CARLO MARIA MARTINI, LUIGI MARIA VERZÉ, Siamo tutti nella stessa barca, EditoreSan Raffaele, Milano, 2009, EAN9788886270908, pp.
140, € 14,50 “Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano.” Nuovo ‘sasso nello stagno’ del cardinal Martini, arcivescovo emerito di Milano, che negli ultimi anni ha fatto sentire piu’ volte la propria voce per suggerire alla Chiesa inedite – almeno recentemente – possibilita’ di dialogo con le esigenze del mondo contemporaneo.
L’occasione, questa volta, e’ costituita da un libro-dialogo con don Luigi Maria Verze’, fondatore dell’Ospedale San Raffaele di Milano, dal titolo ”Siamo tutti nella stessa barca” e edito dalla Editrice San Raffele, di cui il Corriere della Sera anticipa oggi alcuni brani.
Per il card.
Martini, dopo la revoca della scomunica ai lefebvriani voluta da papa Benedetto XVI, potrebbe essere giunto il momento di un simile gesto di ”misericordia” verso i divorziati risposati, a cui e’ negata dalla Chiesa la possibilita’ di ricevere la comunione.
”Io mi sono rallegrato per la bonta’ con cui il Santo Padre ha tolto la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani – afferma Martini -.
Penso, pero’, con tanti altri, che ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono perche’ si sentono emarginate e che bisognerebbe pensare anche a loro.
E mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati.
Non a tutti, perche’ non dobbiamo favorire la leggerezza e la superficialita’, ma promuovere la fedelta’ e la perseveranza.
Ma vi sono alcuni che oggi sono in stato irreversibile e incolpevole.
Hanno magari assunto dei nuovi doveri verso i figli avuti dal secondo matrimonio, mentre non c’e’ nessun motivo per tornare indietro; anzi, non si troverebbe saggio questo comportamento.
Ritengo che la Chiesa debba trovare soluzioni per queste persone”.
Il cardinale prosegue: ”Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano.
Sono, pero’, problemi che non puo’ risolvere un semplice sacerdote e neppure un vescovo.
Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi e, guidata dal Papa, trovi una via di uscita”.
Nel libro, Martini affronta anche il tema del celibato obbligatorio per i preti della Chiesa cattolica occidentale, dicendosi convinto ”che il celibato sia un grande valore, che rimarra’ sempre nella Chiesa: e’ un grande segno evangelico.
Non per questo e’ necessario imporlo a tutti, e gia’ nelle chiese orientali cattoliche non viene chiesto a tutti i sacerdoti”.
Sulla scelta dei vescovi, oggi scelti da Roma mentre un tempo ‘eletti’, tra l’altro, dal popolo cristiano, il cardinale afferma: ”E’ sempre stato un problema difficile nella Chiesa.
Nelle situazioni antiche in cui partecipava maggiormente il popolo, si verificavano litigi e molte divisioni.
Oggi forse e’ stata portata troppo in alto loco.
Vi sono alcune diocesi in Svizzera e in Germania che lo fanno, ma e’ difficile dire che le cose vadano senz’altro meglio.
In conclusione – conclude Martini – si tratta di una realta’ molto complessa”.
Una conversazione tra il cardinale e don Luigi Verzé Carlo Maria Martini — Non so se sono sveglio o sto sognando.
So che mi trovo completamente al buio, mentre un lento sciabordio mi fa pensare che sono su una barca che scivola via sull’acqua.
Cerco a tastoni di stabilire meglio il luogo in cui mi trovo emi accorgo che vicino ame vi è un albero, forse l’albero maestro dell’imbarcazione.
A poco a poco mi avvicino così da potermi aggrappare a esso con le mani, per avere un po’ di sicurezza e di stabilità nei sempre più frequenti moti della barca sulle onde.
In questo tentativo incontro qualcosa che mi sembra come una mano d’uomo.
Forse è un altro passeggero che sta cercando anche lui di appoggiarsi all’albero maestro.
Non so chi sia, come non so io stesso come mi sia trovato su questa barca.
Ma il tocco di quella mano mi dà fiducia: mi spingo avanti così da poterla stringere ed esprimere la mia solidarietà con qualcuno in quell’oscurità che mette i brividi.
