Benedetto XVI a Gerusalemme e Betlemme.

Benedetto XVI ha trascorso l’intera giornata di mercoledì nei Territori palestinesi: a Betlemme e nel campo profughi di Aida.
E questa è stata, inevitabilmente, la giornata più “politica” del suo viaggio.
Il papa si è incontrato a più riprese con il presidente Abu Mazen, ha tenuto dei discorsi a lui e alla popolazione palestinese, ha camminato in luoghi segnati dal conflitto.
Ad Aida l’alto muro che divide Israele dai Territori era visibilissimo, incombente.
Benedetto XVI non si è sottratto alle aspettative.
Ha invocato un superamento del conflitto all’insegna dei due popoli e due Stati.
Ha reclamato sicurezza per Israele.
Ha detto ai palestinesi di rifiutare il terrorismo.
Ha auspicato l’abbattimento del muro.
Un obiettivo di papa Joseph Ratzinger, in questo viaggio, era di conquistare il consenso dei cattolici arabi, fortemente ostili ad Israele.
In Giordania ci è riuscito.
A ovest del Giordano l’impresa era più difficile.
Ma le tappe di Betlemme e di Aida hanno giovato.
Il papa è stato molto sobrio nel richiamare le ragioni di Israele e molto esplicito e partecipe, invece, nel tratteggiare le ragioni dei palestinesi e soprattutto la loro sofferenza.
Sarebbe però riduttivo e fuorviante interpretare in chiave solo politica il messaggio complessivo che Benedetto XVI ha voluto rivolgere ai cristiani di Terra Santa.
A giudizio del papa la Chiesa sarà influente – anche sul terreno politico – se saprà fare altro: se aiuterà anzitutto a “rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo”.
Benedetto XVI mira primariamente a convertire a Dio i cuori e le menti.
L’ha detto e l’ha scritto più volte.
Ed è rimasto fedelissimo a questa sua “priorità” anche in un viaggio pur così carico di valenza politica come questo in Terra Santa.
Per capirlo, basta ripercorrere i gesti e le parole con cui egli ritma il viaggio.
Qui di seguito è riportata una piccola antologia delle parole da lui dette mercoledì 13 maggio a Betlemme e Aida, e il giorno precedente a Gerusalemme.
I passaggi più direttamente politici sono riportati per primi.
Ma in essi già si coglie che lo sguardo di Benedetto XVI va oltre.
E questo “oltre” egli l’ha esplicitato soprattutto nelle omelie delle messe celebrate il 12 maggio a Gerusalemme nella Valle di Giosafat e il 13 maggio a Betlemme nella Piazza della Mangiatoia, presenti migliaia di fedeli, alcuni dei quali accorsi fin da Gaza.
Ai cristiani ha detto di non abbandonare la Terra Santa, come hanno fatto soprattutto negli ultimi anni.
Ma perché restare? La risposta del papa è sorprendente, assolutamente da leggere.
Rimanda al “vedere” e al “toccare” dei primi discepoli di Gesù.
Al fondamento sensibile della fede.
Altri lampi della visione che Ratzinger vuole trasmettere sono i passaggi dedicati a Gerusalemme e a Betlemme: alla potenza simbolica, profetica, teologica di queste città sante.
E infine è tutto da leggere il discorso tenuto da Benedetto XVI ai capi musulmani la mattina del 12 maggio a Gerusalemme, dopo aver visitato – prima volta assoluta per un papa – la Cupola della Roccia, sul luogo del sacrificio di Abramo e dell’ascesa di Maometto al cielo.
Una magnifica sintesi di come questo papa vede il servizio che ebraismo, cristianesimo ed islam possono dare all’unità della famiglia umana.
Ecco dunque l’antologia, in cinque capitoli: 1.
IL PAPA “POLITICO”.
DAI DISCORSI NEI TERRITORI A Betlemme, la mattina di mercoledì 13 maggio: Signor Presidente, la Santa Sede appoggia il diritto del suo popolo ad una sovrana patria palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti.
