore affinità; d’altra parte, si conosce non solo con la mente, ma con tutta la persona, e quindi con l’affectus, secondo l’affermazione di Gregorio Magno: Amor ipse notitia, l’amore è in se stesso fonte e principio di conoscenza, ossia amare è conoscere.
I testimoni di quel concistoro pubblico hanno riportato l’impressione e il commento che la figura diafana di Newman, dai capelli bianchi e dal marcato profilo, avvolta nella porpora, suscitava nelle dame di Roma: “Che bel vecchio! Che figura! Pallido sì, ma bellissimo!” (cfr.
Sheridan Gilley, Newman and his age, p.
402).
Un oratoriano della comunità, parlando di Newman, tornato a Birmingham e presente alle celebrazioni nella chiesa di Edgbaston, osservava: “Il suo aspetto era magnifico, mentre stava seduto di fronte ai fedeli che riempivano il tempio.
Il suo volto sembrava quello di un angelo, con i suoi lineamenti, ormai familiari per noi, addolciti e spiritualizzati adesso dalla salute fragile, e con la sua delicata costituzione e i capelli argentei, che contrastavano con le sfumature rosse dei suoi splendidi e insoliti vestiti” (citato da José Morales Marín, John Henry Newman.
La vita).
Il cardinalato e l’accoglienza di Leone XIII, oltre che una riparazione per la diffidenza che per anni aveva circondato la vita e l’opera di Newman, erano soprattutto il riconoscimento del valore del suo ampio e lungo magistero.
Ed è molto significativo che “L’Osservatore Romano” del 14 maggio, la vigilia del concistoro pubblico, pubblicasse in prima pagina il discorso pronunziato da Newman dopo la consegna del Biglietto di nomina, il 12 maggio, dove faceva un rapido bilancio della sua vita e dove trattava di un tema che appare ancora di impressionante attualità: quello del liberalismo religioso.
Newman, dopo aver iniziato a parlare “nell’armoniosa lingua” italiana, continuando in inglese, manifestava la sua “meraviglia e gratitudine profonda” per la sua nomina, dichiarando di sentirsi sopraffatto dall'”indulgenza e dall’amore del Santo Padre” nell’eleggerlo a un “onore tanto smisurato”: “È stata una grande sorpresa.
Siffatta esaltazione non mi era mai venuta in mente e pareva non avere attinenza alcuna con il mio passato.
Avevo incontrato molte traversie, ma erano finite, e ormai era quasi giunto per me il termine di ogni cosa.
Stavo in pace”.
“Il Santo Padre ebbe simpatia per me, e mi disse perché mi sollevava a sì alto posto.
Egli giudicava questo atto un riconoscimento del mio zelo e del mio servizio per tanti anni nella Chiesa cattolica; riteneva inoltre che qualche attestato del suo favore avrebbe fatto piacere ai cattolici inglesi e anche all’Inghilterra protestante”.
Aggiungeva il neoeletto cardinale: “In un lungo corso di anni ho fatto molti sbagli.
Sono lontano da quell’alta perfezione che è propria degli scritti dei santi (…) ma ciò che confido di potermi attribuire in quanto ho scritto è questo: la retta intenzione, l’immunità da interessi privati, la disposizione all’obbedienza, la prontezza a essere corretto, il grande timore di sbagliare, la brama di servire la Santa Chiesa, e, per divina misericordia, sufficiente buon successo”.
E proseguiva: “Godo nel dire che a un gran male mi sono opposto fin dal principio.
Per trenta, quaranta, cinquant’anni anni ho resistito, con tutte le mie forze, allo spirito del liberalismo religioso, e mai la Chiesa ebbe come oggi più urgentemente bisogno di oppositori contro di esso, mentre, ahimé, questo errore si stende come una rete su tutta la terra”.
“Il liberalismo religioso è la dottrina secondo la quale non esiste nessuna verità positiva in campo religioso, ma che qualsiasi credo è buono come qualunque altro; e questa è la dottrina che, di giorno in giorno, acquista consistenza e vigore.
Questa posizione è incompatibile con ogni riconoscimento di una religione come vera.
Esso insegna che tutte sono da tollerare, in quanto sono tutte materia di opinione.
La religione rivelata non è verità, ma sentimento e gusto, non fatto obiettivo (…) Ogni individuo ha diritto a interpretarla a modo suo (…) Si può andare nelle chiese protestanti e in quelle cattoliche; si può ristorare lo spirito in ambedue e non appartenere a nessuna.
Si può fraternizzare insieme in pensieri e affari spirituali, senza avere dottrina comune o vederne la necessità.
Poiché la religione è un fatto personale e un bene esclusivamente privato, la dobbiamo ignorare nei rapporti reciproci”.
Newman aggiungeva: “La bella struttura della società che è l’opera del cristianesimo, sta ripudiando il cristianesimo”; “Filosofi e politici vorrebbero surrogare anzitutto un’educazione universale, affatto secolare (…
che) provvede le ampie verità etiche fondamentali di giustizia, benevolenza, veracità e simili”; sennonché – osserva Newman – un tale progetto è diretto “a rimuovere e ad escludere la religione”.
È difficile non riconoscere la rovinosa attualità di questo liberalismo religioso, che preoccupava Newman nel 1879: oggi si sta esattamente e largamente avverando e diffondendo la persuasione che le religioni siano equivalenti, che sia indifferente e non pertinente la questione della loro verità, che una confessione o una Chiesa si equivalgono.
E che, in ogni caso, la religione appartiene esclusivamente all’ambito privato e personale, senza riflessi sociali.
A non mancare di equivocità è talora lo stesso dialogo interreligioso: quando cioè dovesse attutire la coscienza che, alla fine, a importare è la religione vera.
La confusione che al riguardo si sta creando, all’interno stesso di esperienze cristiane elitarie, e “profetiche”, come le chiamano, è mirabile e singolare, ma è assolutamente contraria al Vangelo e alla tradizione ecclesiale.
Parlano del Popolo di Dio e ne annebbiano le certezze.
Anche l’altro, e connesso, rilievo di Newman appare di sorprendente attualità: quello relativo allo smantellamento della “cultura” cristiana e delle sue risorse educative, con il pretesto della “laicità” e dei valori “laici”, come diciamo oggi: il neocardinale parlava di “giustizia, benevolenza”, noi solitamente di “solidarietà”.
Ma una pura educazione “laica” condotta nell’indifferenza religiosa è incapace di fondare un’etica ed è fatalmente destinata a educare al nulla.
Oggi chi afferma una cosa stramba o antiecclesiale si autofregia del titolo di profeta; lo fu invece davvero Newman, le cui opere con la loro finezza storica e psicologica, con la loro bellezza poetica, e con lo splendore della loro verità, hanno impreziosito per sempre la Chiesa.
(©L’Osservatore Romano – 20 maggio 2009)
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