Vorrei anche tentare di dire qualcosa, pur non sapendo se il mio compagno di barca capisce l’italiano.
Ma nel frattempo lui inizia a farmi qualche breve domanda, a cui sono lieto di rispondere.
Si tratta di una persona che non conoscevo, ma di cui avevo sentito parlare.
Mi colpiva il suo interesse per me in quel momento difficile, in cui ciascuno avrebbe voglia di pensare solo a se stesso.
Dialogando così nella notte fonda, in quel momento di incertezza e anche di pericolo si videro a poco a poco spuntare le prime luci dell’alba.
Riconobbi il luogo in cui mi trovavo: eravamo noi due soli in barca.
E usando alcuni remi che trovammo in fondo a essa, ci mettemmo a remare verso la riva, fermandoci ogni tanto per assaporare la tranquillità del lago.
Ci siamo detti molte cose in quelle ore.
È venuto chiaramente alla luce durante la conversazione che eravamo tanto diversi l’uno dall’altro.
Ma ci rispettavamo come persone e ci amavamo come figli di Dio.
Anche il fatto di trovarci sulla stessa barca ci permetteva di comprenderci e di accoglierci, così come eravamo.
Tra le prime cose che ci siamo detti c’è naturalmente un poco di autopresentazione.
Così ho appreso che il mio interlocutore aveva nientemeno che ottantanove anni, mentre io ne avevo ottantadue.
Don Luigi Verzé (tale appresi poi essere il nome di colui che viaggiava con me) presentava la sua vita come quella di uno che aveva vissuto sessantuno anni di sacerdozio.
(…) Luigi Maria Verzé — Quanto è cambiata ora la valutazione etica ecclesiastica, rispetto a quella imposta ai tempi della mia infanzia.
D’altra parte, poiché la moralità è imperativo categorico, la gente si fa una propria etica laica e la Chiesa resta con un’etica cristiana incongruente perché incondivisa dagli stessi devoti.
Ricordo, per esempio, che nella mia visita alle favelas del Brasile frequentemente mi incontravo con povere donne senza marito con un bimbo in seno, un altro in braccio e una sfilza di altri che le seguivano, tutti prodotti di diversi mariti.
Era giocoforza concludere che la pillola anticoncezionale andava consigliata e fornita.
Il Brasile, totalmente cattolico fino agli anni Ottanta, ora è disseminato di chiese e chiesuole semicristiane, organizzate però sui bisogni anche spiccioli della gente.
La Chiesa cattolica è troppo lontana dalla realtà, e le fiumane di gente, quando arriva il Papa, hanno più o meno il valore delle carnevalate e delle feste per la dea Iemanjà, l’antica Venere cui tutti, compreso il prefetto cristiano, gettano tributi floreali.
La Chiesa, più che vivere, sopravvive sulle ossa degli eroici primi missionari.
E poiché siamo in tema di morale pratica, che cosa dice, Eminente Padre, della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati? Io penso che anche ai sacerdoti dovrebbe essere presto tolto l’obbligo del celibato, poiché temo che per molti il celibato sia una finzione.
E non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio, oggi così estraneo ai fatti della Chiesa? Forse non si è ancora maturi per tutto questo, ma Lei non crede che siano temi ai quali si dovrebbe pensare pregando lo Spirito? Carlo Maria Martini — Oggi ci sono non poche prescrizioni e norme che non sempre vengono capite dal semplice fedele.
Per questo, la Chiesa appare un po’ troppo lontana dalla realtà.
Purtroppo sono d’accordo che le fiumane di gente che vanno a manifestazioni religiose non sempre le vivono con profondità.
Occorre prepararle, e occorre dopo dare un seguito di riflessione nell’ambito della parrocchia o del gruppo.
Non credo, però, che si possa dire che in Paesi come il Brasile, la Chiesa non vive ma sopravvive soltanto sulle ossa dei primi eroici missionari.
La Chiesa vive là anche su gente semplice, umile, che fa il proprio dovere, che ama, che sa comprendere e perdonare.
È questa la ricchezza delle nostre comunità.
Tanti laici di queste nazioni e anche tanti laici vicino a noi sono seri e impegnati.