[…] È mia ardente speranza che i gravi problemi riguardanti la sicurezza in Israele e nei Territori palestinesi vengano presto decisamente alleggeriti così da permettere una maggiore libertà di movimento, con speciale riguardo per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi.
I palestinesi, così come ogni altra persona, hanno un naturale diritto a sposarsi, a formarsi una famiglia e avere accesso al lavoro, all’educazione e all’assistenza sanitaria.
Prego anche perché, con l’assistenza della comunità internazionale, il lavoro di ricostruzione possa procedere rapidamente dovunque case, scuole od ospedali siano stati danneggiati o distrutti, specialmente durante il recente conflitto in Gaza.
Questo è essenziale affinché il popolo di questa terra possa vivere in condizioni che favoriscano pace durevole e benessere.
[…] Rivolgo questo appello ai tanti giovani presenti oggi nei Territori palestinesi: non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori.
Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo.
Al campo profughi di Aida, nel pomeriggio di mercoledì 13 maggio: Cari amici, la mia visita al campo profughi di Aida questo pomeriggio mi offre la gradita opportunità di esprimere la mia solidarietà a tutti i palestinesi senza casa, che bramano di poter tornare ai luoghi natii, o di vivere permanentemente in una patria propria.
[…] So che molte vostre famiglie sono divise – a causa di imprigionamento di membri della famiglia o di restrizioni alla libertà di  movimento – e che molti tra voi hanno sperimentato perdite nel corso delle ostilità.
Il mio cuore si unisce a quello di coloro che, per tale ragione, soffrono.
Siate certi che tutti i profughi palestinesi nel mondo, specie quelli che hanno perso casa e persone care durante il recente conflitto di Gaza, sono costantemente ricordati nelle mie preghiere.
[…] Quanto le persone di questo campo, di questi Territori e dell’intera regione anelano alla pace! In questi giorni tale desiderio assume una particolare intensità mentre ricordate gli eventi del maggio del 1948 e gli anni di un conflitto tuttora irrisolto, che seguirono a quegli eventi.
Voi ora vivete in condizioni precarie e difficili, con limitate opportunità di occupazione.
È comprensibile che vi sentiate spesso frustrati.
Le vostre legittime aspirazioni ad una patria permanente, ad uno Stato palestinese indipendente, restano incompiute.
E voi, al contrario, vi sentite intrappolati, come molti in questa regione e nel mondo, in una spirale di violenza, di attacchi e contrattacchi, di vendette e di distruzioni continue.
Tutto il mondo desidera fortemente che sia spezzata questa spirale, anela a che la pace metta fine alle perenni ostilità.
Incombente su di noi, mentre siamo qui riuniti questo pomeriggio, è la dura consapevolezza del punto morto a cui sembrano essere giunti i contatti tra israeliani e palestinesi: il muro.
In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte – al commercio, ai viaggi, alla mobilità della gente, agli scambi culturali – è tragico vedere che vengono tuttora eretti dei muri.
Quanto aspiriamo a vedere i frutti del ben più difficile compito di edificare la pace! Quanto ardentemente preghiamo perché finiscano le ostilità che hanno causato l’erezione di questo muro! Da entrambe le parti del muro è necessario grande coraggio per superare la paura e la sfiducia, se si vuole contrastare il bisogno di vendetta per perdite o ferimenti.
Occorre magnanimità per ricercare la riconciliazione dopo anni di scontri armati.
E tuttavia la storia ci insegna che la pace viene soltanto quando le parti in conflitto sono disposte ad andare oltre le recriminazioni e a lavorare insieme a fini comuni, prendendo sul serio gli interessi e le preoccupazioni degli altri e cercando decisamente di costruire un’atmosfera di fiducia.
Deve esserci una determinazione ad intraprendere iniziative forti e creative per la riconciliazione: se ciascuno insiste su concessioni preliminari da parte dell’altro, il risultato sarà soltanto lo stallo delle trattative.
L’aiuto umanitario, come quello che viene offerto in questo campo, ha un ruolo essenziale da svolgere, ma la soluzione a lungo termine ad un conflitto come questo non può essere che politica.
Nessuno s’attende che i popoli palestinese e israeliano vi arrivino da soli.
È vitale il sostegno della comunità internazionale.
Rinnovo perciò il mio appello a tutte le parti coinvolte perché esercitino la propria influenza in favore di una soluzione giusta e duratura, nel rispetto delle legittime esigenze di tutte le parti e riconoscendo il loro diritto di vivere in pace e con dignità, secondo il diritto internazionale.
Allo stesso tempo, tuttavia, gli sforzi diplomatici potranno avere successo soltanto se gli stessi palestinesi e israeliani saranno disposti a rompere con il ciclo delle aggressioni.
A Betlemme, la sera di mercoledì 13 maggio: Signor Presidente, cari amici, […] con angoscia ho visto la situazione dei  rifugiati che, come la Santa Famiglia, hanno dovuto abbandonare le loro case.
Ed ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie, circondare il vicino campo e nascondere molta parte di Betlemme.
Anche se i muri possono essere facilmente costruiti, noi tutti sappiamo che non durano per sempre.
Essi possono essere abbattuti.
Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori, le barriere che innalziamo contro il nostro prossimo.
__________ 2.
CRISTIANI NELLA TERRA SANTA.
PERCHÉ RESTARE Dall’omelia della messa nella Valle di Giosafat, martedì 12 maggio: Cari fratelli e sorelle, […] vorrei qui accennare direttamente alla tragica realtà – che non può mai cessare di essere fonte di preoccupazione per tutti coloro che amano questa città e questa terra – della partenza di così numerosi membri della comunità cristiana negli anni recenti.
Benché ragioni comprensibili portino molti, specialmente giovani, ad emigrare, questa decisione reca con sé come conseguenza un grande impoverimento culturale e spirituale della città.
Desidero oggi ripetere quanto ho detto in altre occasioni: nella Terra Santa c’è posto per tutti! Mentre esorto le autorità a rispettare e sostenere la presenza cristiana qui, desidero al tempo stesso assicurarvi della solidarietà, dell’amore e del sostegno di tutta la Chiesa e della Santa Sede.
Cari amici, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, san Pietro e san Giovanni corrono alla tomba vuota, e Giovanni, ci è stato detto, “vide e credette” (Giovanni 20, 8), Qui in Terra Santa, con gli occhi della fede, voi insieme con i pellegrini di ogni parte del mondo che affollano le chiese e i santuari, siete felici di vedere i luoghi santificati dalla presenza di Cristo, dal suo ministero terreno, dalla sua passione, morte e risurrezione e dal dono del suo Santo Spirito.
Qui, come all’apostolo san Tommaso, vi è concessa l’opportunità di “toccare” le realtà storiche che stanno alla base della nostra confessione di fede nel Figlio di Dio.
La mia preghiera per voi oggi è che continuiate, giorno dopo giorno, a “vedere e credere” nei segni della provvidenza di Dio e della sua inesauribile misericordia, ad “ascoltare” con rinnovata fede e speranza le consolanti parole della predicazione apostolica e a “toccare” le sorgenti della grazia nei sacramenti ed incarnare per gli altri il loro pegno di nuovi inizi, la libertà nata dal perdono, la luce interiore e la pace che possono portare salvezza e speranza anche nelle più oscure realtà umane.
Nella Chiesa del Santo Sepolcro, i pellegrini di ogni secolo hanno venerato la pietra che la tradizione ci dice che stava all’ingresso della tomba la mattina della risurrezione di Cristo.
Torniamo spesso a questa tomba vuota.
Riaffermiamo lì la nostra fede sulla vittoria della vita, e preghiamo affinché ogni “pietra pesante” posta alla porta dei nostri cuori, a bloccare la nostra completa resa alla fede, alla speranza e all’amore per il Signore, possa essere tolta via dalla forza della luce e della vita che da quel primo mattino di Pasqua risplendono da Gerusalemme su tutto il mondo.
Dall’omelia della messa nella Piazza della Mangiatoia, mercoledì 13 maggio: Cari fratelli e sorelle, […] “non abbiate paura!”.
Questo è il messaggio che il successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo.
Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire.
Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione.
Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica.
Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane.
La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune.
Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli.
Questa nobile impresa vi attende.