Lei mi chiede che cosa penso della negazione dei sacramenti a devotissimi divorziati.
Io mi so no rallegrato per la bontà con cui il Santo Padre ha tolto la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani.
Penso, però, con tanti altri, che ci sono moltissime persone nella Chiesa che soffrono perché si sentono emarginate e che bisognerebbe pensare anche a loro.
E mi riferisco, in particolare, ai divorziati risposati.
Non a tutti, perché non dobbiamo favorire la leggerezza e la superficialità, ma promuovere la fedeltà e la perseveranza.
Ma vi sono alcuni che oggi sono in stato irreversibile e incolpevole.
Hanno magari assunto dei nuovi doveri verso i figli avuti dal secondo matrimonio, mentre non c’è nessun motivo per tornare indietro; anzi, non si troverebbe saggio questo comportamento.
Ritengo che la Chiesa debba trovare soluzioni per queste persone.
Ho detto spesso, e ripeto ai preti, che essi sono formati per costruire l’uomo nuovo secondo il Vangelo.
Ma in realtà debbono poi occuparsi anche di mettere a posto ossa rotte e di salvare i naufraghi.
Sono contento che la Chiesa mostri in alcuni casi benevolenza e mitezza, ma ritengo che dovrebbe averla verso tutte le persone che veramente la meritano.
Sono, però, problemi che non può risolvere un semplice sacerdote e neppure un vescovo.
Bisogna che tutta la Chiesa si metta a riflettere su questi casi e, guidata dal Papa, trovi una via di uscita.
Dopo di ciò Lei affronta un problema molto importante, dicendo che ai sacerdoti andrebbe tolto l’obbligo del celibato.
È una questione delicatissima.
Io credo che il celibato sia un grande valore, che rimarrà sempre nella Chiesa: è un grande segno evangelico.
Non per questo è necessario imporlo a tutti, e già nelle chiese orientali cattoliche non viene chiesto a tutti i sacerdoti.
Vedo che alcuni vescovi propongono di dare il ministero presbiterale a uomini sposati che abbiano già una certa esperienza e maturità (viri probati).
Non sarebbe, però, opportuno che fossero responsabili di una parrocchia, per evitare un ulteriore accrescimento del clericalismo.
Mi pare molto più opportuno fare di questi preti legati alla parrocchia come un gruppo che opera a rotazione.
Si tratta in ogni caso di un problema grave.
E credo che quando la Chiesa lo affronterà avrà davanti anni davvero difficili.
Non mancheranno coloro che diranno di aver accettato il celibato unicamente per arrivare al sacerdozio.
D’altra parte, sono certo che ci saranno sempre molti che sceglieranno la via celibataria.
Perché i giovani sono idealisti e generosi.
Inoltre ci sono nel mondo alcune situazioni particolarmente difficili, in alcuni continenti in particolare.
Penso però che tocchi ai vescovi di quei Paesi fare presente queste situazioni e trovarne le soluzioni.
Lei si domanda anche se non sarebbe più vantaggioso che la consacrazione dei vescovi avvenisse su acclamazione del popolo di Dio.
L’elezione dei vescovi è sempre stato un problema difficile nella Chiesa.
Nelle situazioni antiche in cui partecipava maggiormente il popolo, si verificavano litigi e molte divisioni.
Oggi forse è stata portata troppo in alto loco.
Mi ricordo che un canonista cardinale intervenne in una riunione per dire che non era giusto che la Santa Sede facesse due processi per la stessa persona: uno dovrebbe essere fatto in loco e il secondo dal Nunzio.
Quanto alla partecipazione della gente, vi sono alcune diocesi in Svizzera e in Germania che lo fanno, ma è difficile dire che le cose vadano senz’altro meglio.
In conclusione, si tratta di una realtà molto complessa.
Però l’attuale modo di eleggere i vescovi deve essere migliorato.
Sono temi sui quali si dovrebbe riflettere molto, e parlare anche di più.
Nei sinodi qualcosa emergeva, ma poi non veniva mai approfondito.
Il problema, però, esiste e deve potersi fare una discussione pubblica a questo proposito.
CARLO MARIA MARTINI e LUIGI MARIA VERZÉ 19 maggio 2009
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