Non abbiate paura! __________ 3.
IL MISTERO DI GERUSALEMME Dall’omelia della messa nella Valle di Giosafat, martedì 12 maggio: Cari fratelli e sorelle, […] l’esortazione di Paolo di “cercare le cose di lassù” (Colossesi 3, 1) deve continuamente risuonare nei nostri cuori.
Le sue parole ci indicano il compimento della visione di fede in quella celeste Gerusalemme dove, in conformità con le antiche profezie, Dio asciugherà le lacrime da ogni occhio e preparerà un banchetto di salvezza per tutti i popoli (cfr.
Isaia 25, 6-8; Apocalisse 21, 2-4).
Questa è la speranza, questa la visione che spinge tutti coloro che amano questa Gerusalemme terrestre a vederla come una profezia e una promessa di quella universale riconciliazione e pace che Dio desidera per tutta l’umana famiglia.
[…] Riuniti sotto le mura di questa città, sacra ai seguaci delle tre grandi religioni, come possiamo non rivolgere i nostri pensieri alla universale vocazione di Gerusalemme? Annunciata dai profeti, questa vocazione appare come un fatto indiscutibile, una realtà irrevocabile fondata nella storia complessa di questa città e del suo popolo.
Ebrei, musulmani e cristiani qualificano insieme questa città come loro patria spirituale.
Quanto bisogna ancora fare per renderla veramente una “città della pace” per tutti i popoli, dove tutti possono venire in pellegrinaggio alla ricerca di Dio, e per ascoltarne la voce, “una voce che parla di pace” (cfr.
Salmo 85, 8)! Gerusalemme in realtà è sempre stata una città nelle cui vie risuonano lingue diverse, le cui pietre sono calpestate da popoli di ogni razza e lingua, le cui mura sono un simbolo della cura provvidente di Dio per l’intera famiglia umana.
Come un microcosmo del nostro mondo globalizzato, questa città, se deve vivere la sua vocazione universale, deve essere un luogo che insegna l’universalità, il rispetto per gli altri, il dialogo e la vicendevole comprensione; un luogo dove il pregiudizio, l’ignoranza e la paura che li alimenta, siano superati dall’onestà, dall’integrità e dalla ricerca della pace.
Non dovrebbe esservi posto tra queste mura per la chiusura, la discriminazione, la violenza e l’ingiustizia.
I credenti in un Dio di misericordia – si qualifichino essi ebrei, cristiani o musulmani –, devono essere i primi a promuovere questa cultura della riconciliazione e della pace, per quanto lento possa essere il processo e gravoso il peso dei ricordi passati.
__________ 4.
IL MISTERO DI BETLEMME Dall’omelia della messa nella Piazza della Mangiatoia, mercoledì 13 maggio: Cari fratelli e sorelle, […] il Signore degli eserciti, “le cui origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti” (Michea 5, 2), volle inaugurare il suo regno nascendo in questa piccola città, entrando nel nostro mondo nel silenzio e nell’umiltà in una grotta, e giacendo, come bimbo bisognoso di tutto, in una mangiatoia.
Qui a Betlemme, nel mezzo di ogni genere di contraddizione, le pietre continuano a gridare questa “buona novella”, il messaggio di redenzione che questa  città, al di sopra di tutte le altre, è chiamata a proclamare a tutto il mondo.
Qui infatti, in un modo che sorpassa tutte le speranze e aspettative umane, Dio si è mostrato fedele alle sue promesse.
Nella nascita del suo Figlio, Egli ha rivelato la venuta di un regno d’amore: un amore divino che si china per portare guarigione e per innalzarci; un amore che si rivela nell’umiliazione e nella debolezza della croce, eppure trionfa nella gloriosa risurrezione a nuova vita.
Cristo ha portato un regno che non è di questo mondo, eppure è un regno capace di cambiare questo mondo, poiché ha il potere di cambiare i cuori, di illuminare le menti e di rafforzare le volontà.
Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamati ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte.
E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire! __________ 5.
EBREI, CRISTIANI E MUSULMANI PER L’UNITÀ DELLA FAMIGLIA UMANA Dal discorso dopo la visita della Cupola della Roccia, a Gerusalemme, martedì 12 maggio: La Cupola della Roccia conduce i nostri cuori e le nostre menti a riflettere sul mistero della creazione e sulla fede di Abramo.
Qui le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune.
Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto.
Ciascuna riconosce Abramo come proprio antenato, un uomo di fede al quale Dio ha concesso una speciale benedizione.
Ciascuna ha raccolto schiere di seguaci nel corso dei secoli ed ha ispirato un ricco patrimonio spirituale, intellettuale e culturale.
[…] Poiché gli insegnamenti delle tradizioni religiose riguardano ultimamente la realtà di Dio, il significato della vita ed il destino comune dell’umanità – vale a dire, tutto ciò che è per noi molto sacro e caro – può esserci la tentazione di impegnarsi in tale dialogo con riluttanza o ambiguità circa le sue possibilità di successo.
Possiamo tuttavia cominciare col credere che l’Unico Dio è l’infinita sorgente della giustizia e della misericordia, perché in Lui entrambe esistono in perfetta unità.
Coloro che confessano il suo nome hanno il compito di impegnarsi decisamente per la rettitudine pur imitando la sua clemenza, poiché ambedue gli atteggiamenti sono intrinsecamente orientati alla pacifica ed armoniosa coesistenza della famiglia umana.
Per questa ragione, è scontato che coloro che adorano l’Unico Dio manifestino essi stessi di essere fondati su ed incamminati verso l’unità dell’intera famiglia umana.
In altre parole, la fedeltà all’Unico Dio, il Creatore, l’Altissimo, conduce a riconoscere che gli esseri umani sono fondamentalmente collegati l’uno all’altro, perché tutti traggono la loro propria esistenza da una sola fonte e sono indirizzati verso una meta comune.
Marcati con l’indelebile immagine del divino, essi sono chiamati a giocare un ruolo attivo nell’appianare le divisioni e nel promuovere la solidarietà umana.
Questo pone una grave responsabilità su di noi.
Coloro che onorano l’Unico Dio credono che Egli riterrà gli esseri umani responsabili delle loro azioni.
I cristiani affermano che i doni divini della ragione e della libertà stanno alla base di questa responsabilità.
La ragione apre la mente per comprendere la natura condivisa e il destino comune della famiglia umana, mentre la libertà spinge il cuore ad accettare l’altro e a servirlo nella carità.
L’indiviso amore per l’Unico Dio e la carità verso il nostro prossimo diventano così il fulcro attorno al quale ruota tutto il resto.
Questa è la ragione perché operiamo instancabilmente per salvaguardare i cuori umani dall’odio, dalla rabbia o dalla vendetta.
Cari amici, sono venuto a Gerusalemme in un pellegrinaggio di fede.
Ringrazio Dio per questa occasione che mi è data di incontrarmi con voi come vescovo di Roma e successore dell’apostolo Pietro, ma anche come figlio di Abramo, nel quale “tutte le famiglie della terra si diranno benedette” (Genesi 12, 3; cfr.
Romani 4, 16-17).
Vi assicuro che è ardente desiderio della Chiesa di cooperare per il benessere dell’umana famiglia.
Essa fermamente crede che la promessa fatta ad Abramo ha una portata universale, che abbraccia tutti gli uomini e le donne indipendentemente dalla loro provenienza o da loro stato sociale.
Mentre musulmani e cristiani continuano il dialogo rispettoso che già hanno iniziato, prego affinché essi possano esplorare come l’Unicità di Dio sia inestricabilmente legata all’unità della famiglia umana.
Sottomettendosi al suo amabile piano della creazione, studiando la legge inscritta nel cosmo ed inserita nel cuore dell’uomo, riflettendo sul misterioso dono dell’autorivelazione di Dio, possano tutti coloro che vi aderiscono continuare a tenere lo sguardo fisso sulla sua bontà assoluta, mai perdendo di vista come essa sia riflessa sul volto degli altri.
__________ Il programma, i discorsi, le omelie del viaggio di Benedetto XVI: > Pellegrinaggio in Terra Santa, 8-15 maggio 2009

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